Avvenire, editoriale 19 febbraio 2013
di Giacomo Samek Lodovici
Nelle tre più recenti catechesi del mercoledì – tra le ultime imperdibili occasioni per imparare da lui come Papa – Benedetto XVI ha toccato a più riprese il tema della libertà come caratteristica essenziale del rapporto tra Dio e l’uomo.
Ha detto, per esempio, che riflettendo sulla creazione si evince che «il primo pensiero di Dio era trovare un amore che risponda al suo amore» ed «il secondo pensiero è poi creare un mondo materiale dove collocare questo amore, queste creature che in libertà gli rispondono».
Ora, è proprio nella libertà che risiede una chiave per una qualche decifrazione del mistero della permissione della malvagità umana da parte di Dio. Infatti, come ha detto il Papa, «noi vorremmo un Dio […] che vinca le potenze avverse» e la domanda lancinante dell’uomo di sempre suona più o meno così: se Dio esiste perché permette il male? Dov’era Dio ad Auschwitz? Ognuno può riformulare questa domanda adattandola alle ingiustizie che ha subito o conosciuto, alle varie atrocità della storia.
La risposta di Benedetto XVI è la seguente: Dio «ama e rispetta la risposta libera di amore alla sua chiamata. Come Padre, Dio desidera che noi diventiamo suoi figli […] in comunione».
In effetti, sviluppando l’affermazione del Papa (nel solco di un’antica tradizione filosofica), possiamo qui accennare che Dio tollera che l’uomo commetta il male per almeno quattro motivi, tre dei quali sono correlati proprio alla libertà.
Primo, perché dal male ricava (in un modo che spesso ci sfugge) un bene maggiore o evita un male peggiore.
Secondo, perché se impedisse la malvagità, toglierebbe la sua fonte, che è la libertà umana. Una pietra, una pianta, un animale, non sono malvagi: tutto ciò che li riguarda dipende necessariamente da leggi fisico-biologiche o dall’istinto. Ora, se Dio ci togliesse la libertà, ci priverebbe di quello stupendo privilegio che ci innalza al di sopra dell’intero universo.
Terzo, se l’uomo, deprivato della libertà, non potesse compiere il male, per ciò stesso non potrebbe nemmeno compiere il bene: non potremmo scegliere di uccidere, ma nemmeno di amare.
Infine, Dio si rivolge all’uomo sia (è l’immagine del Papa) come un Padre che desidera essere liberamente amato da un figlio, sia (qui l’immagine è di Kierkegaard, da cui attingiamo la seguente citazione) come un innamorato che offre il suo amore a colei che ama, chiedendo all’uomo di corrispondere alla sua proposta d’amore: «È incomprensibile, è il miracolo dell’amore infinito, che Dio» all’uomo «possa dire quasi come un pretendente […]: mi vuoi tu, sì o no?». Per questo Dio lo lascia libero: perché gli propone di partecipare alla comunione amorosa con Sé e «il Dio dell’amore non vuole in alcun modo costringerti. Come potrebbe l’amore pensare di costringere ad amare?».
Un amore costretto non è amore, bensì schiavitù, adulazione, ecc. Ancora, per dirla con l’immagine biblica usata dal Papa nella catechesi del 13 febbraio, Dio accetta di essere respinto, lasciato fuori casa, fuori dalla porta, dall’uomo che, liberamente, rifiuta di cenare in intimità con Dio: «sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3, 20). In effetti, se l’uomo non fosse libero non potrebbe conseguire la beatitudine, cui si accede proprio nella totale ed eterna comunione d’amore con Dio: come ha detto il Papa il 6 febbraio, al termine della creazione c’è il settimo giorno, preludio di ciò che avverrà nell’eternità: è il «Giorno della libertà per tutti, giorno della comunione con Dio».