La Roccia n.4 luglio-agosto 2015
«Parte integrante della concezione cristiana della vita», come la definì san Giovanni XXIII, la dottrina sociale della Chiesa è stata spesso confusa con una delle diverse ideologie del ‘900. Oggi viene spesso depotenziata, ridotta ad un’opinione sganciata dalla realtà. Alcune riflessioni perché non rimanga sconosciuto e inutilizzato questo autentico patrimonio de4lla Chiesa, “esperta in umanità”
di Oscar Sanguinetti
Se la dottrina sociale della Chiesa è la morale applicata alla vita dell’uomo in società così come la insegna la Chiesa di Roma, allora essa si differenzia da un buon numero di realtà che popolano la cultura del mondo contemporaneo.
È un fatto, peraltro, che da più parti si sia tentato e si tenti di piegarla a questa o a quest’altra finalità estranea alla sua essenza autentica. La dottrina sociale della Chiesa, nonostante buona parte della cultura moderna la ignori o, peggio, la combatta non solo intellettualmente, interessa, se non affascina, anche culture e studiosi estranei al cattolicesimo e talora anche dei non-credenti.
Questo è divenuto visibile specialmente dopo il 1989, grazie alla cocente delusione che ha colpito studiosi e politici dopo il crollo delle ideologie progressiste che hanno dominato il Novecento. Il mondo economico e sociale odierno, inoltre, come conseguenza della globalizzazione dei processi economici, è divenuto ancora più complicato e squilibrato, mentre, dopo la crisi della ragione “illuministica”, mancano proposte culturali “forti” che aiutino a capire e ad agire.
Molti sono così giunti ad apprezzare il rigore dei princìpi, la vastità delle realtà di cui s’interessa e su cui ha qualcosa da dire, la relativa originalità delle sue diagnosi, l’equilibrio e la validità dei suoi rimedi anche sotto il profilo “tecnico”, senza dimenticare la sua continuità, la sua flessibilità e la sua indipendenza da ogni potere politico.
Non una ricetta politica
Ma è necessario ribadire per prima cosa che quello che la Chiesa insegna in materia di società non è una ricetta politico-economica o una tecnica di organizzazione utile per uscire dalla crisi economica o dalla crisi più generale in cui si è incagliato – proprio per il suo ripudio dell’orizzonte metafisico e religioso – il mondo profano moderno. No, la dottrina sociale è qualcosa di più, è un insieme di criteri e di regole che ha senso solo se si inquadra e se si affianca alla conversione morale e spirituale, individuale e collettiva.
Essa non può essere “ridotta” o presa “a pezzi”, scegliendo al suo interno le cose che più piacciono o quelle più “moderne”: va presa in blocco, con tutti i suoi contenuti specifici, con tutti i suoi princìpi (non soltanto la proprietà privata o la solidarietà), ma tenendo conto di tutto il Magistero e, quindi, non contrapponendo papa a papa, bensì evidenziando tutti i suoi legami con il resto della dottrina cattolica, con la dottrina di salvezza nella sua interezza: non si può ritagliarla né verticalmente né orizzontalmente.
Non un’opinione
Ancora: la dottrina sociale della Chiesa non è un’opinione, per quanto autorevole. L’insegnamento sociale cattolico scaturisce dall’osservazione del reale, dalla meditazione della natura creaturale dell’uomo e del cosmo, nasce cioè da una sana antropologia, nonché dall’attenta lettura della Parola di Dio, estraendone nova et vetera e tutto quanto possa riguardare la vita della creatura umana nelle sue relazioni con le altre creature umane e con i beni materiali.
Un esempio importante di questo insegnamento è il “dare a Cesare quel che è di Cesare” del Vangelo di Matteo 22,21. Dato il clima di relativismo culturale che domina, è bene precisare che la dottrina sociale della Chiesa non è solo un’opinione teologica, ossia la teologia sociale della Chiesa di Roma, cui ogni Chiesa particolare può contrapporre una propria teologia, ma la dottrina sulla società professata dalla Chiesa universale fondata da Gesù Cristo.
Il disegno di società che essa propone è il modello che addita a ogni società umana. È la norma con cui è possibile valutare non solo la bontà delle teorie sociali, cristiane e laiche, che via via sono nate e si manifestano, ma anche la bontà morale e persino “tecnica” dei regimi e dei programmi delle forze politiche. Se uno Stato, esistente o da costruire, non rispetta il principio di solidarietà, il principio di sussidiarietà, la proprietà privata e la libertà economica e di religione, allora questo non è uno Stato o un programma politico secondo ragione, conforme al Vangelo e, quindi, secondo il progetto di Cristo.
La Chiesa ha una filosofia sociale, ma non è soltanto una filosofia sociale. Essa ha una disciplina e un metodo e si traduce nel disegno di un’architettura sociale, fissa nei suoi princìpi ma variabile nelle forme e nelle formule storiche; tuttavia non è solo un progetto di società che si colloca accanto ad altri progetti di società e, quindi, da valutare con criteri puramente umani: è parte di un percorso di salute e di salvezza individuali e collettive, che punta oltre il piano naturale.
Nessun idolo
Infine – e in sostanza -, la dottrina sociale della Chiesa non va confusa con una delle tante ideologie che tuttora si contendono il campo nel mondo della cultura e della politica. Come detto, alcune di esse cercano di definirla in termini diversi e deformanti rispetto a ciò che essa autenticamente è e dice di essere. Per esempio, pur condividendone alcune delle premesse, essa ha poco a che fare con il liberismo dei circoli liberali “moderati”, anche se di ispirazione religiosa, né può condividere il protagonismo assoluto dello Stato professato dal liberalismo “liberal” – che in Europa si traduce con “socialdemocratico” -: se difende la libertà dei soggetti sociali e vede necessaria l’azione dello Stato, la dottrina sociale della Chiesa non si fa un idolo né della libertà né dello Stato, soprattutto dello Stato laico “moderno”.
Inoltre, con buona pace dei vari “cristianesimi per il socialismo” o di certe “teologie della liberazione”, essa è radicalmente antitetica alle dottrine socialiste, non solo perché poggiano su una visione del mondo atea e materialistica, ma perché sbagliate dal punto di vista logico e tecnico, oltre che smentite storicamente. Infine, non va dimenticato che la sua dinamicità e capacità di adeguamento la distinguono da ogni arcaismo e nostalgismo che la “riducono” a forme sociali fisse e lontane nel tempo, che non vanno dimenticate, ma utilizzate come modello perenne, da difendere e da attuare nella realtà di oggi e del futuro.