Tempi 13 Ottobre 2021
La censura nelle accademie del Regno Unito arriva al parossismo con le “minacciose” prof convinte che il sesso biologico esiste. E per questo costrette a girare con le guardie del corpo e guardarsi le spalle da colleghi e studenti
di Caterina Giojelli
Ogni giorno ha la sua follia trans. L’ultimo colpo di scena è che il sindacato degli accademici del Sussex, l’University and College Union, in Inghilterra, ha diffuso una dichiarazione di sostegno. A chi? Alla filosofa e collega Kathleen Stock, bersaglio di una furiosa e violenta campagna da parte di studenti che girano per il campus dell’Università con torce e passamontagna chiedendo la testa della prof. «transfobica»? Macché, i colleghi di Stock hanno un solo obiettivo: porre fine alla sua carriera supportando le comunità trans e non binarie “che si sentono minacciate” e condannando il rettore dell’università per non aver fatto lo stesso.
Kathleen Stock, filosofa del Sussex
Kathleen Stock, docente di Filosofia dell’Università del Sussex, femminista e lesbica, è stata accusata di essere «transfobica» perché sostiene che il sesso biologico sia più importante dell’identità di genere. Ritiene inoltre che agli uomini transgender che si identificano come donne non debba essere consentito l’accesso a spazi femminili in prigioni, rifugi o spogliatoi, e che ai minorenni non dovrebbero essere somministrati i bloccanti della pubertà.
Queste affermazioni secondo studenti e docenti – che volentieri li hanno appoggiati nelle manifestazioni contro Stock – non rendono l’università un posto sicuro. E fa niente se «sconvolti» dal trattamento subito dalla professoressa alcuni esponenti della comunità trans abbiano scritto una lettera al Times per solidarizzare con la docente: la caccia alla strega si è fatta così rischiosa, con tanto di attivisti mascherati, manifesti, minacce, fumogeni lanciati per l’Università, che la polizia ha consigliato a Stock di assumere una guardia del corpo, girare al largo del campus e le ha fornito un numero di emergenza, una “linea rossa”, per chiamare gli agenti in caso di pericolo.
La situazione era esplosa a gennaio, quando Kathleen era stata insignita del titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico per il suo lavoro in campo accademico, e 600 docenti avevano firmato una lettera per denunciare la «retorica dannosa» e i «punti di vista transfobici» della filosofa. Per mesi studenti e attivisti ne avevano reclamato le dimissioni finché, provocata da alcuni docenti dalla parte di Stock («Che futuro ha un’università in cui l’intimidazione determina ciò che viene detto o insegnato?») l’Università del Sussex aveva deciso finalmente di intervenire, promettendo indagini e azioni disciplinari: «Abbiamo il dovere legale e morale di garantire alle persone di parlare liberamente», «non tollereremo minacce alle care libertà accademiche».
Da qui il rabbioso comunicato dell’University and College Union per intimare all’ateneo di tornare sui suoi passi e «prendere una posizione chiara e forte contro la transfobia nel Sussex».
Il rogo delle streghe Greer e Bindel
Tra gli attivisti girano le liste di proscrizione, le black list, l’elenco delle Terf (acronimo per trans exclusionary radical feminist, termine diventato un insulto e per questo “bandito” da testate come l’Economist), le peggiori nemiche del nuovo verbo arcobaleno, del libero mercato e del fatturato britannico. In Inghilterra, epicentro delle ultime follie gender, non solo le visite per l’identità di genere dei bambini sono cresciute del mille per cento in sei anni, le donne vengono chiamate “menstruator”, il ciclo è di “all genders”, “mamma” è stato sostituito con “persone incinte”.
Ma la censura all’ingrosso e da supermercato nelle accademie non riguarda più solo le streghe come la femminista Germaine Greer (prima di una lunga serie di personalità bandite o messe al rogo negli atenei britannici, censurata dall’università di Cardiff per avere avuto l’ardire di sostenere che i trans sono e restano “non donne” anche dopo l’operazione) o la giornalista femminista lesbica Julie Bindel (aggredita all’uscita di una conferenza all’Università di Edimburgo, contestata da militanti trans nella piazza antistante la sala dove si svolgeva l’incontro, qui il suo bel pezzo sullo Spectator in difesa di Stock). Censure che avevano costretto il ministro per l’Università e la Scienza Sam Gyimah ad annunciare multe qualora le autorità accademiche avessero continuato ad avallare la negazione del diritto di parola.
Selina Todd, femminista con la scorta
Selina Todd, docente di Storia moderna a Oxford, specializzata in storia della classe operaiae del femminismo – già nel mirino degli attivisti per aver firmato nel 2019 una lettera insieme ad altri 300 accademici sul Sunday Times per denunciare le pressioni di Stonewall e della lobby trans nel soffocare il dibattito accademico – ha ricevuto minacce per aver ribadito la necessità di proteggere gli spazi femminili (in particolare i centri antiviolenza) e «il diritto delle persone alla libertà di parola e di dibattito».
Il suo intervento per il 50 esimo anniversario della National Women’s Liberation Conference è stato cancellato con un preavviso di 24 ore: imperdonabile per gli Lgbt il fatto che Todd avesse presenziato a un incontro di Woman’s Place Uk in difesa dei diritti delle donne. Secondo i suoi studenti Todd insegna infatti storia femminista in modo «transfobico».
È «una situazione intimidatoria – ha detto Todd -. Il punto di vista di questi attivisti è che chiunque si senta una donna debba essere considerato tale. Mettere in dubbio questo desiderio viene considerato linguaggio d’odio. A me sembra censura». L’università ha dovuto fornirle delle guardie del corpo.
L’addio al Guardian di Suzanne Moore
Suzanne Moore, femminista, storica firma del Guardian ha dovuto dimettersi dal giornale per cui scriveva da 25 anni: 338 colleghi tra redattori ed editorialisti ne hanno preteso il licenziamento e chiesto la messa al bando dei «contenuti transfobici» dei suoi articoli. Moore era intervenuta in particolare in difesa di Selina Todd, «ho sostenuto che il sesso biologico fosse reale e che comprendere la scienza non fosse un atto transfobico (…) sono stata censurata più dalla sinistra che dalla destra e non provo alcun piacere ad ammetterlo. (…)
Lo Spectator e il Times hanno raccontato delle storie che noi abbiamo ignorato; ho potuto scrivere ciò che volevo sul Telegraph. Il giornalismo investigativo deve indagare su argomenti inesplorati. Perché non possiamo farlo? La sinistra liberal non sembra virtuosa ma ingenua…
La censura continua e non riesco a sopportarla. Ogni giorno una donna perde il proprio posto di lavoro e una strega viene bruciata su Twitter».
Newey, Freedman, Phoenix, Houston
Kate Newey, docente di storia del teatro a Exeter, è stata denunciata e indagata dall’università per aver scritto dei tweet sui diritti delle donne. Rosa Freedman, docente di sviluppo globale alla Reading University, è stata definita in ateneo una «nazista», «transfobica», «che dovrebbe essere stuprata», la porta del suo ufficio imbrattata di urina, per essersi opposta all’autoidentificazione di genere. Dopo di che, lo scorso maggio, la sua conferenza all’Università dell’Essex è stata cancellata così come quella di Jo Phoenix, professoressa di criminologia alla Open University, anch’essa accusata di «transfobia». Entrambe sono finite sotto revisione dalle rispettive università.
Sempre a Reading la professoressa Chloë Houston è stata accusata di «aver violato uno spazio sicuro» per gli studenti trans semplicemente insegnando lì e prendendo le difese della collega Freedman.
Il linciaggio di Rowling e Forstater
Spartiacque fu il linciaggio di J.K. Rowling, scrittrice, eterna madre di tutte le “terf”: iniziato con un tweet di sostegno a Maya Forstater (una commercialista che perse il lavoro a causa di alcuni tweet ritenuti “transfobici”), il “caso Rowling”, cioè di chiunque sostenga che non ci sono persone con le mestruazioni ma “donne”, e della legittimità del femminismo gender-critical di esprimere liberamente il proprio pensiero, doveva dirsi chiuso proprio con la sentenza su Forstater emessa dall’Alta Corte inglese il 10 giugno scorso.
I giudici hanno stabilito infatti che credere nell’immutabilità del sesso biologico è un’opinione protetta dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ed esprimere “critiche di genere” rientra nell’Equalities Act. Eppure i manifesti affissi nel tunnel che portano dalle stazioni al campus dell’Università del Sussex dicono altro. Dicono che non c’è posto per Kathleen Stock in università, «non paghiamo 9.250 sterline all’anno per la transfobia», scrivono tra altri insulti e ingiurie anonime sui muri e sui social. I manifesti sono firmati dal collettivo “Anti Terf Sussex”, rete non affiliata di studenti queer e trans”.
Il caso Terragni in Italia
E dicono che dopo la tessera di Arcilesbica è forse venuto il momento di chiedere quella all’acronimo maledetto, se tanto è diventato sinonimo di libertà di parola, donna e free speech. Come sottolinea Monica Ricci Sargentini, l’Italia non è esente dal fenomeno del no-platforming d’importazione britannica («una forma di boicottaggio che impedisce a una persone di esprimere le proprie idee pubblicamente»): «Qualche mese fa gli studenti del master in Management della Comunicazione e delle Politiche Culturali dello Iuav di Venezia hanno chiesto la rimozione della femminista Marina Terragni da docente del corso di Filosofia ed etica dell’informazione contemporanea.
Questa scelta minaccia l’integrità di un percorso espressamente legato ai discorsi femministi, intersezionali e queer, e mette potenzialmente in discussione le sue aule come spazio sicuro” hanno scritto gli studenti, in una lettera che è la fotocopia di quelle che appaiono in Uk e Usa».
A settembre Terragni doveva intervistare la saggista americana Rebecca Solnit al Festivaletteratura di Mantova «ma a 24 ore dall’incontro – spiega Terragni – lei ha disdetto, optando per uno speech senza contraddittorio. Le hanno detto che io sono “transfobica” e che si sarebbe messa in un guaio».