17 Febbraio 2020
di Anna Bono
Nell’ultimo libro di Nicola Porro, “Le tasse invisibili”, c’è un capitolo intitolato “L’ipocrisia delle tasse sull’ambiente”. Spiega come si è arrivati a imporre, facendole persino approvare come buone e lodevoli, le “tasse ambientali”, quelle introdotte per ridurre le emissioni di gas serra, CO2 e CH4.
Con i suoi dissennati comportamenti, l’uomo sta trasformando la Terra in un pianeta rovente, dicono i movimenti ambientalisti. È tempo che rimedi anche a costo di sacrifici e rinunce, avviando una transizione ecologica, verso fonti di energia “green”.
L’Europa ha un piano di investimenti da adesso al 2030 per circa mille miliardi di euro, un Green New Deal a scapito di altri progetti che graverà sulle tasche dei contribuenti. La riduzione del CO2, spiega Nicola Porro, costerà agli italiani non meno di 240 miliardi.
Invano migliaia di scienziati avvertono che il global warming di origine antropica è una congettura, non ha fondamento scientifico, e quindi è da irresponsabili impostare su di essa le politiche economiche e sociali nazionali ed europee.
Tutto deve diventare “green”, ecosostenibile, rinnovabile e su che cosa lo è o non lo è non si ammettono dubbi. Ad esempio, la Tesla Model 3, del tutto elettrica, è universalmente ritenuta un’auto davvero “green”, amica dell’ambiente perché produce poco CO2.
Invece il suo impatto ambientale, della sua batteria e della ricarica, soprattutto dove questa viene fatta usando lignite come in Germania, forse non è poi così “amichevole”. Leggendo il libro di Nicola Porro si scopre che nel 2019 il centro studi tedesco CEsifo ha messo a confronto le sue emissioni con quelle di un Mercedes diesel di ultima generazione arrivando alla conclusione che, mentre la Tesla immette nell’ambiente tra 155 e 180 grammi di CO2 per chilometro, il Mercedes ne immette solo 141.
Tuttavia, il diesel ormai è condannato, chi ancora usa macchine diesel è bollato come una specie di “monatto” che attenta alla salute del pianeta. Quanto alle energie rinnovabili, guai a mettere in discussione che siano il futuro e la salvezza del pianeta: sostenibili, inesauribili, pulite.
È dovere di ogni cittadino contribuire a realizzare la transizione abbandonando le altre: individualmente, ciascuno a casa propria, e premendo sui rispettivi governi affinché le adottino. Molti Paesi si sono impegnati a usare solo energia pulita entro il 2050. L’Ipcc (Intergovermental Panel on Climate Change) ha classificato le fonti di energia in base alla loro emissione di CO2.
Risulta che le peggiori sono il carbone e il gas. L’energia migliore è quella prodotta dalle turbine eoliche, con zero emissioni dirette e 11 grammi per quelle a terra e 12 per quelle in mare per quel che riguarda le emissioni nel ciclo di vita. Il suo utilizzo sembrerebbe quindi presentare solo indiscutibili vantaggi. Ma non è così.
Ovviamente per funzionare le turbine eoliche hanno bisogno del vento, che non sempre spira, ed è stato criticato da tempo il loro elevato impatto paesaggistico, ad esempio, e il danno che rappresentano per l’avifauna. Adesso emerge anche il problema di come smaltirle al termine del loro ciclo di vita che al massimo è di 20-25 anni.
Gli Stati Uniti prevedono di doverne rinnovare circa 8.000 all’anno nei prossimi quattro anni, l’Europa circa 3.800 all’anno e, dopo il 2022, molte di più. In tutto il mondo si tratta di smaltirne decine di migliaia e il problema non può che aumentare.
Le pale delle turbine eoliche di media taglia sono lunghe da 20 a 50 metri e superano i 50 metri nel caso di quelle più grandi. La turbina MHI Vestas V164 ha tre pale lunghe 80 metri, ciascuna del peso di 33 tonnellate, è alta 220 metri (oltre due terzi della Torre Eiffel) e pesa 5.900 tonnellate (più di 10 Airbus 380 a pieno carico). La off shore Adwen AD-180 pesa 86 tonnellate e le sue pale sono lunghe 88,4 metri.
Il primo problema, per smaltirle, è portarle via. Vanno tagliate almeno in tre pezzi e non è semplice perché sono fatte di materiali che devono resistere al continuo impatto delle particelle trasportate dal vento a velocità elevate, a temperature molto alte o molto basse, a grandi quantità di polvere, all’intensa esposizione ai raggi ultravioletti e a fenomeni meteorologici estremi come gli uragani.
Il non facile lavoro di segarle va fatto all’aperto usando speciali seghe diamantate e libera una quantità di microfibre di vetro, resine epossidiche derivate dal petrolio e altri materiali inquinanti. Non è facile farle a pezzi, ma neanche riciclarle e riutilizzarle.
Per il momento vengono quasi sempre portate in discariche create apposta dove sono interrate per evitare che inquinino l’ambiente. Ma vuol dire accumulare quantità enormi di rifiuti non biodegradabili. Alcune pale in Europa vengono bruciate nelle fornaci che producono cemento o nelle centrali elettrice, ma l’energia che se ne ricava è poca e irregolare e bruciare fibre di vetro inquina.
Il gruppo Veolia ha avviato un progetto pilota per frantumarle riducendole in polvere e cercando di estrarne delle sostanze chimiche. La Global Fiberglass Solutions ha sviluppato un metodo per ridurle in granuli e trucioli che possono essere impiegati nella costruzione di pavimenti e muri. “L’ultima cosa che vogliamo è creare problemi ambientali ancora più seri” spiegano i dirigenti di Veolia illustrando i loro progetti.
Tutti vogliono evitare di creare problemi ambientali. Ma la volontà non basta se la scienza si inchina alla ideologia ambientalista, se si decide di dare credito e ragione a una adolescente che marina la scuola, se seri e competenti scienziati “dissidenti” vengono tacitati e screditati chiamandoli “negazionisti”.