di Anna Bono
Il cantante irlandese Bob Geldof ha immancabilmente colto l’occasione della Giornata mondiale per l’Africa per accusare ancora una volta l’Italia di non mantenere i propri impegni in favore dei paesi poveri e si è spinto al punto di chiedere che per questo il presidente del consiglio Berlusconi venga escluso dal G8.
In particolare il rapporto di «One», l’organizzazione per la lotta alla povertà fondata da Geldof e Bono degli U2, denuncia che, trascorso quasi un anno, ancora il governo italiano non ha provveduto a incrementare gli aiuti ai paesi poveri, per portarli entro il 2013 allo 0,51% del Pil, come promesso durante il G8 dell’Aquila: anzi, secondo i calcoli di «One», entro il 2010 gli aiuti italiani risulteranno diminuiti del 6% rispetto al 2004 mentre stati come la Francia e la Germania, se non altro, un modesto benché del tutto insufficiente aumento del 25% lo hanno realizzato.
Le esternazioni dei personaggi dello spettacolo contro l’Occidente e contro i suoi leader sono sempre inopportune, per tante ragioni. Ma lo sono ancora di più nell’attuale frangente. Geldof sembra infatti ignorare o non capire le conseguenze della crisi economica internazionale in atto che, se non induce a rivedere le priorità – eliminare la fame nel mondo resta ovviamente un obiettivo primario – richiede di ridefinire le strategie d’azione.
I paesi europei devono innanzi tutto e per forza riuscire a garantire, concentrando tutte le loro risorse, non soltanto la qualità della vita dei loro cittadini, ma anche la disponibilità di capitali pubblici e privati da investire in attività produttive: se questa crisi non sarà superata, diventerà comunque impossibile continuare a finanziare altre nazioni che, peraltro, quasi tutte – e anche questo sembra sfuggire a Geldof – devono le difficoltà in cui versano alle dissennate politiche economiche di leadership irresponsabili, incapaci e corrotte oltre ogni limite.
Nel calcolo di quanto l’Italia investe in aiuti, Geldof, inoltre, con la sua mentalità assistenzialista, non tiene conto dei capitali che il nostro paese dedica a fini umanitari e allo sviluppo tramite accordi bilaterali invece di destinarli alla costosa e spesso inconcludente cooperazione internazionale affidata alle agenzie delle Nazioni Unite e alle Ong: l’esempio più recente è quello del summit Italia-Egitto, conclusosi con lo stanziamento di fondi per progetti che vanno dalla lotta contro le mutilazioni genitali femminili all’avviamento al lavoro dei giovani, dalla ricerca tecnologica per migliorare la produzione agricola alla collaborazione commerciale e industriale.
Questo genere di iniziative che il governo Berlusconi sta moltiplicando con successo, oltre a giovare agli interessi italiani come è giusto che sia, determina crescita economica e sviluppo umano assai più e meglio della cooperazione tradizionalmente intesa, che si tratti di aiuti umanitari o di progetti di sviluppo: è quanto sostengono da anni pochi, ma qualificati testimoni, purtroppo quasi del tutto inascoltati. Tra gli altri, vanno ricordate la giornalista free lance olandese Linda Polman, autrice di inchieste ricche di dati e ben documentate, l’ultima delle quali è stata pubblicata in Italia con il titolo L’industria della solidarietà (Bruno Mondadori, 2009) e, con tutta l’autorevolezza della propria competenza professionale, Dambisa Moyo, un’economista nata in Zambia e laureata in atenei britannici e americani, secondo cui la solidarietà alla Geldof e Bono devasta il Terzo Mondo contribuendo alla diffusione di uno stato di perenne dipendenza e alimentando corruzione e violenza. La carità che uccide è il titolo italiano di Dead Aid, il saggio in cui Moyo illustra le proprie teorie, edito da Rizzoli, 2010.
Ha dell’incredibile che la voce di uno scienziato valga meno di quella di un uomo di spettacolo, per buone che siano le intenzioni che animano quest’ultimo: sarà vero, come ha indicato nel 2009 la rivista Time, che Dambisa Moyo è diventata una delle 100 persone più influenti del mondo, ma nel 2008 il Partito conservatore britannico ha scelto Bob Geldof, non lei, come consulente in materia di povertà.