di Angelo Serra sj
Il 9 ottobre 1997 nella nota e autorevole rivista medica The New England Journal of Medicine appariva un articolo (1) nel quale, con un sottinteso ma trasparente senso di vittoria, veniva presentata una nuova via di controllo delle nascite. Iniziava così: «Le gravidanze indesiderate sono comuni; ogni anno in tutto il mondo circa 50 milioni sono interrotte. È stato calcolato che l’uso diffuso della contraccezione di emergenza negli Stati Uniti potrebbe prevenire oltre un milione di aborti e 2 milioni di gravidanze non desiderate che terminano nella nascita di un bambino».
Era dato l’annuncio della contraccezione chimica di emergenza, indicata nei casi di rapporto sessuale non protetto e definitivamente approvata negli Stati Uniti dalla Food and Drug Administration (Fda) nel febbraio 1997. Ma era anche l’annuncio di un passo falso di una Medicina disorientata, seguito presto da un altro più drammatico ancora.
La contraccezione chimica di emergenza
Con l’espressione «contraccezione chimica di emergenza» — in se stessa, come si vedrà, non corretta e per di più ingannatrice — si intende indicare un trattamento farmacologico capace di impedire l’impianto in utero di un embrione di circa cinque-sette giorni. Il procedimento. Due sono i metodi più studiati ed elaborati. Il metodo Yuzpe, derivato dal nome di uno dei ricercatori (2), era inteso a impedire l’impianto in utero dell’embrione, che aveva già raggiunto lo stadio di blastociste e terminato il suo laborioso cammino nella tuba.
Consisteva nel somministrare entro 72 ore dal rapporto non protetto una combinazione di contraccettivi orali artificiali: precisamente, 100 µg (microgrammi) di etinilestradiolo e 0,5 mg (milligrammi) di levonorgestrel; somministrazione che doveva essere ripetuta nelle stesse dosi 12 ore dopo la prima.
Il metodo progestinico, introdotto nel 1973 (3) e diffuso verso la fine degli anni Novanta, consiste invece nella somministrazione — tra le 48-72 ore dal rapporto non protetto — di una dose di 750 µg di levonorgestrel, seguita da una identica dose dello stesso farmaco 12 ore dopo. Le ricerche (4) avevano in seguito dimostrato che questi trattamenti, alterando i livelli corretti di estrogeni e di progesterone naturali elaborati dall’ovaio, provocano una desincronizzazione nell’accrescimento dell’endometrio uterino che rende così impossibile l’annidamento dell’embrione e ne causa la morte, seguita dalla sua espulsione.
Giustamente J. Wilks (5), tenendo presente come operano questi metodi a livello molecolare, concludeva la sua minuziosa analisi affermando che «di fatto questo trattamento farmacologico non può essere classificato come un anticoncezionale. È un abortivo preimpianto».
Era emersa, tuttavia, una differenza di efficacia tra i due metodi. Una Task Force (6) aveva raccolto, in 21 città di 14 nazioni, i dati ottenuti su un campione di 1.955 donne sane, con mestruazioni regolari e che non usavano contraccettivi ormonali, le quali avevano chiesto una contraccezione di emergenza dopo un rapporto non protetto. Di esse, 976 avevano ricevuto il trattamento con solo levonorgestrel e 979 il trattamento Yuzpe. I tassi di gravidanza calcolati furono rispettivamente di 1,1% nel primo gruppo (11/976) e di 3,2% (31/979) nel secondo gruppo.
Ma era anche emerso molto chiaramente (7) che il regime levonorgestrel impediva lo sviluppo dell’85% delle gravidanze iniziate, mentre il regime Yuzpe ne impediva lo sviluppo soltanto del 57%. Sulla base di questi dati era evidente la conclusione che il trattamento progestinico era meglio tollerato e più efficiente del metodo Yuzpe.
In definitiva, un recentissimo più informato e dettagliato lavoro(8, nel quale viene esaminata la più ampia e recente letteratura in merito, concludeva: «I dati oggi sono altamente consistenti con l’ipotesi che i contraccettivi di emergenza ormonali hanno un effetto post-fertilizzazione sull’endometrio» e «sostengono la posizione che l’uso della contraccezione di emergenza non sempre inibisce l’ovulazione anche se usata in fase preovulatoria, e può alterare sfavorevolmente la struttura endometriale, indipendentemente da quando essa viene usata nel ciclo, e con un effetto che dura per giorni».
In realtà, l’annidamento dell’embrione è un processo che coinvolge una serie notevole di fattori geneticamente controllati, i quali devono operare sincronicamente tra la blastociste e l’endometrio uterino in un colloquio incrociato. Tra i più importanti ricordiamo alcune proteine: la l-selectina (9), le integrine (10) e i fattori d’impianto (11).
È sufficiente l’assenza o l’inattività di uno solo di questi fattori perché il regolare processo si arresti. Ad ogni modo, il processo di annidamento è un capitolo in pieno sviluppo che, a un rigoroso esame scientifico, dimostra già l’esistenza di un vero e intenso colloquio a livello genetico tra la creatura «figlio», che ha già il suo nome dal momento della fusione dei gameti, e la madre nel periodo più delicato e importante della nuova vita. È l’interruzione di questo colloquio che ne causa la morte.
La verità mascherata. Prima ancora che la Fda, negli Stati Uniti, avesse approvato l’introduzione dei nuovi farmaci per la contraccezione di emergenza, erano stati fatti enormi sforzi dal febbraio 1996 per informarne professionisti e pubblico attraverso una 24-hour telephone hot line in inglese e spagnolo (12); informazione presto estesa attraverso siti internet.
Tra le tante affermazioni contenute in un programma educativo diffuso dall’Office of Population Research dell’Università di Princeton (13), è tipica, anche se impensabile, la seguente. Alla domanda: «L’uso della contraccezione di emergenza causa un aborto?», rispondeva: «No, l’uso della contraccezione di emergenza non causa un aborto. Infatti la contraccezione di emergenza previene la gravidanza e perciò riduce la necessità di indurre l’aborto. La scienza medica definisce l’inizio della gravidanza come l’impianto di un uovo fertilizzato nell’endometrio dell’utero di una donna. L’impianto inizia da cinque a sette giorni dopo la fertilizzazione (e si completa alcuni giorni più tardi). I contraccettivi di emergenza operano prima dell’impianto e non dopo che una donna è già gravida. Quando una donna è già gravida la contraccezione di emergenza non agisce. La contraccezione di emergenza è pure innocua al feto e alla madre».
Ci troviamo di fronte, in realtà, a una chiara falsificazione dei dati biologici e ad una manipolazione del linguaggio. Falsificazione e manipolazione suggerite da studiosi e medici. La già citata A. Glasier, del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Edinburgh, conclude il suo lavoro con questa tipica sentenza, diventata ormai obsoleta: «La prevenzione della gravidanza prima dell’impianto è contraccezione e non aborto. L’intervento entro 72 ore dal rapporto non può essere considerato aborto perché l’impianto non può avvenire fino ad almeno sette giorni dall’ovulazione, e l’uovo è capace di essere fertilizzato soltanto per un periodo di circa 24 ore» (14).
Anzi, D. E. Grimes insiste: «Anche se la contraccezione di emergenza operasse soltanto prevenendo l’impianto di uno zigote, non sarebbe abortivo. La gravidanza incomincia con l’impianto, non alla fertilizzazione. […] Ogni metodo di regolazione della fertilità che agisce prima dell’impianto non è un abortivo» (15). Falsificazione e manipolazione sostenute dalla pressione politica.
In un editoriale della nota rivista Science del 2 luglio 2004 (16), Adrienne Germain, presidente della New York-based International Women’s Health Coalition, in seguito a una decisione presa dalla Fda per impedire la libera vendita del farmaco per la contraccezione di emergenza, insisteva: «L’impatto positivo del farmaco è enorme. Esso permette alle donne di evitare gravidanze indesiderate e riduce così la domanda di aborto. […] Pochi potrebbero negare che è necessario diminuire il numero delle nascite e gravidanze non volute tra le teenagers. […] Delle 900.000 U.S. teenagers che diventano gravide ogni anno, 8 su 10 affermano che la loro gravidanza non è voluta. […] Come nazione parliamo molto di compassione, ma la politica degli U.S. sta ponendo a rischio la vita di giovani donne perseguendo strategie sanitarie concepite da ideologi che ignorano le realtà sociali e le migliori pratiche mediche».
Si può chiedere, a questo punto, se tutte le affermazioni sopra riportate — sia quelle fatte a livello informativo e educativo, sia quelle proposte a livello scientifico e sociologico — corrispondano a verità, o non rappresentino invece un linguaggio contraffatto per mascherare e nascondere la verità. In realtà, si è giunti oggi a mimetizzare, cioè a nascondere e a negare, la verità dell’embrione umano prima dell’impianto, e anche più in là, riducendolo a un cumulo di cellule disorganizzato; o a un prezioso strumento tecnologico usufruibile pur di averlo nelle mani e poterlo trattare come l’embrione di un topo o di un animale da esperimento; o a un prodotto pseudo-terapeutico vendibile o eliminabile. Soltanto in questa falsa prospettiva l’«uomo-embrione» poteva diventare il bersaglio della cosiddetta contraccezione di emergenza.
E lo è diventato! Ma nella verità oggettiva, che afferma la presenza reale del neoconcepito durante tutta la fase pre-impianto, l’aggressione dell’embrione assume il carattere di uccisione intenzionale di un reale soggetto umano.
L’aborto chimico
La ricerca di nuove vie non poteva mancare anche in questo campo, ormai legalizzato, della libertà di decisione sulla vita di un figlio non desiderato. Intorno al 1970 sembrava giunto il tempo di abbandonare, o almeno ridurre, lo spazio dell’aborto chirurgico per passare al cosiddetto aborto chimico o aborto farmacologico o aborto medico. Il procedimento. Le ricerche, intorno al 1972, avevano condotto alla sperimentazione di questo nuovo procedimento utilizzando le prostaglandine (17).
Ma negli anni Ottanta si era riusciti a individuare una via preferenziale: bloccare i recettori del progesterone, l’ormone che — prodotto dal corpo luteo presente nell’ovaio — ha un ruolo centrale nell’avvio e nella prosecuzione della gravidanza, soprattutto nei primi due mesi.
L’inattivazione di questi recettori, scoperti già dal 1970(18) negli organi bersaglio, in particolare nell’utero, avrebbe offerto la via migliore per indurre l’aborto, perché il progesterone, in assenza dei relativi recettori, non avrebbe più potuto compiere la sua funzione. Dopo che il laboratorio francese Roussel-Uclaf ebbe preparato l’antiprogestinico RU 486, denominato mifepristone, nel 1985 E. E. Baulieu (19) comunicava i risultati con esso ottenuti: in realtà, apparve il farmaco preferenziale per attuare l’«aborto chimico».
Sotto la sua azione l’endometrio uterino, dove dev’essere accolto l’embrione al sesto o settimo giorno dal concepimento, viene seriamente danneggiato, accompagnato da sfaldamento e sanguinamento fino al distacco dell’embrione stesso, il quale, in seguito alla produzione di prostaglandine che stimolano le contrazioni del miometrio, viene espulso. Risultati che furono presto confermati (20).
Oggi, nella prassi medica, il protocollo essenziale nel periodo dei primi 50 giorni di gravidanza richiede(21):
1) il primo giorno, la somministrazione di una singola dose di 600 mg di mifepristone; dose che, secondo recentissimi dati (22), potrebbe essere ridotta a 10 o 50 mg con gli stessi risultati;
2) il terzo giorno, visita del medico per accertare se è avvenuto o no l’aborto — che nel 2-5% dei casi si verifica — mediante esame ecografico e/o clinico; e, se non è avvenuto, si somministra una singola dose di 400 µg di misoprostolo (una prostaglandina), seguita da monitoraggio per almeno 4 ore;
3) il 14° giorno dalla somministrazione del misoprostolo, una visita clinica ed ecografia per l’accertamento dell’avvenuto aborto.
La frequenza attesa di aborto è di circa il 97%. Nell’8,1% dei casi, pur avendo raggiunto l’effetto abortivo non si ha l’espulsione dell’embrione, che deve perciò essere estratto chirurgicamente. Per i restanti non abortiti, circa il 3,0%, poiché si possono incontrare anomalie morfologiche incompatibili con la vita a causa soprattutto degli effetti teratogeni del misoprostolo, viene raccomandato vivamente un aborto chirurgico.
La pratica dell’aborto chimico si è ormai diffusa ampiamente: dal 1988 in Francia; dal 1991 in Gran Bretagna; dal 1992 in Svezia; dal 1999 in Israele, Russia e Svizzera e, da parte dell’European Drug Agency in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Grecia, Olanda e Spagna; dal 2000 negli Stati Uniti.
In Italia, dove la legge non si è ancora pronunciata in merito, sono ben note le recenti forti pressioni da parte di varie Aziende ospedaliere per l’autorizzazione alla sperimentazione di questa nuova pratica abortiva. Rischi e problemi. L’esperienza e i risultati di ormai circa 20 anni di applicazione di questo procedimento di interruzione volontaria della gravidanza esigono una riflessione sia dal punto di vista medico, sia da quello della donna incinta.
Sotto l’aspetto medico hanno particolare rilievo le frequenti complicazioni associate a non leggeri e non infrequenti rischi, che lasciano serie perplessità sulla validità e sicurezza delle tecniche adottate. Meritano un particolare rilievo i risultati di un’ampia e sistematica analisi compiuta negli Stati Uniti (23) sulla mortalità, stati patologici e altri eventi particolarmente significativi seguiti all’uso del mifepristone nei casi di aborto chimico, raccolti nell’espressione generale di Adverse Event Reports (Aer) ed esaminati secondo rigorosi criteri della Fda, l’autorità più alta in merito negli Stati Uniti.
Su 607 casi raccolti ed esaminati in quattro anni sono stati registrati:
1) otto casi (1,3%) deceduti di cui cinque americani;
2) 237 (39,0%) casi di emorragia, di cui 1 fatale, 42 (9,5%) gravissimi con pericolo di vita, 168 (70,8%) molto seri, di cui 68 hanno richiesto trasfusioni;
3) 66 casi (10,9%) con gravi infezioni, di cui tre fatali, quattro con rischio di vita e 43 hanno richiesto anticorpi per via parenterale;
4) 17 casi (2,8%) con gravidanze ectopiche, in cui l’impianto dell’embrione avviene in sedi diverse dalla cavità endometriale.
Inoltre sono stati necessari 513 interventi chirurgici, di cui 235 di emergenza. Va ricordato inoltre che il 40% delle pazienti furono ospedalizzate per interventi, 12 delle quali in terapia intensiva. Il lavoro concludeva: «Sebbene né i produttori né la Fda conoscano il nesso causale tra l’uso del mifepristone e gli eventi riportati, è innegabile che queste donne erano sane prima dell’uso del mifepristone e divennero malate o morirono poco dopo l’uso.
Prima di usare un medicamento un prudente operatore ne pesa accuratamente i rischi e i potenziali benefici.[…] La scelta del mifepristone rispetto alla chirurgia è basato principalmente sulla percezione della sicurezza, convenienza e privatezza; ma queste percezioni non riflettono accuratamente la realtà dell’intervento». Osservazione pienamente confermata dagli studi di B. Winikoff(24) su 2.121 donne.
Di queste: il 67,6% aveva abortito in clinica, il 21,9% in casa, l’1,2% sulla strada o per la clinica, il 3,7% altrove; inoltre il 48,6% aveva affermato che l’esperienza era stata diversa da quella attesa e, per il 34,5%, peggiore di quella sperata.
Dati tutti e osservazioni che implicano la responsabilità etica e anche legale degli operatori sanitari e dei legislatori. Per quanto riguarda la donna, un recente studio psicologico(25) su 200 gestanti che avevano scelto liberamente l’aborto chirurgico o quello chimico ha messo in evidenza che le ragioni della scelta di quello chimico erano soprattutto il timore della chirurgia, l’anestesia ed eventuali difficoltà di fertilità nel futuro, e che coloro che avevano fatto questa scelta nel periodo precedente l’esecuzione avevano livelli più elevati di sintomi ossessivi di colpa e disturbi paranoidi rispetto a quante avevano scelto l’aborto chirurgico.
D’altra parte è ben noto da tempo che l’aborto induce nella donna un forte stress emotivo(26), i cui sintomi si trascinano spesso per anni, accompagnati talvolta anche da uso eccessivo di «sostanze di abuso»(27) e anche da suicidio(28), la cui frequenza supera significativamente la media tra le donne.
La riflessione etica
Le brevi informazioni essenziali fin qui riferite su due nuovi procedimenti di interruzione della gravidanza avevano la sola intenzione di esporne gli aspetti biomedici oggettivi e rilevarne alcune ripercussioni sociali. Ora, nel pieno rispetto di quanti sono interessati e impegnati in queste tecnologie sotto gli aspetti medici, giuridici, legali e sociali, è doverosa una riflessione etica, espressione della nostra mente alla quale spetta analizzare se il comportamento offerto da questi procedimenti sia da ritenere buono o no, giusto o no, lecito o no. Quattro aspetti meritano particolare considerazione.
1) L’embrione umano: chi è? Sulla base dei numerosissimi dati oggi disponibili (29) si deve ritenere che l’embrione a una cellula (one-cell embryo), detto anche zigote, derivante dalla fusione dei gameti (ovocita e spermatozoo) è un reale individuo umano, che porta in sé tutte le potenzialità del proprio sviluppo. L’eminente embriologo S. F. Gilbert nel secondo capitolo di un suo recentissimo volume (30) — straordinario per contenuto ed equilibrio — dopo aver riportato le diverse opinioni sul quando comincia la vita di un soggetto umano (when does human life begin) sottolinea che tutte possono essere «utili per contemplare ciò che è la vita umana» e per «trovare una risposta soddisfacente ciascuno per se stesso».
Ma suggerisce anche, pur senza entrare in merito, che il costante crescere dell’informazione «può permettere una integrazione di conoscenza e di esperienza».
In realtà, a una serena e rigorosa analisi con i dati oggi disponibili appare evidente che l’embrione umano, sin dallo stato di zigote, è un individuo della specie umana, che ha quindi la natura umana ed è destinato — poste le condizioni necessarie e sufficienti — a svilupparsi secondo il proprio piano-programma scritto nel suo genoma. Basta questo destino per doverne rispettare lo sviluppo. Qualunque atto che lo impedisca è un atto contro la sua esistenza, a cui ha diritto.
Anzi, un’accurata analisi a livello filosofico conduce a concludere che già da quel momento è «persona». Scrive S. J. Heany (31): «Dal momento della fertilizzazione, un concepito unicellulare con lo specifico genotipo umano […] è materia molto ben disposta ad essere il soggetto proprio di un’anima spirituale, […] di essere cioè materia per cui tale anima è forma sostanziale».
Affermazione che era già stata accennata con particolare forza dalla Congregazione per la Dottrina della Fede (32): «Certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un’anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull’embrione umano forniscono un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona?
Il Magistero non si è espressamente impegnato in un’affermazione d’indole filosofica, ma ribadisce in maniera costante la condanna morale di qualsiasi aborto procurato. Questo insegnamento non è mutato ed è immutabile».
2) La relazione embrione-madre: paritaria o no? È oggi fuori discussione che è una relazione tra due soggetti a doppio senso fin dal primo momento della fusione dei gameti. In un recente volume degli Annals of the New York Academy of Sciences, parlando del dialogo madre-embrione, J. H. Hill(33) afferma: «La comunicazione non è a senso unico, ma è piuttosto un colloquio incrociato (cross-talk) che avviene quando proteine materne sono secrete nel microambiente dell’ovidotto e dell’utero, facilitando in tal modo la fecondazione e lo sviluppo iniziale dell’embrione».
La madre è così condotta a riconoscere la presenza di questa individualità, cioè la realtà del soggetto, che rende possibile la loro relazione interpersonale. Sarebbe assurdo pensare che sia il libero «riconoscimento» di questo soggetto da parte della madre a conferire il valore umano all’embrione e lo renda «individuo». Relazione interpersonale, che diventa sempre più intensa e complessa; ma si trasformerebbe in sopraffazione e violenza delittuosa qualora la madre volesse interromperla rifiutando il suo figlio.
3) L’aborto. È l’interruzione spontanea o intenzionale della vita di un soggetto umano nel periodo della gravidanza. L’aborto intenzionale — nelle condizioni di salute normale della donna — qualunque sia l’età del concepito e qualunque sia la ragione per cui lo si compie è sempre un’uccisione di un essere umano, anche quando fosse consentito dalla legge. Anzi, anche se rimanesse un dubbio che, per un dato periodo dal concepimento, l’embrione non sia ancora una «persona», c’è l’obbligo di astenersi da ogni atto di carattere soppressivo.
4) L’obiezione di coscienza. Va ricordato che la legge 194/1978, con la quale è stato legalizzato l’aborto volontario in Italia, non lo giustifica negando l’autonoma individualità del concepito quanto piuttosto con altre ragioni, quali in particolare la lotta contro l’aborto clandestino e la difficoltà di influire sulla volontà della donna decisa ad abortire. Ragioni che hanno condotto la Corte Costituzionale ad ammettere la liceità dell’aborto come stato di necessità e non come esercizio di un diritto di scelta della donna, e ad esigere come filtro un colloquio preventivo e dissuasivo, il rilascio di un documento e un’attesa di sette giorni.
È evidente allora che l’assunzione libera dei prodotti per l’aborto chimico e tanto più per la contraccezione è in contrasto con lo spirito della legge 194/1978. La stessa legge non poteva non riconoscere l’esigenza di salvaguardare la libertà di coscienza del medico, in una situazione così delicata che intacca il principio ippocratico alla base di tutta la condotta medica: «non nuocere».
Perciò all’articolo 9 ha disciplinato l’obiezione di coscienza all’aborto (34), sulla base di due princìpi: uno oggettivo, il rispetto della vita umana, da iscriversi tra i diritti inviolabili; l’altro soggettivo, il riconoscimento del diritto dell’obiettore a vedere tutelata la coscienza personale. Obiezione di coscienza chiaramente estensibile tanto alla contraccezione di emergenza quanto all’aborto chimico.
Sono questi i princìpi essenziali offerti da un’etica razionale che riflette sulla reale natura del concepito e sulle sue relazioni con la madre, e sulla posizione del medico nella situazione di una decisa volontà abortiva inderogabile da parte della madre.
Un richiamo di Giovanni Paolo II
Di fronte a questa situazione di una società che, nel cosiddetto «primo mondo», è attraversata da tendenze dissolvitrici nonostante tutte le apparenze di grande prosperità, si è alzata la voce autorevole di Giovanni Paolo II, attraverso l’enciclica Evangelium vitae (1995)(35), della quale ricordiamo tre passaggi significativi.
1) «Ci troviamo di fronte a uno scontro immane e drammatico tra il male e il bene, la morte e la vita, la “cultura della morte” e la “cultura della vita”. Ci troviamo non solo “di fronte” ma necessariamente “in mezzo” a tale conflitto: tutti siamo coinvolti e partecipi, con l’ineludibile responsabilità di scegliere incondizionamente a favore della vita» (n. 28). Si sente in queste espressioni il dolore e l’angoscia per l’attuale situazione.
2) «Di fronte alle innumerevoli e gravi minacce alla vita presenti nel mondo contemporaneo, si potrebbe rimanere come sopraffatti dal senso di un’impotenza insuperabile: il bene non potrà mai avere la forza di vincere il male!» (n. 29). E insiste: «È certamente enorme la sproporzione che esiste tra i mezzi, numerosi e potenti, di cui sono dotate le forze operanti a sostegno della “cultura della morte” e quelli di cui dispongono i promotori di una “cultura della vita e dell’amore”. Ma noi sappiamo di poter confidare sull’aiuto di Dio, al quale nulla è impossibile» (n. 100). È sottolineata qui la posizione di fiducia, di coraggio e di speranza che il cristiano deve mantenere.
) «Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto una grande strategia a favore della vita. Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell’uomo; nuova, perché fatta propria con più salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio e coraggioso confronto culturale con tutti» (n. 95).
È un forte stimolo all’azione. Si deve riconoscere che le grandi aspettative, che i progressi della scienza, della tecnologia e della medicina sembravano aver aperto nel campo tanto importante del dono della vita, stanno trasformandosi anche in una grave offesa e una seria minaccia per la società. Offesa e minaccia a cui si cerca di far fronte con leggi e regole nelle quali gli aspetti etici sono in gran parte elusi, se non calpestati.
La ragione ultima di ciò è evidente: nel sistema scientifico-tecnologico che domina oggi non è soltanto cambiato, ma è caduto il valore di una costante indispensabile per l’equilibrio di tutto il sistema, la costante uomo. Riconoscere il suo vero valore e, di conseguenza, la sua dignità e i suoi diritti è, dunque, urgente.
La scienza, la tecnologia e la medicina non possono calcolare né stimare con le proprie metodologie il valore di questa costante. È allora necessario che lo scienziato, il tecnologo e il medico, i quali hanno oggi un ampio potere sull’orientamento e sull’attuazione dello sviluppo sociale, pur salvaguardando le prerogative di scienza, medicina e tecnologia, non restino chiusi nel loro sistema assiomatico riduttivo, ma si aprano agli stimoli di un sistema sapienziale, che riflette un pensiero e una luce provenienti dal profondo di noi stessi criticamente interrogato.
Soltanto da tale interrogazione si potrà derivare il valore della costante uomo e, per conseguenza, ritrovare il senso dei limiti e dedurne le responsabilità nei suoi riguardi. È l’«uomo» nella sua realtà integrale a dettare, dalla propria interiorità, la norma del suo agire, base di ogni comportamento responsabile. Si richiede soltanto l’impegno di leggerla e la volontà di non rifiutarla.
Soltanto da questa trasformazione del sistema scientifico-tecnico-medico chiuso, attualmente dominante, in un sistema aperto, dove all’«uomo» sia riconosciuto il suo vero valore e, di conseguenza, la sua dignità e i suoi diritti, ma anche i suoi doveri e le sue responsabilità, la scienza, la medicina e la società tutta potranno ritrovare la via giusta. In questo sistema aperto apparirà evidente che la procreazione umana non deve ledere il diritto alla vita del concepito.
Giovanni Paolo II (36), lo esprimeva con particolare forza nella lettera apostolica Novo millennio ineunte: «Il servizio all’uomo ci impone di gridare, opportunamente e importunamente, che quanti si avvalgono delle nuove potenzialità della scienza, specie sul terreno delle biotecnologie, non possono mai disattendere le esigenze fondamentali dell’etica, appellandosi magari a una discutibile solidarietà, che finisce di discriminare tra vita e vita, in spregio della dignità propria di ogni essere umano».
Note
1 Cfr A. GLASIER, «Emergency postcoital contraception», in The New England Journal of Medicine 1997, vol. 337, 1.058.
2 Cfr A. A. YUZPE – W. J. LANCEE, «Ethinylestradiol and dl-norgestrel as a postcoital contraceptive», in Fertility and Sterility, 1977, vol. 28, 931-936; A. A. YUZPE – R. P. SMITH – A. W. RADEMAKER, «A multicenter clinical investigation employing ethinyl estradiol combined with dl-norgestrel as postcoital contraceptive agent», ivi, 1982, vol. 37, 508-513.
3 Cfr E. KESSERU – A. LARRANAGA – J. PARADA, «Postcoital contraception with D-Norgestrel», in Contraception, 1973, vol. 7, 367-379.
4 Cfr S. ROWLANDS et Al., «A possibile mechanism of danazol and ethinyl estradiol/norgestrel combination used as postcoital contraceptive agents», ivi, 1986, vol. 33, 539-545; A. W. HORNE – J .O. WHITE – E. N. LALANI, «The endometrium and embryo implantation», in British Medical Journal, 2000, vol. 321, 1.301 s; M. L. DI PIETRO – R. MINACORI, «La contraccezione d’emergenza», in Medicina e Morale, 2001, n. 1, 11-39.
5 Cfr J. WILKS, «Contracepción preimplantatoria y de emergencia», in CONSEJO PONTIFICIO PARA LA FAMILIA, Lexicón, Madrid, Palabra, 2004, 163.
6 Cfr TASK FORCE ON POSTOVULATORY METHODS OF FERTILITY REGULATION, «Randomised controlled trial of levonorgestrel versus the Yuzpe regimen of combined oral contraceptives for emergency contraception», in Lancet, 1998, vol. 352, 428-433.
7 Cfr A. J. WILCOX – C. R. WEINBERG – D. D. BAIRD, «Timing of sexual intercourse in relation to ovulation. Effects on the probability of conception, survival of the pregnancy, and sex of the baby», in New England Journal of Medicine, 1995, vol. 333, 1.517-1.521.
8 Cfr C. KAHLENBORN – J. B. STANFORD – W. L. LARIMORE, «Postfertilization effect of hormonal emergency contraception», in The Annals of Pharmacotherapy, 2002, vol. 36, 465-470.
9 Cfr O. D. GENBACEV et al., «Trophoblast L-Selectin mediated adhesion at the maternal-fetal interface», in Science, 2003, vol. 299, 405-407.
10 Cfr B. A. LESSEY et al., «Further characterization of endometrial integrins during the menstrual cycle and in pregnancy», in Fertility and Sterility, 1994, vol. 62, 497-506.
11 Cfr A. W. HORNE – J. O. WHITE – E. N. LALANI, «The endometrium and em-bryo implantation», in British Medical Journal, 2000, vol. 321, 1.301 s.
12 Cfr D. E. GRIMES, «Emergency contraception – expanding opportunities for primary prevention», in New England Journal of Medicine, 1997, vol. 337, 1.078 s.
13 Cfr «Not-2-Late.com» – The emergency contraceptive Website, in http://ec.princeton. edu/
14 A. GLASIER, «Emergency postcoital contraception», cit.,1.063.
15 D. E. GRIMES, «Emergency contraception», cit., 1.078.
16 A. GERMAIN, «Playing politics with women’s lives», in Science, 2004, vol. 305, 17.
17 Cfr S. BERGSTROM et al., «Prostaglandins in fertility control», in Science, 1972, vol. 175, 1.280-1.287.
18 Cfr E. MILGROM – M. ATGER – E. E. BAULIEU, «Progesteron in uterus and plasma. IV. Progesteron receptor(s) in guinea pig uterus cytosol», in Steroids 1970, vol. 16, 741-754.
19 Cfr E. E. BAULIEU, «RU 486, an antiprogestin steroid with contragestative activity in women», in E. E. BAULIEU – S. SIEGEL (eds), «The antiprogestin steroid RU 486 and human fertility control, New York, Plenum Press, 1985, 1-25.
20 Cfr M L. SWAHN et al., «Pharmacokinetis and clinical studies of RU 486 for fertility regulation», in E. E. BAULIEU – S. SIEGEL (eds), «The antiprogestin…», cit., 249-258; L. SILVESTRE, et al., «Voluntary interruption of pregnancy with mifepriston (RU 486) and a prostaglandine analogue», in New England Journal of Medicine, 1990, vol. 322, 645-648; T. J. CHILD et al., «A comparative study of surgical and medical procedures: 932 pregnancy terminations up 63 days termination», in Human Reproduction, 2001, vol. 16, 67-71.
21 Cfr M. L. DI PIETRO et al., Obiezione di coscienza in sanità. Nuove problematiche per l’etica e il diritto, Siena, Cantagalli, 2005, 47-87.
22 Cfr J. JIN – E. WEISBERG – I. S. FRASER, «Comparison of three single doses of mifepristone as emergency contraception: a randomised controlled trial», in Australian NZJ Journal of Obstetrics and Gynaecology, 2005, vol. 45, 489-494.
23 Cfr M. M. GARY – D. J. HARRISON, «Analysis of Severe Adverse Events related to the use of Mifepristone as an abortifacient», in The Annals of Pharmacotherapy, 2006, vol. 40, 191-197.
24 Cfr B. B. WINIKOFF et al., «Acceptability and feasibility of early pregnancy termination by mifepristone-misoprostol», in Arch. Fam. Med., 1998, vol. 7, 360-366.
25 Cfr L. LOWENSTEIN et al., «Psychological distress symptoms in women undergoing medical vs. surgical termination of pregnancy», in Gen. Hosp. Psychiatry, 2006, vol. 28, 43-47.
26 Cfr S. GINDRO et al., «Aborto volontario. Le conseguenze psichiche», Roma, Cic, 1996; C. GENOVESE, «Le conseguenze psicologiche derivanti dall’interruzione volontaria della gravidanza: i risultati di alcune ricerche», in Medicina e Morale, 2002, n. 4, 711-729.
27 Cfr D. C. REARDON – P. G. NEY, «Abortion and subsequent substance abuse», in Am. J. Drug. Alcohol Abuse, 2000, 26, 61-75.
28 Cfr M. GISSLER – E. HEMMINKI – J. LONNQVIST, «Suicides after pregnancy in Finland, 1987-94: register linkage study», in British Medical Journal, 1996, vol. 313, 1.431-1.434; C. L. MORGAN – M. EVANS – J. R. PETERS, «Suicides after pregnancy» (letter), ivi, 1997, vol. 314, 902; P. LAUZON et al., «Emotional distress among couples involved in first-trimester induced abortions», in Can. Fam. Physician, 2000, vol. 46, 2.033-2.040.
29 Cfr A. SERRA – R. COLOMBO, «Identity and status of the Human Embryo: the contribution of Biology», in J. VIAL CORREA – E. SGRECCIA (eds), «Identity and Statute of Human Embryo». Proceedings of Third Assembly of the Pontifical Academy for Life, Vatican City, February 14-16, 1997, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 1998, 128-177.
30 Cfr S. F. GILBERT – A. N. TYLER – E. J. ZACKIN, Bioethics and the New Embryology: Springboards for Debate, Sunderland (Usa), Sinauer Associates, 2005, 31-45.
31 S. J. HEANY, «Aquinas and the presence of the human rational soul in early embryo», in The Thomist 56 (1992) 37.
32 CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istruzione su il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione. Risposte ad alcune questioni di attualità, Città del Vaticano, Tip. Poliglotta Vaticana, 1987, 13.
33 J. A. HILL, «Maternal embryonic cross-talk», in C. BULLETTI et Al. (eds), Human Fertility and Reproduction: The oocyte, the embryo, and the uterus, Ann. N. Y. Acad. Sciences, 2001, vol. 943, 17.
34 Cfr M. L. DI PIETRO et Al., Obiezione di coscienza in sanità…, cit., 66-77, 121-141.
35 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Evangelium vitae, Torino, Ed. Paoline, 1995.
36 Cfr GIOVANNI PAOLO II, Lettera apostolica Novo Millennio ineunte, Città del Vaticano, Libr. Ed. Vaticana, 2001.