Due sentenze chiedono riconoscimenti per i figli «comprati» e le «doppie» mamme, pur confermando il no alla surrogazione
di Francesco Borgonovo
La tecnica è nota: l’hanno teorizzata nei libri e nelle assemblee e, da tempo, ormai la applicano con costanza e determinazione. Visto che, passando dal Parlamento – cioè da rappresentanti dei cittadini regolarmente eletti – è difficile imporre i «diritti arcobaleno», allora si tenta di aggirare le Camere e di prendere la via più breve: quella dei tribunali. Che siano i giudici a concretizzare ciò che le normali procedure democratiche tardano aconcedere.
Esistono associazioni Lgbt come Rete Lenford che si occupano proprio di questo: di condurre la battaglia nelle aule di giustizia, ricorso dopo ricorso. Non sempre le iniziative vanno a buon fine. Ma talvolta gli attivisti ottengono risultati importanti: la pressione porta frutti, anche perché il clima ideologico è decisamente favorevole alle istanze rainbow. Lo dimostrano le due sentenze della Corte costituzionale rese note l’altro ieri sera che risultano sorprendenti nei contenuti e, soprattutto, nei toni.
La Consulta si è trovata a esaminare due diversi casi, entrambi riguardanti i cosiddetti «figli arcobaleno». Bambini concepiti all’estero da coppie omosessuali grazie a tecniche che in Italia sono vietate, ovvero l’utero in affitto e la procreazione assistita eterologa.
Il primo procedimento aveva come protagonisti due uomini uniti civilmente, i quali hanno fatto ricorso alla tecnica della maternità surrogata, hanno avuto figli e hanno chiesto di vedere riconosciuto anche in Italia lo status di genitori ottenuto all’estero. La Corte di Cassazione ha rimbalzato le richiesta, cosi la pratica è finita alla Corte costituzionale.
Quest’ultima ha ritenuto inammissibile la richiesta, però nella sentenza, ha aggiunto un passaggio fondamentale: «La Corte», si legge nel comunicato stampa ufficiale, “fermo restando il divieto penalmente sanzionato di maternità surrogala. ha ritenuto che l’attuale quadro giuridico non assicuri piena tutela agli interessi del bambino nato con questa tecnica. Poiché, a questo fine, sono prospettabili differenti soluzioni, le Corte ha ritenuto, allo stato, di non poter intervenire, nel doveroso rispetto della discrezionalità legislativa, ma ha anche affermato la necessità di un intervento del legislatore
Le motivazioni della sentenza saranno rese note prossimamente ma già ora sorge più di una perplessità. Per prima cosa, non si capisce come potrebbero mai coesistere il «divieto penalmente sanzionato, posto all’utero in affitto» e una «piena tutela degli interessi del bambino» nato grazie a questa pratica. Non ci sono altre possibilità: concedere alle coppie gay di riconoscere i figli nati all’estero significa, nei fatti, aprire le porte alla maternità surrogata. Sarebbe, in sostanza, una gigantesca ipocrisia: l’utero in affitto rimarrebbe reato ma si concederebbe a gay (ed etero) di ricorrervi fuori da confini.
Ma il passaggio più stupefacente del comunicato della Consulta è quello che contiene un pressante invito al Parlamento affinché legiferi sui «figli arcobaleno». Non si tratta di un’indicazione neutra: la Corte prima dice che i bambini delle coppie Lgbt meritano maggior tutela, poi invita caldamente a fare una legge. In pratica, sta spingendo affinché il Parlamento dia il via libera al riconoscimento.
Nella seconde sentenza emessa dalla Consulta, tale invito si fa ancora più forte. In questo caso, al centro della vicenda c’è una coppia di donne che, sempre all’estero, ha fatto ricorso alla fecondazione eterologa. Nello specifico, la situazione è estremamente complicata, visto che nella coppia si presenta una -situazione conflittuale- che ha reso «impraticabile il ricorso all’«adozione non legittimante».
Da un certo punto di vista, questa storia mostra chiaramente a quali assurdità burocratiche possa condurre l’ideologia. Abbiamo due donne; una è la madre naturale di due gemelle, l’altra è la cosiddetta «madre intenzionale, cioè quella che avrebbe -condiviso fin dall’inizio- il progetto di maternità e dunque, secondo alcuni tribunali, avrebbe diritto a essere riconosciuta come madre anche se non ha alcun legame biologico con le bambine.
Peccato che le due «mamme» abbiano litigato e ora la madre biologica non permette alla «madre intenzionale» di esercitare l’«adozione in casi particolari» cioè lo strumento con cui, fino ad oggi, si è concesso agli omosessuali di diventare a tutti gli effetti genitori Una delle due donne, dunque, non può essere in alcun modo definita madre, ma gli attivisti «arcobaleno» cercano in tutti i modi di farle attribuire quel ruolo.
La Consulta, di fronte a questa situazione ingarbugliata, ha scelto di non intervenire. Ma, di nuovo ha «rivolto un forte monito al legislatore affinché individui urgentemente le forme più idonee di tutela dei minori, anche alla luce delle fonti internazionali ed europee [che già sono favorevoli a tale prassi: n.d.r.]. Dunque è un ulteriore e sentito appello al Parlamento affinché produca una legge che legìttimi l’esistenza delle due «mamme».
Non acaso, i portabandiera della causa Lgbt festeggiane, a partire da Monica Cirinnà, responsabile diritti del Pd. A suo dire, la presa di posizione della Consulta è -importante- ed è necessario e urgente dare una risposta e piena tutela alle bambine e ai bambini delle famiglie arcobaleno. E a farlo deve essere il legislatore.
Ancora una volta – dichiara la Cirinnà – la Corte mette in mora il Parlamento: «leggo le parole dì monito della Corte e avverto forte la responsabilità: come dico spesso, la politica non può ostinarsi a decidere di non decidere. Con coraggio, è davvero il momento di aprire una discussione seria, efficace, non ideologica per arrivare a una soluzione giuridica sulla base delle due sentenze della Corte, che aspetto di leggere. Quei che è certo, è che sui diritti non si può aspettare».
Davvero strepitoso: adesso i sostenitori dei «diritti Lgbt» (che diritti non sono, specie quando coinvolgono altre vite) hanno un robusto appiglio a cui agganciarsi per portare avanti le loro istanze. Con la scusa di «tutelare i bambini», si fa un altro passo avanti verso lo sdoganamento dell’utero in affitto, della fecondazione eterologa e della genitorialità artifìciale. E dato che i rappresentanti del popolo sono troppo lenti a calare le braghe, vengono caldamente invitati dall’alto a darsi una mossa. Messaggio ricevuto: se la democrazia non consente l’applicazione dei diktat, conviene scavalcarla.