Dio parla attraverso le circostanze della vita

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Racconto una storia personale, quella riguardante l’accoglienza e la nascita del mio terzo bambino, per trarre da questa esperienza alcune riflessioni…Racconto una storia personale, quella riguardante l’accoglienza e la nascita del mio terzo bambino, per trarre da questa esperienza alcune riflessioni.

La gravidanza di mia moglie, a differenza delle precedenti, è stata rattristata da un atteggiamento e da una prassi che sono ormai diffusi: la prima cosa importante che la donna deve fare è quella di accertare che il figlio sia perfettamente sano, in caso contrario bisogna indicare alla madre la possibilità che la legge le dà di eliminare rapidamente il prodotto del concepimento.

Tutte le ecografie che vengono fatte sono finalizzate soprattutto alla scoperta di qualche anomalia e gli ecografisti, per tutelarsi, insinuano sempre qualche dubbio: nel mio caso continuavano a ripetere che le dimensioni del cranio del bambino non erano normali.

Dopo i trentacinque anni vengono elencate alla futura mamma le statistiche riguardanti la possibile nascita di bambini mongoloidi o con altre tare genetiche. Si ha l’impressione di trovarsi al centro di un vero e proprio terrorismo psicologico: il ginecologo consiglia immediatamente l’amniocentesi.

L’amniocentesi è un esame non privo di rischi, in un certo numero di casi può portare alla morte del bambino, ma serve per sapere se il bambino è sano. Qualora il bambino dovesse risultare affetto da un’anomalia, alla donna viene consigliato l’aborto eugenetico.

Non si tratta di decidere se avere o no un bambino ma si tratta di decidere se uccidere o no il bambino che già vive nell’utero, anche se non lo vediamo.

Sottoporsi all’amniocentesi, per sapere se il bambino è sano, equivale già a non accettarlo, oppure significa esporsi alla tentazione di non accettarlo nel caso si venga a sapere che è malato.

Mia moglie ed io abbiamo rifiutato di fare l’amniocentesi: il ginecologo, in questo caso, vuole che la donna firmi una dichiarazione dove si assume ogni responsabilità in merito ad una possibilità di aborto che, in questo modo, viene radicalmente esclusa.

Fino agli anni ’70 la mentalità, in relazione alla gravidanza, era, per la maggior parte dei casi, fatta di accoglienza, di rispetto, di difesa della piccola vita innocente che aveva iniziato il suo sviluppo nell’utero. Una volta che la vita era stata concepita, non c’era più da decidere ed il medico era colui che curava, aiutava e consolava: questo era un valore comune, un comune modo di pensare.

Oggi la gravidanza è diventata un avvenimento triste per la donna perché c’è questo fantasma dell’aborto che costituisce una fortissima tentazione che fa leva sulla tendenza all’egoismo che è presente in ciascuno di noi.

Di fronte a questa tentazione non ci si sente più sorretti, aiutati e protetti né dalla legge, né dalla mentalità di chi è intorno a noi: e ci si può trovare in uno stato di grande solitudine.

Noi abbiamo accettato l’accoglienza della nuova vita anche se il bambino non fosse stato perfettamente sano.

Di fronte ai momenti difficili e alle scelte difficili, ci si rende conto di come la ricerca del dialogo con Dio venga prima del dialogo con gli uomini.

Infatti il dialogo serve per cercare le verità sull’uomo ma se non c’è una prima verità che ha concepito e progettato tutto ciò che esiste, se non c’è Dio, anche le altre verità finiscono per essere fondate sul nulla: senza Dio il dialogo diventa solo un mezzo per imporre il proprio parere o uno strumento per perdere tempo.

Dunque, non ci può essere un vero dialogo se non c’è Dio come non ci può essere un vero amore per gli altri se prima non c’è l’amore verso Dio e verso le sue leggi.

Ogni amore senza Dio è illusione o sentimento sterile e passeggero. L’esperienza umana insegna che in certi momenti la considerazione dei comuni interessi e dei comuni diritti è di scarsissimo peso di fronte alle passioni e agli affetti disordinati del cuore.

Non è possibile amare veramente il prossimo senza amare prima Dio e i suoi comandamenti: senza Dio finiremmo, anche senza volerlo, a causa delle passioni disordinate, per fare del male a noi stessi e al prossimo, confondendo i piaceri disordinati e momentanei con il bene e finendo facilmente per persuaderci che è falso ciò che non vorremmo fosse vero.

Non si può ignorare che l’uomo ha una natura ferita incline al male: infatti, in ogni essere umano esiste sia una tendenza al piacere, sia una tendenza alla giustizia, ma la tendenza al piacere non sempre coincide con la giustizia.

Spesso possiamo desiderare un piacere momentaneo e disordinato che entra in conflitto con ciò che è giusto e può avere conseguenze negative sia per noi che per gli altri: basta pensare al fenomeno dell’alcolismo e della tossicodipendenza e a tutti quei fenomeni sociali dove il più forte sfrutta o strumentalizza il più debole per il proprio egoistico vantaggio.

Il semplice amore umano, che nasce dalla fratellanza senza Dio – la fraternità illuministica -, finisce per ridursi ad un amore di concupiscenza che tiene legati gli uomini in vista di una reciproca utilità o di un reciproco piacere ed esso ha fine quando si esaurisce il proprio tornaconto.

La fraternità illuministica non è la solidarietà all’interno di un ordine morale naturale e oggettivo, ma un istinto collettivistico puramente animale, una generica tendenza ad essere solidali che finisce per essere posta al servizio delle passioni disordinate e delle ideologie che nascono da queste passioni.

Quando non c’è Dio gli stessi diritti umani, anche se vengono affermati, poiché non hanno più alcun riferimento con una verità oggettiva e trascendente, vengono privati di ogni solida base, non sono più sacri, definitivi e inviolabili ma finiscono per essere soggetti al potere dell’uomo che in questo modo diventa padrone di altri uomini.

La legge che permette l’omicidio-aborto dimostra che la stessa democrazia, se non si riconosce limitata da regole ultime, che neppure il principio di maggioranza può cambiare, diventa soltanto la dittatura della maggioranza sulla minoranza.

Dopo queste riflessioni, torno a parlare dei fatti relativi alla nascita del mio bambino.

Al momento del parto è sopravvenuta una complicazione rara ed imprevedibile – il prolasso del funicolo ombelicale -: il bambino, che era sanissimo, è nato in uno stato di grave asfissia.

Quando il cuore, dopo gli interventi di rianimazione, ha ricominciato a battere, mancavano gli atti respiratori: ripresa la funzionalità del respiro, i riflessi erano assenti.- Peccato -, mi dicevano i colleghi medici della rianimazione neonatale, – che un bel bambino come questo sia rimasto così gravemente danneggiato per un evento che non poteva essere previsto -.

L’ho battezzato e ho pensato di dargli, come protezione, il nome di un Angelo e della Vergine: l’ho chiamato Raffaele Maria.

Il bambino, durante la notte, si è miracolosamente ripreso e non ha avuto alcuna conseguenza per quello che è successo: neppure una conseguenza momentanea e questo è veramente strano ed inspiegabile.

Per una settimana i neurologi, attraverso esami sofisticati, hanno cercato quei danni cerebrali che non potevano non esserci, considerata la gravità e la durata dell’ asfissia: i medici della rianimazione neonatale non avevano avuto un caso così grave negli ultimi dieci anni.

Quale riflessione si può trarre da questi fatti? Se avessimo fatto l’amniocentesi, se ci fossimo accertati della salute del bambino, che cosa avremmo risolto?

Il bambino, anche se sano, poteva morire dopo la nascita, oppure poteva diventare handicappato dopo la nascita.

Una cosa è veramente certa: anche se cerchiamo di calcolare e di prevedere tutto, noi non potremo mai essere i padroni della vita e della morte.

Ho chiamato il bambino Raffaele senza sapere che il giorno in cui è nato era il giorno di San Raffaele e senza riflettere sul fatto che la parola Raffaele significa – Dio guarisce – e, nella Bibbia, Raffaele è l’Angelo che viene inviato da Dio per le guarigioni straordinarie.

Questa storia serve per capire che Dio parla e agisce attraverso le circostanze della vita ma è possibile rendersi conto di questo solo se cerchiamo Dio con la fede.

Un amico sacerdote mi ha fatto notare che, anche nei miracoli, Dio non costringe l’uomo a credere: Dio agisce sempre in modo nascosto per rispettare la libertà dell’uomo, affinché l’uomo scelga di cercarlo liberamente.

L’uomo può intuire la vicinanza di Dio solo quando cerca Dio con umiltà, con insistenza, con pazienza, quando guarda con la fede oltre l’apparenza delle cose.

Anche nei miracoli Dio offre abbastanza luce per chi vuole credere ma abbastanza buio per chi non vuole credere. Così è stato sempre.

Dopo il miracolo della resurrezione di Lazzaro, quelli che erano presenti ai fatti si divisero: quelli che vollero credere trovarono abbastanza luce per rafforzare la loro fede e quelli che non vollero credere trovarono motivi per non credere e addirittura per decidere la morte di Gesù ( cfr Gv11,45-48 ).

Il miracolo è chiaro ma anche oscuro. Per chi lo guarda con l’animo semplice, con l’animo di chi cerca Dio, di chi è consapevole della propria debolezza e della propria insufficienza, è chiaro.

Per chi lo guarda con l’animo orgoglioso e prevenuto, con l’animo di chi rifiuta ogni sottomissione a Dio e vuole cercare la salvezza solo in se stesso e nelle cose del mondo, il miracolo non solo non dice nulla ma, addirittura, può produrre l’effetto contrario: dà fastidio, sconvolge il proprio sistema di vivere e di pensare.

L’ateo che non vuole credere, anche di fronte ad una guarigione improvvisa che non trova spiegazione nella natura, non potendo negare il fatto, attribuisce la causa a forze sconosciute ma tra queste forze sconosciute rifiuta orgogliosamente di fare posto a Dio, anche semplicemente a titolo di ipotesi.

Dio si lascia trovare solo da chi lo cerca con l’animo semplice ed umile di un bambino: – se non sarete come bambini non entrerete nel regno dei cieli -, dice Gesù.

Nella parabola del povero Lazzaro ( che è stato privato di ogni bene, anche del bene della salute, ma ha preferito Dio ad ogni altra cosa, compresa la sua vita) Gesù racconta che un uomo ricco ma superbo, che è stato lontano da Dio con il cuore e con le opere, è andato all’inferno e dall’inferno supplica Abramo di mandare sulla terra le anime dei morti per avvertire i suoi fratelli dell’esistenza di Dio e dell’altra vita affinché si ravvedano.

Ma Abramo si rifiuta di fare questo e Gesù fa dire ad Abramo queste significative parole: se non ascoltano le parole di Mosé e dei profeti non si lasceranno convincere neppure se uno risorge dai morti – ( Lc 16,31 ).

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