2 Ottobre 2020
di Sara Deodati
«Troppe persone, troppi bambini muoiono ancora nel mondo perché non possono avere quel farmaco che in altre regioni è disponibile, o quel vaccino. Conosciamo il pericolo della globalizzazione dell’indifferenza. Vi propongo invece di globalizzare la cura, cioè la possibilità di accesso a quei farmaci che potrebbero salvare tante vite per tutte le popolazioni. E per fare questo c’è bisogno di uno sforzo comune, di una convergenza che coinvolga tutti. E voi siete l’esempio di questo sforzo comune».
Prendo spunto da questo recente discorso di Papa Francesco ai membri della Fondazione “Banco Farmaceutico” (Aula Paolo VI, 19 settembre 2020) per presentare, alla luce della Dottrina sociale della Chiesa (DSC), alcune riflessioni sul concetto di globalizzazione, un fenomeno principalmente sociale, culturale ed economico. In un prossimo articolo analizzerò invece i vantaggi e gli svantaggi della globalizzazione, rilevando in particolare le connessioni ed i collegamenti teorici e pratici esistenti, secondo l’analisi del sociologo Zygmunt Bauman (1925-2017), fra quest’ultima e il relativismo culturale.
L’origine del termine “globalizzazione” risale all’incirca alla seconda metà degli anni Ottanta, periodo nel quale è stato utilizzato in sede scientifica in maniera assai più intensa che nel passato. Allo stato attuale l’uso del termine è pressoché generalizzato, tanto che è virtualmente impossibile definire oggi i confini della sua diffusione in vasti settori della vita contemporanea e nelle diverse aree geografiche.
Se nella sua accezione più generale, il concetto di “globalizzazione” indica un insieme assai ampio di fenomeni, connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo, ormai esso è spesso impiegato in senso molto lato e in maniera talvolta persino contraddittoria. Si può dire che sia diventato parte stessa della “coscienza globale”, riflesso dell’impressionante proliferazione di espressioni imperniate sul termine “globale”.
Anche l’utilizzazione universale di quest’ultimo aggettivo (il suo significato preciso è “esteso a tutto il mondo” o, in senso più vago, “totale”) è indicativa del nostro attuale interesse per il fenomeno della globalizzazione. Definizioni del concetto di globalizzazione ve ne sono quindi molte, nessuna delle quali può essere considerata come definitiva anche perché si tratta di fenomeno ancora in corso e, per certi aspetti, in via di involuzione/trasformazione, come visto anche nelle affermazioni riportate di Papa Francesco.
In linee generali possiamo considerare la globalizzazione come quel fenomeno di “ristrutturazione” planetaria secondo linee culturali per cui popoli e paesi con culture simili tendono ad avvicinarsi ridisegnando così gli stessi confini politici che tendono a coincidere sempre più con quelli culturali. Le principali caratteristiche che denotano la dinamica della globalizzazione, oltre a quelle citate nella definizione di cui sopra, possono essere identificate nel suo carattere istituzionale mondiali stico e nell’ambivalenza del sostrato culturale che ne connota gli apparati dirigenti.
Dal primo punto di vista possiamo chiamare in causa quello che è stato definito il “paradosso della globalizzazione”, vale a dire il suo dispiegarsi non solo (o semplicemente) come espansione di comunicazioni, contatti e commerci attraverso il globo, ma anche trasferimento di potere sociale, economico, politico e giuridico a organizzazione globali, vale a dire organizzazioni che non sono legate ad una particolare giurisdizione sovrana e non sono governate da una particolare legge territoriale.
La globalizzazione nel suo carattere paradossale si manifesta anche nel tentativo di dare operatività all’idea della dignità umana mediante i diritti dell’uomo (codificazione realizzata con le varie Carte e Dichiarazioni universali), così riprendendo una conquista della cultura occidentale di matrice cristiana, sviluppando però tale patrimonio a livello globale tramite una versione antitetica del processo di “civilizzazione scientifica”, ispirato cioè al materialismo ed all’utilitarismo (per questo di «globalizzazione dell’indifferenza» ha parlato Papa Francesco fin dai primi giorni del suo pontificato).
Per quanto concerne invece il suo carattere ambivalente, intendiamo riferirci all’evidenza per cui, la cultura dominante della globalizzazione, assume fondamentalmente due volti, quello cioè dei leaders economici e d’affari internazionali (la “Davos culture”, dalla località della Svizzera nella quale ogni anno è ospitato il “World Economic Forum” con presidenti e primi ministri, banchieri centrali e boss di multinazionali e “centri di ricerca” vari) e quello dei centri che promuovono le idee e i comportamenti degli intellettuali occidentali, come ad es. le agenzie (e ideologie) che promuovono i diritti umani, il femminismo, l’ambientalismo, il multiculturalismo ecc.
Queste due forme di cultura diffusa (il cosiddetto mainstream mediatico-socio-culturale) spesso si compenetrano ed, a volte (apparentemente), entrano in conflitto fra di loro. Alla luce della DSC ci sembra perè di poter dire che la Davos culture ed il “Politicamente corretto” hanno in comune il carattere dell’individualizzazione, vale a dire l’ideologia del distacco dell’individuo non solo dalla tradizione e dal senso della comunità (o della collettività genericamente intesa) ma anche da qualsiasi tipo di legame al trascendente.