Rapporto delle Nazioni Unite
È stato il più grave incidente atomico mai avvenuto sulla Terra: l’ esplosione della centrale nucleare sovietica di Chernobyl, in Ucraina, il 26 aprile 1986. A vent’ anni di distanza il bilancio reale di quell’ incidente, in termini umani e ambientali, sembra inferiore alle previsioni. Lo rivela un sorprendente studio dell’ Onu pubblicato ieri a Vienna.
Il rapporto è stato preparato da un gruppo di oltre cento scienziati di tutto il mondo, compresi esperti di otto agenzie delle Nazioni Unite, in vista del convegno su Chernobyl che si terrà oggi e domani, a Vienna, con la partecipazione di esperti e rappresentanti dei governi di Ucraina, Bielorussia e Russia, che sono gli Stati più vicini al luogo della catastrofe.
Un dato per tutti: lo studio in 600 pagine sull’ «eredità di Cernobyl» calcola che sarà di quattromila (e non decine di migliaia come stimato nell’ 86) la cifra finale dei morti legati al caso Chernobyl. Di questi, però, soltanto 56 sono «direttamente attribuibili» alle radiazioni: quasi tutti operai che quel giorno lavoravano all’ impianto.
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L’Occidentale 17 Settembre 2007
L’Italia ha bisogno del nucleare ma deve sconfiggere l’effetto “Chernobyl”
di Dario Giardi
Si avvicina l’inverno e come ogni anno il nucleare torna prepotentemente nell’agenda e nei discorsi di molti esponenti politici. In una lettera pubblicata sul Corriere della sera, è lo stesso leader Udc Pier Ferdinando Casini, a ribadire che riconsiderare l’opportunità di rilanciare anche da noi il nucleare non e’ una provocazione culturale ma piuttosto una seria opzione di politica industriale ed energetica del Paese.
Ma che per l’Italia la reintroduzione del nucleare è una scelta obbligata da diversi punti di vista, è ormai chiaro a tutti. Il nucleare è indispensabile se vogliamo ridurre la nostra dipendenza da risorse energetiche quali petrolio e gas e se di conseguenza vogliamo sottrarci al potere di ricatto che i paesi produttori esercitano in tutti i campi nei nostri confronti. Inoltre, ci troviamo di fronte a un paradosso: quello d’importare energia elettrica generata da reattori nucleari che si trovano alle porte di casa nostra, in paesi come Francia e Slovenia. Il 15-18% dell’energia elettrica che importiamo dalla Francia deriva da combustibile nucleare.
A questo punto, in un’ottica di autonomia energetica, non sarebbe più ragionevole che anche l’Italia si dotasse di reattori nucleari? C’è poi il problema dei costi. La richiesta di energia è in costante crescita e nel lungo periodo la bolletta energetica si farà sempre più insostenibile per i consumatori, dai cittadini alle imprese, che devono pagarla.
La reintroduzione del nucleare avrebbe l’effetto di alleggerirne il peso a vantaggio di tutti. Il costo dell’energia elettrica generata da reattori nucleari è di gran lunga inferiore a quella prodotta da altre fonti. Basti pensare che il costo dell’energia elettrica prodotta dai reattori nucleari francesi è più basso dell’energia elettrica prodotta in Italia da altre fonti. In particolare, il ricorso alle fonti rinnovabili comporta costi elevatissimi, per di più ingiustificati in rapporto alla loro reale capacità di generare energia.
Se è così, cosa impedisce all’Italia di reintrodurre il nucleare? Tecnicamente parlando, non esistono elementi ostativi. In ogni momento è possibile comprare un reattore e predisporne l’installazione sul nostro territorio. Il problema semmai è di natura culturale. In Italia, certa propaganda, a partire da una percezione erronea ed esasperata del disastro di Chernobyl, ha diffuso nell’opinione pubblica la fobia della tecnologia, con il risultato che oggi la semplice parola nucleare viene associata a quanto di peggio possa esistere.
In un recente rapporto stilato dal “Chernobyl Forum” (che comprende agenzie dell’ Onu ed in particolare l’ Agenzia internazionale per l’energia atomica e l’Organizzazione Mondiale della Sanità) emerge come dopo 19 anni dalla tragedia solo 56 morti si potrebbero attribuire direttamente a quelle radiazioni.
Il documento continua dicendo che la tragedia di Chernobyl sarebbe la tragedia più gonfiata della storia e che le cifre di centinaia di soccorritori contaminati, migliaia di bambini malformati e milioni di persone a rischio sarebbero tutte ingigantite. La realtà sarebbe un’altra: le cifre sarebbero state falsificate per attirare compassione e finanziamenti. A leggere questo rapporto si rimane quantomeno sconcertati e spiazzati.
Gli effetti di quell’incidente sono stati esaminati – a 10, 15 e 20 anni di distanza – anche dall’Unscear (Comitato scientifico dell’Onu sugli effetti delle radiazioni atomiche) i cui rapporti rappresentano il lavoro di oltre 100 scienziati appartenenti a 20 nazioni diverse. Ogni rapporto conferma i risultati del precedente: il numero totale di decessi attribuibili all’incidente di Chernobyl non è stato le decine o centinaia di migliaia di cui si è favoleggiato, ma è inferiore a 60.
Più precisamente, 3 lavoratori morirono sotto le macerie dell’esplosione, e dei 237 tra lavoratori nella centrale e soccorritori cui fu diagnosticata la sindrome acuta da radiazioni (poi confermata a 134 di essi), 28 morirono entro pochi mesi. Dei rimanenti, ulteriori 19 sono morti tra il 1987 e il 2004 «per varie cause» (uno di costoro, ad esempio, morì in incidente d’auto). Gli altri sono ancora vivi.
Meno di 60, appunto, e non le migliaia che molti organi d’informazione (si fa per dire) e responsabili politici hanno asserito (e continuano indisturbati ad asserire). Costoro, piuttosto, sono i veri responsabili del più grave danno sanitario riscontrato dallo studio dell’Unscear secondo cui le conseguenze psicologiche subite dagli abitanti le zone vicine all’incidente sono state simili a quelle dei sopravvissuti alle bombe atomiche.
La cattiva informazione e la propaganda terroristica «etichettarono quelle popolazioni come “vittime di Chernobyl” attribuendo loro il ruolo di invalidi, e incoraggiandoli a percepire sé stessi come disperati, deboli e senza prospettiva di alcun futuro; ed è noto che se una situazione è percepita come reale, essa diventa reale nelle sue conseguenze.
Naturalmente, tutti credono che sia la più pericolosa, perché così è stato fatto credere da chi ha avuto l’interesse, tutto politico, a demonizzarla. Altri diranno che i rapporti delle Nazioni Unite non fanno altro che difendere gli interessi delle grosse potenze occidentali nucleariste. A questo punto però bisognerebbe mettersi d’accordo circa la corretta interpretazione e legittimazione dei rapporti ONU. Non si capisce, infatti, perché se l’ONU denuncia i cambiamenti climatici e la fame nel mondo diventa la fonte più autorevole esistente e quando analizza gli effetti del nucleare e le sue prospettive diviene strumento guidato dagli interessi del capitalismo mondiale. O è vero tutto o tutto è in discussione.
Ma volendo rimanere alla fobia del nucleare, è facile dimostrare come questa non trovi giustificazione nella pericolosità che questa fonte di energia porta con sé. Il nucleare, infatti, non è la sola fonte di incidenti gravi: tutti ricordano Chernobyl, ma anche altre fonti hanno fatto (e tuttora fanno) molte vittime (dirette e indirette). Per il carbone ci sono 6-7mila morti l’anno (soprattutto derivanti dal lavoro in miniera).
Il gas naturale: 1984, Messico a San Juanito esplosero diversi serbatoi di gas uccidendo 550 persone e ferendone 7mila. 300 mila persone furono evacuate. E milioni di metri cubi di gas e di chissà quali altri materiali pesanti (metalli, plastiche, vernici, solventi…) sono stati immessi nell’atmosfera.
Il petrolio: oltre le innumerevoli petroliere che perdono petrolio e inquinano il mare esistono anche innumerevoli disastri dimenticati: 1998, Warri Nigeria la perdita di un oleodotto provocò la morte di più di 500 persone; o Seul 1994, dove in seguito all’esplosione di diversi serbatoi di carburante morirono altre 500 persone; o Durunkha Egitto dove in seguito all’esplosione di un pozzo di petrolio morirono più di 600 persone… e ce ne sono molti altri. Idroelettrico: 1963 Vajont, con quasi 2000 morti. Ma in nessuno di questi disastri ci si è però curato di controllare le sostanze cancerogene immesse nell’atmosfera nè di calcolare le possibili vittime a lungo termine.
Quella per la reintroduzione del nucleare è dunque una battaglia culturale. Esattamente. È necessario creare un clima sociale di consapevolezza e accettazione che renda possibile l’installazione d’impianti per la produzione di energia nucleare in territorio italiano. Ed è cosa tutt’altro che facile. Le resistenze sono molte.
Va poi considerato che nelle società industriali avanzate la popolazione è solitamente refrattaria alle decisioni di carattere impositivo. Costruire una centrale nucleare senza il consenso della cittadinanza è impensabile, perciò è necessaria un’opera di re-informazione dell’opinione pubblica in modo da renderla consapevole dei suoi stessi bisogni energetici e da creare quel clima sociale di consapevolezza e accettazione che è patrimonio comune di tutti i paesi industrializzati tranne il nostro.