Giuliano Ferrara
Nel colossale discorso di Regensburg, che pubblichiamo integralmente, Benedetto XVI, tornato in veste papale nel suo vero luogo di combattimento intellettuale e pastorale, che è l’università e la cattedra di teologia, dice inequivocabilmente questo (e lo dice con una sottigliezza di pensiero non inferiore al coraggio politico e culturale): siamo ebrei, greci e cristiani, e Maometto e il suo Dio sono altro da noi.
Infine: per riconoscerci quali siamo, dobbiamo sbarazzarci del riduzionismo e del relativismo moderni, dall’idea che la fede e l’amore e la ragione non abbiano un rapporto stretto, di vera analogia, con la verità, con l’essere, con la metafisica, con l’esperienza di fede del divino incarnato (le fonti del conoscere e del credere non appartengono – come dicono moderni e postmoderni – al soggetto, al fare, all’esperimento scientifico, all’ordine del discorso, alla storia, ma all’essere).
Molti giornali oggi diranno che “il Papa attacca l’islam” o edulcoreranno le sue parole, la solita semplificazione e atroce banalizzazione di un grande pensiero dell’identità, delle radici giudaiche e cristiane, e greche, della civiltà occidentale. Lo faranno sulla scorta di una citazione del discorso papale, quella dell’imperatore di Bisanzio Manuele II Paleologo che annota, alla fine del XIV secolo, questo suo scambio con un persiano: “Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo, e vi troverai soltanto delle cose cattive e disumane, come la sua direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede che egli predicava”.
Una citazione sapientemente addolcita dalla precedente menzione di una sura cranica del tempo giovanile, nota Ratzinger, “in cui Maometto stesso era ancora senza potere e minacciato”, che dice: “Nessuna costrizione nelle cose di fede” (sura 2, 256). Ma quella dell’imperatore è una citazione “crociata” poi spiegata senza scrupoli ipocriti, sempre da Ratzinger: l’imperatore cristiano condanna la dottrina islamica del jihad in nome della ragionevolezza del Diologos, del Dio di ragione, che “non si compiace del sangue” e che danna “il non agire secondo ragione” come “contrario alla natura di Dio”.
“Per la dottrina musulmana, invece – nota Ratzinger sulla scorta del curatore moderno del dialogo tra Manuele II Paeologo e il persiano – Dio è assolutamente trascendente. La sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, fosse anche quella della ragionevolezza”. Più chiaro e più culturalmente scorretto di così un grande Papa non avrebbe potuto essere: il Dio islamico è diverso, e radicalmente diverso, dal nostro.
Per essere più chiaro ancora, Benedetto XVI aggiunge: “Qui si apre, nella comprensione di Dio e quindi nella realizzazione concreta della religione, un dilemma che oggi ci sfida in modo molto diretto”. Chiaro? C’è un campo che è quello della Bibbia, del vangelo di Giovanni con il suo Logos e del pensiero greco, e un campo che è quello della religione di conquista, della religione naturale che è anche politica e violenza in nome di un Dio arbitrario, lontano e separato dalla ragione umana.
Ma solo una lettura volgare e semplificatrice può parlare di un “attacco all’islam”. Il Papa della ragione, così come lo definimmo al tempo della sua elezione, ha un altro obiettivo, che si rende manifesto nel resto del suo straordinario discorso di Regensburg: evangelizzare l’occidente, correggere l’apostasia della fede, la deriva agnostica e indifferente, ma farlo con una grande apertura razionale, con una riellenizzazione del cristianesimo, che ripropone la grandezza paolina, agostiniana e tomista della cultura e della prassi cristiana, la sequela di Cristo, in una solida alleanza con la metafisica, cioè con un pensiero che indaga la verità dell’essere, cioè della condizione naturale, umana e misteriosa o divina del mondo.
Il Papa teologo e filosofo affronta poi la questione dirimente: esamina come l’occidente abbia perso, disellenizzando il cristianesimo nel passaggio dal medioevo alla modernità, questo contatto con la ragione oggettivistica, con una ragione che comprende la fede e che la fede è in grado di comprendere, a favore degli aut aut esistenzialistici, di un Dio totalmente altro, di un Dio che si invera sola Scriptura, il Dio della coscienza, il Dio che Lutero sperimentò nel suo dramma del chiostro e scagliò contro Roma e la sede petrina, il Dio di von Harnack e di Karl Barth e delle subculture cristiane dell’amore e della differenza oggi in voga.
La sua cavalcata attraversa l’illuminismo radicale, quello ateo, e Kant, che riduce la fede a campo pratico, morale privata. E si conclude con il traguardo che era prevedibile sulla base di tutta la teologia di Ratzinger, pensiero forte a contatto con lo spirito e di drammi della nostra epoca debole: “Una ragione che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture è incapace di inserirsi nel dialogo tra le culture”.
E’ il manifesto dell’identità occidentale come identità ebraica, greca e cristiana, letto ieri a Regensburg.