Abstract: disillusi dalla politica e senza speranza; annoiati e abbandonati davanti a un televisore, alla ricerca delle solite trasgressioni, disillusi dalla politica e senza speranze. Un Paese che muore quasi senza saperlo.
Alleanza Cattolica Martedì, 14 febbraio 2023
La “banalità del male” e l’astensionismo
Prime considerazioni sul risultato elettorale e su Sanremo
di Marco Invernizzi
Il dato che più colpisce di quanto avvenuto nell’ultima settimana è il grande astensionismo nelle elezioni nelle importanti regioni di Lombardia e Lazio, che riguardano anche le due più importanti città italiane. Praticamente sei abitanti di Lazio e Lombardia su dieci non sono andati a votare e a Roma ha votato il 33% degli aventi diritto. Il distacco fra il Paese reale e la politica sembra aumentare sempre di più, come se la gran parte degli italiani vivesse una vita completamente separata dalle vicende politiche, regionali o nazionali che siano.
È un fatto importante, da analizzare, che indica come le forze politiche siano tutte incapaci di offrire un minimo di speranza politica ai cittadini, ma anche come la maggioranza degli italiani sia completamente lontana da ogni interesse per la vita pubblica.
È positivo che in entrambe le regioni abbia vinto il centro-destra, ma è necessario che ogni valutazione tenga conto dei numeri reali e non solo delle percentuali. Il 50% del 40% è una grande vittoria politica, ma debole quanto al consenso reale.
Settimana scorsa si è anche svolto il Festival di Sanremo, la kermesse popolare che ogni anno dovrebbe rappresentare un’occasione di festa popolare per gli italiani. Esso quest’anno, più ancora delle precedenti edizioni, è apparso come il festival del “politicamente corretto”, nel quale si è volutamente rappresentata la “banalità del male”, come disse Hannah Arendt di fronte a casi ben più seri.
“Male” certamente per tutto quello che è stato evocato positivamente, dal sesso libero al poli-amore, dal presunto razzismo degli italiani da parte di una icona sportiva “nera” della nazionale italiana di pallavolo al rifiuto della maternità come modello positivo, tra l’altro in un tempo segnato, particolarmente in Italia, da un drammatico inverno demografico, che metterà a rischio l’esistenza stessa dell’Italia come popolo.
“Male” perché si è voluto approfittare dell’evento per esaltare e richiedere la legalizzazione della droga e attaccare espressamente il governo degli italiani da parte di un ente, la Rai, che impone a ciascuno di noi un balzello annuale per restituire un servizio che dovrebbe essere pubblico. “Male” perché tutto ciò è avvenuto ostentatamente per decine di ore, spalmate su cinque giorni, in una serata addirittura alla presenza del Capo dello Stato, che non ha neppure ritenuto suo dovere esprimere in qualche modo il suo disappunto.
“Male”, infine, espresso in maniera “banale”, tra una canzone e l’altra, tra ballerine e influencer svestite per attirare un’attenzione morbosa, con gesti provocatori con l’obiettivo di esaltare la fluidità nei rapporti sessuali.
Tutto questo sembra abbia avuto un successo di pubblico straordinario. Se è vero questo dato, merita una riflessione perché, se molti milioni di italiani hanno guardato e condiviso il messaggio culturale veicolato da Sanremo, questo consenso, questa sintonia, nella misura in cui è vera, ci deve preoccupare. Perché non serve indignarsi, anche se sarebbe giusto che un governo eletto dagli italiani cercasse di sostituire o comunque limitare espressioni culturali che contraddicono il suo programma e i suoi valori. Non serve indignarsi se il consenso è autentico: bisogna, invece, impegnarsi per cambiare la cultura che concorda con quanto il Festival ha espresso.
Infatti, la caratteristica di un Paese occidentale come il nostro, e che lo distingue dai Paesi del “dispotismo orientale”, dove tutto è dominato dallo Stato, sta proprio nel modo di pensare e di vivere delle persone, cioè nella loro cultura, organizzata nelle diverse articolazioni della società.
E un cambiamento culturale non può avvenire soltanto perché lo vuole un governo, ammesso che lo voglia veramente. Un governo non può cambiare il cuore delle persone, può soltanto favorire, non ostacolare, aiutare quelle forze della società che possono, se vogliono, cercare di educare al vero, al bello e al bene. Ma questo lavoro culturale dobbiamo farlo noi, deve nascere dalla società e dovrebbe anzitutto vedere impegnata in prima persona la Chiesa, attraverso le tante realtà che a essa fanno riferimento.
In fondo c’è un legame fra la cultura espressa dal Festival di Sanremo, “sazia e disperata” avrebbe detto il cardinal Biffi, triste e vecchia come ha scritto Giovanni Orsina su La Stampa, e la disperazione politica che emerge dal non voto della maggioranza di lombardi e laziali: annoiati e abbandonati davanti a un televisore, alla ricerca delle solite trasgressioni, disillusi dalla politica e senza speranze. Un Paese che muore quasi senza saperlo.
Eppure, e tuttavia, questa non può essere l’ultima parola.
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