di Stefano Fontana
La società italiana ha bisogno di uomini come don Oreste Benzi? Era solo un prete o anche un cittadino italiano? Credeva solo in Dio o anche nell’uomo? Viveva solo in sagrestia o anche nelle pieghe – e nelle piaghe – della società? La morte di don Oreste Benzi dovrebbe farci riflettere tutti sull’assurdità delle contrapposizione laiciste alla religione cristiana. Non c’è dubbio: la società ha bisogno dei don Benzi e la sua morte lascia un vuoto anche civile, oltre che religioso.
C’è anche un welfare che trae origine dalla preghiera e rappresenta una ricchezza per la società intera non solo in quanto welfare, ma proprio perché trae origine dalla preghiera. Di solito lo spirito laico apprezza l’aspetto sociale della religione: l’aiuto ai poveri, le iniziative del Cottolengo, di don Calabria, di don Benzi. Ben vengano. Ma è meno propenso ad accettarne la scaturigine: la fede, la preghiera, l’inserimento nella vita della chiesa, insomma: la religiosità.
Bene la religione, finché fa opere di bene e si limita a queste. Male per il resto, perché sarebbe alienazione. Già nell’Ottocento venivano soppressi gli ordini religiosi contemplativi: a cosa servivano se non a rimbecillire?
Mentre venivano lasciati benevolmente in vita quelli a sfondo sociale. Ma don Benzi ci dice che così non è. Che tutta l’azione sociale della Chiesa è inserita nell’intera vita religiosa e da essa non può essere separata. Lui non l’aveva separata. Chi oggi gli fa onore, quindi, non deve separarla. Non si può chiedere al cristianesimo di essere solo un’etica pubblica, la vera laicità lo considera una religione. Se la società ha bisogno dei don Benzi, allora ha anche bisogno del Dio cristiano, perché tutto quello che don Benzi ha fatto lo ha fatto in suo nome.
La laicità ideologica è anche maggiormente disposta a valorizzare i preti sociali senza tonaca. Nell’ambito dei preti sociali essa preferisce quelli che contestano la gerarchia ecclesiale, che sulle questioni morali viaggiano sul filo del rasoio e talvolta superano il segno, che parlano più di problemi di struttura che di coscienza, che scrivono sui giornali della cultura di sinistra.
Don Benzi portava ancora la tonaca nera e quella sua papalina da parroco di campagna. Era un vero parroco, il parroco dei poveri e degli abbandonati, obbediente alla Chiesa, senza velleità ideologiche di “cambiare il sistema”. Prendeva il Vangelo sul serio e, soprattutto, prendeva “tutto” il Vangelo sul serio, senza farsene uno proprio. Non era un prete progressista.
Per aiutare i giovani a liberarsi dalla droga non aveva bisogno né di andare contro l’insegnamento della Chiesa, né di denunciare le “ricchezze” e il “potere”del Vaticano, né di partecipare a congressi di partito. Non ha mai partecipato alla Assisi-Perugia, partecipava sempre alla Macerata-Loreto. Come tende a separare l’azione sociale dall’ispirazione religiosa, la laicità ideologica tende anche a separare il cristiano, e specialmente il prete, impegnato nel sociale dalla Chiesa. Don Oreste Benzi non si è mai prestato a questo gioco.
Quando un cristiano si impegna in campo sociale e politico lo fa sempre con la totalità della sua esperienza ecclesiale e di fede. Non può svestirsene e scendere sul piano di una presunta laicità neutra. Sarebbe come dire che Cristo, per lui, è solo utile ma non indispensabile. Ma anche una sana laicità non dovrebbe chiedere questo al cristiano. Un cristianesimo solo “sociale” non è più cristianesimo e di un cristianesimo solo orizzontale la società stessa non saprebbe che farsene. Basterebbero i progetti ministeriali e i finanziamenti degli assessorati regionali al welfare.
(A.C. Valdera)