La Croce quotidiano 20 aprile 2017
Le Dehoniane ripropongono dopo ottant’anni il classico del parroco di Bozzolo. Impreziosita dall’introduzione di Mario Gnocchi
di Giuseppe Brienza
Dopo ottant’anni le edizioni Dehoniane propongono per la prima volta la versione integrale della nota opera di Don Primo Mazzolari (1890-1955) “Tra l’argine e il bosco” (EDB, Bologna 2016, pp. 304, € 22,50), nell’edizione critica a cura di Mario Gnocchi, membro del Comitato scientifico della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo (www.fondazionemazzolari.it) e collaboratore della rivista “Impegno”. Nella sua lunga e accurata introduzione (pp. 5-55) Gnocchi ricostruisce il processo che ha portato alla pubblicazione del libro attraverso un quindicennio di riflessioni ideali e annotazioni autobiografiche.
La casa editrice cattolica ripropone per la prima volta integralmente e senza interpolazioni il testo della prima edizione, pubblicata da Vittorio Gatti Editore nel 1938, della nota opera sulla parrocchia rurale del parroco di Bozzolo. Il libro era stato infatti variamente rimaneggiato nelle edizioni successive (1962, 1966, 1977) con l’espunzione di alcuni capitoli, l’inserimento di altri e l’aggiunta delle note introduttive.
Nel volume è riproposta anche la “Prefazione” originale (pp. 59-63), scritta nel 1938, di un sacerdote amico di Mazzolari, Don Antonio Novi, che presenta curiosamente una visione molto diversa da lui riguardo alla società ed alla “cristianità” italiana del tempo. Mentre per Novi infatti negli anni Venti e Trenta si doveva esser lieti da parroci di vivere in «quest’Italia in rinascenza cattolica» (p. 62), appena arrivato nella sua prima parrocchia a Cicognara, in provincia di Mantova, nel 1921, per Don Primo le cose non andavano esattamente come certe visioni ecclesiali “trionfalistiche” allora predicavano.
In uno dei capitoli più toccanti del libro, intitolato “La vocazione del mio parroco” (pp. 89-97), che riprende un articolo pubblicato il 3 maggio 1926 sul quotidiano cattolico “L’Italia”, Mazzolari descrisse così l’accoglienza ricevuta al suo primo incarico parrocchiale: «Senza inservienti, senza chiave, quasi senza chiesa. Se fosse stato solo avrebbe pianto. […] Anche il focolare pareva estraneo, quasi ostile. Non c’era che andare a letto. – “Buona notte. Chiudi bene la finestra. Ce l’ha raccomandato anche il prete di… Non c’è da fidarsi” – disse. […] Un rimpianto. A trent’anni non è facile lasciarsi perdere. Anche il rimpianto però è cosa che inghiotte. Si provò a pregare: poteva appena piangere. Nessuno lo vedeva. Come è duro incominciare! E qualcuno invece – quelli che in seminario parlano senza aver vissuto – gli aveva raccontato di accoglienze festose, come se il popolo fosse sempre a braccia spalancate in attesa del prete» (pp. 94-95).
A Cicognara don Primo si fece in effetti le ossa come parroco, sperimentando iniziative, riflettendo, annotando idee e, soprattutto, cercando forme nuove per accostare tutti coloro che si erano ormai allontanati dalla Chiesa. Il paese, infatti, connotato da una forte presenza di attivisti socialisti, era stato progressivamente “catechizzato” alla diffidenza e all’odio verso il clero e la vita soprannaturale. Mazzolari cercò in vario modo di valutare positivamente le tradizioni popolari contadine, come la festa del grano e dell’uva, ma non trascurò di riproporre il valore salvifico dei Sacramenti e del Vangelo, non mancando di continuare a commemorare i caduti in guerra e le ricorrenze patriottiche in contrasto all’internazionalismo proletario predicato dalle locali sezioni PCI e PSI. Come Don Lorenzo Milani (1923-1967), del quale ebbe stima nel secondo dopoguerra e ne fu ampiamente ricambiato, anche Don Primo organizzò nella sua parrocchia una scuola serale per i contadini e per i loro figli, istituendo una “biblioteca popolare”.
La maggior parte dei capitoli dei quale si compone “Tra l’argine e il bosco” sono di taglio autobiografico (“Tre madri e un mendicante”, “La Nina” e “Primi incontri”), con pagine di vero misticismo (v. “Finestre sull’eterno”) e, insieme, di originale riflessione sulla “Chiesa dei poveri”, sulla parrocchia, sull’evangelizzazione dei «lontani», sulla pace e sulla giustizia sociale (cfr., ad es., “Il mio parroco tra i poveri”, “Il mio parroco tra i ricchi” e “La predica ai pesci”). Nell’Appendice sono resi disponibili invece i Capitoli aggiunti da Mazzolari nella seconda (1962) e terza (1966) edizione del libro, difficilmente reperibili, pubblicati sempre dall’editore Gatti di Brescia.
Don Primo Mazzolari, nato a Boschetto, una frazione di Cremona, il 13 gennaio 1890, proviene da una famiglia legata alla terra da motivi non solo di lavoro ma anche di tradizione ed attaccamento esistenziale. Ordinato giovanissimo, il 24 agosto 1912, ha trascorso quasi tutta la sua vita sacerdotale come parroco di piccoli paesi di campagna a due passi dal Po, prima Cicognara e poi Bozzolo (Mantova), paesino nel quale morì il 12 aprile del 1959. Arricchitosi dal punto di vista umano e spirituale con l’esperienza da cappellano militare fatta nella prima guerra mondiale, nei suoi scritti e predicazioni del dopoguerra ha saputo attirare l’attenzione della società e della cultura cattolica, non sono italiana, grazie al suo modo di scrivere, di vivere e di proporre il Vangelo.
All’atto dell’ingresso dell’Italia nel primo conflitto mondiale, Don Primo decise di offrirsi volontario e fu così inserito nella Sanità militare e subito impiegato negli ospedali di Genova e poi di Cremona. Il timore di sentirsi un “imboscato”, lo spinse però subito a chiedere il trasferimento al fronte e, nel 1918, fu destinato come cappellano militare a seguire le truppe italiane inviate in Francia. Rimase qui nove mesi ma, rientrato nel 1919 in patria, sollecitò e ricevette altri incarichi nell’ambito del Regio Esercito Italiano, compreso quello di recuperare le salme dei caduti nella zona di Tolmino. Nel 1920 seguì un periodo di sei mesi trascorso in Alta Slesia insieme alle truppe italiane inviate per mantenere l’ordine in una zona che era stata forzatamente ceduta dalla Germania alla neonata Polonia.
La decisione e la radicalità di vivere il sacerdozio e l’impegno sociale e culturale, attirarono su Don Mazzolari alcune misure disciplinari da parte della gerarchia ecclesiastica dell’epoca, in parte legate all’attività di critica, da sacerdote non da politico, al fascismo. Già nel 1922 egli scrisse, a proposito delle simpatie di certi cattolici verso il nascente regime, che «il paganesimo ritorna e ci fa la carezza e pochi ne sentono vergogna».
Nel novembre 1925 rifiutò di cantare solennemente il Te Deum dopo che era stato sventato un complotto per attentare alla vita di Benito Mussolini. Egli preferiva infatti mantenersi su un piano esclusivamente religioso, tanto che perfino nel 1929 si differenziò dall’atteggiamento entusiastico di tanti vescovi e preti, non andando neppure a votare al plebiscito indetto da Mussolini dopo la firma dei Patti Lateranensi. Nominato nel 1921 parroco di Cicognara, nel 1932 fu probabilmente trasferito a Bozzolo anche per questi motivi.
Nel secondo dopoguerra si legò in qualche modo alla DC, stringendo rapporti soprattutto con l’ex padre costituente democristiano e futuro sindaco fiorentino Giorgio La Pira. Pur continuando a interessarsi dei “lontani”, particolarmente dei comunisti, la sua critica del comunismo fu sempre molto dura, come dimostrò il dibattito pubblico con un altro celebre cremonese, Guido Miglioli, ex organizzatore sindacale cattolico ed ex deputato del Partito Popolare, che era approdato alla collaborazione stretta con il Partito Comunista. In ogni caso, come ebbe a dire nel 1949 (l’anno della scomunica vaticana verso i comunisti), lo slogan di don Mazzolari è sempre stato: «Combatto il comunismo, amo i comunisti».
Nel 1949 Don Primo intraprese un’attività giornalistica fondando e dirigendo il periodico “Adesso”, la cui pubblicazione fu però sospesa, per motivi disciplinari-ecclesiastici, nel 1951. Vi collaborarono diverse personalità dell’Italia dell’epoca, fra le quali i già citato Don Milani che, in un bellissimo articolo, a partire dall’episodio di uno sfratto, ci ricorda oggi una società italiana molto diversa allora e, insieme, un lontano Natale in Toscana (cfr. Natale 1950 – Per loro non c’era posto, in “Adesso”, n° 24, 15 dicembre, pag. 3 e pag. 8).
Nel 1957 Don Mazzolari predicò la Missione a Milano, chiamato dall’allora Cardinale Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI. Poco prima della sua morte, il 5 febbraio 1959, Don Primo ebbe il più alto riconoscimento che poteva avere dalla Chiesa perché, da santo Pontefice come Giovanni XXIII, ricevuto in udienza privata, ebbe l’onore di essere da lui definito pubblicamente «Tromba dello Spirito Santo della Bassa Padana». Anni più tardi Montini, ormai “Paolo VI” dirà di lui: «Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti».
Nell’udienza generale del 1° aprile 2009 Benedetto XVI ha confermato questi giudizi positivi dei due Papi affermando: «Il cinquantesimo anniversario della morte di don Mazzolari sia occasione opportuna per riscoprirne l’eredità spirituale e promuovere la riflessione sull’attualità del pensiero di un così significativo protagonista del cattolicesimo italiano del Novecento». Il 2 aprile 2015 la Congregazione per le Cause dei Santi ha concesso il nulla osta per avviare la causa di beatificazione di Don Mazzolari che, quindi, è attualmente “Servo di Dio”.