da Il Popolo settimanale della diocesi di Tortona
Il medioevo non fu poi così oscuro
don Maurizio Ceriani
Quante volte infatti le espressioni “oscurantismo medioevale” e “roba da medioevo” sono state attribuite a tutta una serie di odierne discriminazioni femminili, vere o presunte che siano, soprattutto nei numerosi dibattiti televisivi che prolificano sulle reti pubbliche e private in sempre crescente numero. Quante volte poi l’immancabile sacerdote o vescovo, ospite di turno, ha dovuto subirsi le conseguenti ire femministe, perché la Chiesa è immancabilmente ritenuta responsabile di ogni discriminazione femminile. Ma tutto questo è poi vero? Il medioevo fu veramente così oscuro?
E’ la Chiesa così avversa alle donne? La risposta si può facilmente ricavare da una serie di dati che la “cultura” di oggi pare aver dimenticato. Cominciamo col ricordare che nel corso del medioevo si deve, almeno in parte, alle Dame di Salerno la rinascita del sapere medico. Verso la fine dell’XI secolo si riorganizzò l’università salernitana con un annesso centro di medicina, che fu tra i primi in Europa: le donne vi studiavano ed insegnavano.
Una di esse era Trotula (Trota De Ruggiero per alcuni storici), che vi insegnò medicina, chirurgia ed ostetricia, insieme al marito Giovanni Plateo il Giovane e ai figli, stendendo con loro l’enciclopedia medica “Practica Brevis”. I consigli di Trotula sono straordinariamente moderni come ad esempio, l’importanza della pulizia, di una dieta bilanciata e dell’esercizio fisico, mentre le sue cure vi avvalevano raramente dell’astrologia o di evidenti superstizioni. Le teorie della Dama Salernitana smentiscono in parte ciò che pensiamo della ginecologia medioevale.
Nel Medioevo le donne medico sono un dato di fatto; curano, dispensano rimedi, vegliano su feriti e malati tanto quanto gli uomini. Il re di Francia san Luigi IX, partendo per la sua spedizione in Terra santa condusse con sé come medico non un uomo, ma una donna di nome Hersent. Nelle campagne come nelle città, nei secoli XII e XIII, le donne medico sono presenti e arrivano persino a ricoprire cattedre universitarie, come avviene per esempio a Bologna con Dorotea Bucca (1360s – 1436) che occupò la cattedra di medicina ed ebbe studenti provenienti da ogni parte d’Europa.
Tutto questo accadeva nel “buio” medioevo, mentre ben dopo, dalla fine del medioevo all’Illuminismo e nei secoli del “progresso”, registriamo altre tendenze. Dagli inizi del secolo XIV le donne che praticano la medicina saranno conosciute ormai soltanto per i processi che verranno intentati contro di loro dall’Università di Parigi, la quale esigerà un diploma che esse non potranno esibire.
La conseguenza fu che per molti secoli le donne non potranno più esercitare l’arte medica nell’ufficialità e verranno relegate ad una illegalità, che nei paesi della Riforma protestante coinciderà spesso con l’accusa di stregoneria. Tra i molti è emblematico, in pieno secolo XIX nella massonica e liberale Inghilterra, il caso di Elisabeth Garrett Anderson, che ogni qualvolta superava con onore gli esami dei suoi corsi veniva consigliata di tenere segreti i suoi successi, finché nel giugno del 1861 quando un medico in visita alla classe pose agli studenti delle domande a cui solo Elisabeth fu in grado di rispondere, i maschi chiesero che abbandonasse il corso.
Per nascondere quello che fu ritenuto il disonore dell’intera università fu bandita dalle altre lezioni e in seguito espulsa dall’ospedale di Londra; la Garrett non si arrese; sognava ancora una laurea universitaria, decise quindi di imparare il francese e si iscrisse all’Università di Parigi, che aveva iniziato ad ammettere le donne nel 1868, fu la prima a sostenervi gli esami e si laureò nel 1870 discutendo una tesi sull’emicrania.
Contemporaneamente un gruppo di donne tentò di conquistare l’ammissione alla scuola di medicina di Edimburgo organizzandosi le classi per proprio conto; sfortunatamente le donne erano troppo brave e così gli studenti maschi insieme con alcuni insegnanti e medici non poterono che percepirle come una minaccia ed insorsero. Le donne portarono il loro caso in tribunale, ma persero.
Non andò meglio neppure nelle altre branchie del sapere giacché si assiste dal secolo XVI in poi ad ogni sorta di limitazione imposta alle donne; Sophie Germain, una delle più brillanti matematiche francesi, fu costretta ad assumere furtivamente l’identità di monsieur Le Blanc per poter essere ammessa come maschio all’Ecole Polytechnique di Parigi (fondata nel 1794); Emmy Noether, “il più importante genio creativo della matematica sino ad oggi prodotto da quando l’istruzione superiore è aperta alle donne” secondo Einstein, rischiava di non conseguire la libera docenza a Gottingen perché la maggioranza della facoltà temeva questo: “Cosa penseranno i nostri soldati quando scopriranno di dover imparare da una donna?”.
La stessa Marie Curie, in quanto donna, non potè essere professore alla Sorbona, ma le si concesse unicamente di dirigere il laboratorio del marito; solo dopo la morte di lui le venne affidata la cattedra, tuttavia, perchè donna, le fu negata l’ammissione all’Académie de France. Inoltre va qui ricordato quel decreto del Parlamento di Parigi del 1593 che vietava da quel momento alle donne l’esercizio di qualsiasi funzione nell’ambito dello stato. Provvedimenti civili, difficilmente riconducibili all’influenza ecclesiastica, in un epoca che, a differenza del medioevo, può vantare l’affrancamento dello Stato dalla Chiesa.
Negli stessi secoli invece in Italia, dove più forte era l’influenza della Chiesa, e proprio negli Stati Pontifici, nelle facoltà universitarie del “retrogrado” dominio temporale del Papa, avveniva il contrario. Tarquinia Molza, una filosofa del Rinascimento, scrittrice, musicista, vissuta tra Modena e a Ferrara, ricevette nel 1601 a motivo della sua erudizione per sé e per tutti i suoi eredi per sempre.
Nel 1700 operò a Bologna, insieme al marito Giovanni Manzolini, il medico anatomo ceroplasta Anna Morandi; a lei si devono numerose scoperte anatomiche. Cominciò a lavorare in casa propria per portare a termine gli impegni presi dal marito e salvarne così il nome. In seguito approfondì gli insegnamenti del marito studiando sui più moderni trattati di anatomia, di cui la loro biblioteca era ben fornita, ed eseguendo delle dissezioni sui cadaveri per poi indagare la funzionalità dei singoli particolari attraverso l’uso del microscopio.
Presto fu in grado di plasmare delle opere che evidenziarono un assoluto rigore anatomico e una perfetta conoscenza della moderna anatomia funzionale, materia che iniziava solo allora ad evolversi dalla pura morfologia descrittiva. Divenuta esperta, insegnò ai giovani utilizzando i preparati da lei stessa eseguiti e puntualmente corredati da diligenti descrizioni.
Alla morte prematura del marito nel 1755, l’attività di Anna Morandi venne pubblicamente riconosciuta anche nella sua città natale; fu infatti aggregata all’Accademia Clementina e all’Accademia delle Scienze di Bologna e le fu conferita dal Senato una cattedra di Anatomia con la possibilità di dare lezioni sia nel Pubblico Studio dell’Archiginnasio, sia in casa propria.
Negli stessi anni sempre a Bologna brillava nel campo della fisica Laura Bassi; Bassi seppe guadagnarsi la stima della comunità scientifica con le lezioni di fisica sperimentale tenute per trent’anni in casa propria (ma ufficialmente riconosciute e ricompensate), e con le memorie presentate nell’Accademia delle scienze della città.
Era stata ammessa a questo prestigioso consesso, come socia onoraria, fin dal 1732, e nel 1745 avrà un posto nella ristretta classe degli accademici Benedettini, istituita dal papa Benedetto XIV allo scopo di incrementarne la produttività scientifica. Le luci dell’illuminismo e le ombre del medioevo forse andrebbero riviste e forse anche ricollocate.