Dopo la crisi, da dove ripartire? Dalla sussidiarietà!

Informazione cattolica 23 maggio 2021

di Giuseppe Brienza

Il principio di sussidiarietà, come afferma il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, indica una maniera piuttosto semplice di operare da parte dello Stato e delle istituzioni sociali: «una società di ordine superiore non deve assumere il compito spettante a una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità» (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n.403).

Quali doveri ha quindi la società nel suo complesso nei confronti della “cellula di base”, ovvero la famiglia? È sempre il Compendio a rispondere: «i pubblici poteri devono rispettare, proteggere e favorire la vera natura del matrimonio e della famiglia, la morale pubblica, i diritti dei genitori e la prosperità domestica» (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005, n.458).

La persona umana si completa infatti in quella che è la più elementare ed originaria forma di comunità: la famiglia. Tale comunità, però, ha delle caratteristiche ben precise, perché nasce dall’incontro tra uomo e donna che esclusivamente attraverso il matrimonio si dispongono alla procreazione ed alla educazione dei figli. La politica non può trascurare la famiglia, magari equiparandola ad altre forme di unione.

Passando dalla persona e dalla famiglia singolarmente intese alla cooperazione e aggregazione fra di esse, il modus operandi descritto all’inizio di questo articolo, che dà luogo a quello che costituisce uno dei principi cardine della Dottrina sociale della Chiesa, è essenziale al dispiegarsi della libertà e realizzazione dell’uomo e della donna nella società. Ma cosa minaccia concretamente, oggi, nel XXI secolo, il principio della sussidiarietà?

Anzitutto il potere sovranazionale opaco, oppure la sua contrapposizione a quel singolare “corpo intermedio” (fra le comunità locali e le organizzazioni internazionali) che è lo Stato nazionale o federale che sia. In contrapposizione al principio organizzativo-politico della società per antonomasia, infatti, portatori di istanze localistiche e centrifughe invocano impropriamente il principio di sussidiarietà, non comprendendo che questo, se correttamente inteso, dovrebbe essere a garanzia della costruzione di quella res publica all’interno della quale vivono e operano gli individui ed i corpi intermedi.

La sussidiarietà, in definitiva, «non può essere vista o sentita, neppure propagandisticamente, come “alternativa” allo Stato, ma tuttalpiù come superamento delle degenerazioni dello statalismo prodotte dalla pratica partitocratica, come sosteneva Luigi Sturzo […]. Dalla Rerum novarum alla Quadragesimo anno, dalla Pacem in terris alla Centesimus annus non c’è stata enciclica papale che non abbia fornito una definizione della sussidiarietà in rapporto alle strutture statali, riconoscendo, con tutta evidenza, le strutture pubbliche, e dunque statali, in stretta connessione con quelle private in un armonico rapporto non soltanto economicistico o mercantilistico, come oggi si tentadi far credere.

Proprio la Centesimus annus di Giovanni Paolo II (maggio 1991) è l’esplicitazione di questa concezione sommariamente riferita. Dopo aver rilevato che lo Stato, per sua natura, “non potrebbe assicurare direttamente il diritto al lavoro a tutti i cittadini senza irreggimentare l’intera vita economica e mortificare la libera iniziativa dei singoli”, il Pontefice aggiunge che ciò non vuol dire che lo Statonon abbia alcuna competenza in questo ambito, come hanno affermato i sostenitori di un’assenza di regole nella sfera economica.

Lo Stato, anzi, ha il dovere di assecondare l’attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi”. Ancora, secondo Giovanni Paolo II, lo Stato “ ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino ostacoli per lo sviluppo”, come, ad esempio, nello Stato assistenzialista di tipo socialdemocratico: “una società di ordine superiore – sostiene il Papa – non deve interferire nella vita interna di una società inferiore privandola delle sue competenze, ma deve piuttosto sostenerla in caso di necessità e di aiutarla a coordinare la sua azione con quella delle altre componenti sociali in vista del bene comune”» (Gennaro Malgieri, La visione conservatrice contrapposta alla decadenza, “il Borghese”, anno XXI, n. 5, maggio 2021, pp. 20-21).

Contrapporre dunque allo Stato il sistema delle autonomie o la sussidiarietà è un altro modo per alimentare la sfiducia nella sua necessità e riguardarlo, nella migliore delle ipotesi, con diffidenza.

Nell’evoluzione del pensiero politico contemporaneo che sostiene il principio della complementarità dello Stato con la società, un contributo interessante è stato quello apportato da una parte del movimento dei Tories britannici. Nella formula coniata da alcuni esponenti conservatore-liberali di questo partito, è emersa una categoria filosofico-politica che, pur non sposandosi integralmente con la DSC, se ne accorda per vari aspetti e risvolti.

Dall’idea della Big Society, infatti, i veri Tories hanno fatto scaturire un ruolo per lo Stato d’indirizzo della società ma non di controllo e direzione centrali. Anche nel delicato settore dei pubblici servizi, i conservatori britannici hanno fatto assumere allo Stato un ruolo di rafforzare la società rendendo così le tasse davvero finalizzate ai bisogni dei cittadini.

L’obiettivo è quello di trasformare un grande governo in una Grande Società, un contesto, quindi, che ponga la “sussidiarietà locale” al centro e all’opposto del welfare state centralista e burocratico sperimentato nel Novecento. Un sistema, oltretutto, che ad esempio nel nostro Paese ha subito notevoli storture a causa della strumentalizzazione partitocratico-sindacale e privatistico-economica. Ma appunto non è quella dello “Stato sociale” la sussidiarietà!

Il compito sussidiario di una Amministrazione locale, per fare solo un esempio relativo al nostro ordinamento attuale, potrà nei prossimi anni avvalersi della possibilità reintrodotta dall’art. 97-bis del d.l. 14 agosto 2020, n. 104, il c.d. Decreto Agosto (in precedenza esistente solo nel 2016), di destinare il due per mille della propria IRPEF a favore di una delle associazioni culturali iscritte in un apposito elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Se posta in condizione di funzionare bene, questa opportunità potrà dare adito ad una potenziale crescita del ruolo dell’associazionismo con la possibilità dei cittadini, nelleloro dichiarazioni dei redditi, di optare per il due per mille per il non profit culturale. Dopo gli ormai tradizionali 8 per mille (Chiese e confessioni religiose), 5 per mille (Onlus) e 2 per mille (partiti e movimenti politici), nella dichiarazione dei redditi 2021 è stata quindi fornita un’opportunità interessante, da conoscere e far conoscere, per far crescere la “sussidiarietà della cultura” nel nostro Paese.

Contro la cultura del no e della “decrescita felice” le regioni, i comuni e gli enti locali dovrebbero in futuro avere la capacità di investire e far investire culturalmente sulle opere, intervenendo in favore delle associazioni e nel dialogo sussidiario con le comunità.

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(*) Vedi qui il canale YouTube curato dall’autore di questo articolo: Temi di Dottrina sociale della Chiesa.