International Family News 17 Agosto, 2020
La giovane bioeticista Giulia Bovassi: «Altro che “passo di civiltà”, stiamo vivendo la finestra di Overton»
di Federico Cenci
«Viene descritto come “un passo di civiltà”, quando in realtà è la banalizzazione estrema della soppressione di un essere umano e della mortificazione della madre. Quest’ultima, compiendo un atto morale gravemente illecito, vive sulla propria pelle drammatiche conseguenze psicologiche e spirituali».
Giulia Bovassi, giovane bioeticista e filosofa, research scholar alla cattedra UNESCO in Bioetica e Diritti Umani, utilizza parole granitiche per spezzare la retorica entusiastica che sta accompagnando le nuove linee guida sulla Ru486 annunciate dal ministro della Salute, Roberto Speranza. La pillola abortiva potrà essere assunta senza obbligo di ricovero, fino alla nona settimana di gravidanza. In un tweet Speranza ha parlato di «un passo di civiltà», basato su «evidenze scientifiche».
Prof.ssa Bovassi, a quali «evidenze scientifiche» fa riferimento il ministro?
Se si vuole parlare di «evidenze scientifiche» sarebbe più che opportuno nel 2020, giaciglio dello scientismo, fare riferimento all’umanità evidente del concepito come verità di ragione. Sappiamo, infatti, che il concepito appartiene alla specie umana: è un organismo programmato, un essere vivente, con proprio patrimonio genetico unico e diverso da chiunque altro (inedito e irripetibile), e si sviluppa con coordinazione, autonomia e gradualità.
La scienza prenatale, grande assente nelle modifiche annunciate dal ministro Speranza, è progredita a tal punto da confermare questo meccanismo di crescita ininterrotto di un essere umano dal concepimento senza salti ontologici (di natura) o biologici. Oggigiorno è una lacuna grave ignorare l’accuratezza estrema con cui la medicina informa che il concepito è un essere umano in atto, non in potenza.
Espone a maggiori rischi la salute della donna l’aborto farmacologico o quello chirurgico? Su questo cosa dicono le «evidenze scientifiche»?
Il parere di moltissimi ginecologi, tra cui buona parte pro-choice, è concorde nel ritenere l’aborto farmacologico gravoso per la salute della donna anzitutto per il rischio emorragico, superiore rispetto al potenziale rischio mediante aborto chirurgico. Non capisco inoltre come si possa parlare di «evidenze scientifiche» di fronte a una donna che si troverà sola a espellere suo figlio in salotto o in bagno. Eppure anche nel Practice Bulletin dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (n. 143, marzo 2014), già si dichiarava che il rischio di emorragie e trasfusioni clinicamente significative può essere inferiore in donne che subiscono l’aborto medico fino a 49 giorni di gestazione rispetto a coloro che lo subiscono oltre 49 giorni. Non va poi dimenticato il tabù sulla sindrome post-abortiva e il trauma destabilizzante di vedere il figlio abortito.
Il ministro Speranza ha definito le nuove linee guida un «passo importante», non un punto d’arrivo. Dove si vuole arrivare? Chi è a favore dell’aborto sposa come moralmente giusta l’uccisione intenzionale di un altro essere umano che non ha colpe e nemmeno strumenti per difendersi. Se questa verità, nel secolo delle rivendicazioni per uguaglianza e tolleranza, non genera scandalo, non opprime, io credo che qualsiasi deriva potrebbe diventare oggetto di normalizzazione.
Qualsiasi deriva? Anche l’aborto fino al nono mese di gravidanza o persino l’«aborto post-nascita», di cui lei scrive nel suo libro «Guida bioetica per terrestri. Da Fulton Sheen al cybersesso»? La teoria dell’«aborto post-nascita» è del filosofo australiano Peter Singer. Nel mio testo propongo anche alcune testimonianze pubbliche provenienti da tutta Europa, compreso il nostro Paese, in cui si denuncia la procedura delittuosa compiuta in spazi ospedalieri sui nati vivi da aborti tardivi.
Le agghiaccianti dichiarazioni fanno parte della petizione Late Term Abortion & Neonatal Infanticide in Europe, presentata all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Si potrebbe aggiungere che in alcuni Stati è già possibile eseguire aborti fino al nono mese di gravidanza in precise condizioni che non ne riducono certamente la gravità. Ebbene la Finestra di Overton insegna che purtroppo discutiamo sui «se», con plateale ritardo, anziché sul «quando», aspettando di gridare a danno compiuto.
Dovremmo discutere, secondo questo ragionamento, anche su quando l’obiezione di coscienza verrà vietata al personale sanitario?
Inquietano certi commenti pubblicati negli ultimi giorni a margine della notizia in questione, in cui si invocavano misure per estraniare dai servizi sanitari pubblici gli obiettori, che già oggi vengono discriminati nei concorsi pubblici o negli ambienti lavorativi. D’altronde anche simili provocazioni fanno parte del pacchetto progressista che rivendica uguaglianza, parità, inclusione, libertà e tolleranza per chiunque tranne per coloro che rispondono ai valori non negoziabili e al dovere di coscienza che essi impongono e dovrebbero imporre universalmente.
Come al solito «tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali di altri». Mi sembra che ultimamente, vista anche la proposta di legge Zan, questa si possa a buona ragione definire la rappresentazione più veritiera dell’attualità e del cortocircuito ideologico che la presiede.
Ravvede, in Italia, una presenza politica capace di impegnarsi contro simili derive in campo bioetico? Sì, intravvedo delle forze politiche con esponenti o leader potenzialmente inclini a spendersi su questi temi, ma lo dico sussurrando. La mia sfiducia proviene dal fatto che queste battaglie sono la battaglia del nostro tempo e non possono essere oggetto di negoziazioni, compromessi o strategie che abbiano come priorità il consenso o altri interessi secondari.
Un male morale resta un male anche se la maggior parte del popolo lo considera un “diritto” o un bene. Il tempo delle sbavature e della tiepidezza è giunto clamorosamente al termine: occorre l’umiltà di formare in maniera critica sulle materie bioetiche e agire coerentemente con la responsabilità che questa conoscenza genera.
C’è bisogno di una presenza politica per l’uomo e non contro l’uomo, che sappia farsi garante di questi valori e contribuisca con integrità e fermezza alla rinascita culturale e valoriale del nostro Paese rinunciando a una ideologica cultura dello scarto.