La Croce quotidiano 13 giugno 2017
I principi fondamentali del Magistero in materia di vocazione all’impegno sociale e politico. Ecco la traccia della puntata “Temi di Dottrina sociale della Chiesa”, condotta da Giuseppe Brienza, in onda il 13 giugno su Radio Mater (17.30-18.30). Ospite della trasmissione il filosofo cattolico Giacomo Samek Lodovici. Si parlerà della sinergia tra carità e verità, specie nel magistero di Benedetto XVI, di sviluppo integrale della persona e di molto altro
di Giuseppe Brienza
Quello della “carità politica” è tema impegnativo che, alla luce dell’attuale decadimento etico e sociale, merita però di essere affrontato e, il più possibile, divulgato. La “carità politica”, che è cosa diversa rispetto alla carità “in” politica, che è l’esercizio di questa virtù naturale nello svolgimento della professione di parlamentare, amministratore etc., non è affatto un’utopia. Cinquant’anni fa’, in piena secolarizzazione e “contestazione” del Sessantotto, il Beato Paolo VI aveva ricordato come la politica sia per ogni cristiano “la forma più alta della carità”. Da ultimo, Benedetto XVI ha tracciato una linea magisteriale in perfetta continuità con la Tradizione cattolica, esponendo alcuni principi di fondo ai quali poter attingere al fine di dare pratica attuazione politica (è questa la “carità politica”), al grande ideale, naturale e cristiano, della carità.
1. Benedetto XVI: la politica, “eminente forma di carità”
L’attività politica, se vissuta con disinteresse personale e come servizio alla verità, costituisce una forma importante di carità, come ha insegnato durante tutto il suo pontificato Papa Ratzinger. Ha colpito, per esempio, l’invito in questo senso rivolto al nuovo ambasciatore presso la Santa Sede di un Paese uscito dal comunismo e dall’ateismo di Stato come l’Albania. Ricevendo nel 2006 le sue lettere credenziali, infatti, Benedetto XVI ha rivolto alle autorità politiche e diplomatiche presenti un discorso nel quale, fra l’altro, ha affermato che «un’eminente forma di carità è l’attività politica vissuta come servizio alla polis, alla “cosa pubblica”, nell’ottica del bene comune».
Anche se un argomento come quello della carità politica può essere impostato in molti modi, alla luce di quanto finora detto ci sembra che il taglio più consono alla Dottrina sociale della Chiesa sia quello di partire con l’idea che non ci può essere carità politica senza verità politica.
2. Non c’è carità politica senza verità politica.
Partiamo dunque dall’Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, pubblicata il 29 giugno 2009. Essa ha chiarito in modo efficace il rapporto tra verità e carità, ribadendo che non è possibile, lo diciamo con parole molto semplici, aiutare nessuno se, prima di “volergli bene”, non cerchiamo di promuovere e fargli comprendere il suo vero bene. In che senso dal punto di vista politico? Risponde Papa Ratzinger: «Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni. […] È questa la via istituzionale – possiamo anche dire politica – della carità, non meno qualificata e incisiva di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente» (n. 7).
Rivolgendosi specificamente a politici e legislatori Benedetto XVI ha ripetuto questi concetti in quattro importanti discorsi che, tenuti tra il 2009 ed il 2012, costituiscono un vero e proprio itinerario spirituale diretto a promuovere la vocazione di cui c’è oggi, a nostro parere, maggiore bisogno, quella cioè all’impegno sociale ed alla partecipazione politica. Da questi testi, rivolti da Ratzinger ad altrettante delegazioni di uomini politici, amministratori, diplomatici ed altri titolari di cariche pubbliche (Praga 26 settembre 2009, Londra 18 settembre 2010, Berlino 22 settembre 2011 e Milano 2 giugno 2012), possono essere tratti quattro pilastri dell’itinerario formativo proposto ai politici ed agli amministratori pubblici dal Papa emerito, in pratica potremmo dire 4 coordinate della carità “in” politica.
Mi riferisco, cioè, all’impegno volto a:
– desiderare di farsi amare non solo dai propri simpatizzanti o colleghi di partito ma anche dal maggior numero possibile di cittadini politicamente rappresentati;
– servire il diritto, alla luce di una sua concezione personalistica e oggettiva della giustizia e dei diritti umani (la legge naturale);
– favorire affrontando le nuove complesse questioni indotte dal progresso tecnico-scientifico il dialogo tra fede e ragione;
– evitare pessimismo o, peggio, catastrofismo nel discorso pubblico, per invece operare e testimoniare una speranza fattiva per il futuro, nonostante tutte le oggettive difficoltà e ingiustizie presenti nel mondo.
La carità politica, quindi, è qualcosa che non coinvolge solamente le “scelte personali” dei singoli ma è anche un servizio che impegna l’intera comunità che, a sua volta deve sostenere e incoraggiare l’attività dei singoli politici. Benedetto XVI afferma in proposito che ad ogni società «servono uomini e donne che invochino la sapienza e la docilità del cuore, perché il discernimento tra ciò che è bene e ciò che è male, non può essere un fatto soggettivo ma ha bisogno della collaborazione della preghiera di tutta la comunità».
È chiaro che attorno a sé il politico deve creare consenso, altrimenti non può essere eletto. Il punto è che il politico e la formazione culturale dei cittadini dovrebbero camminare di pari passo. Purtroppo negli ultimi tempi è venuta a mancare questa simbiosi. Non che non ci siano testimoni cattolici o persone impegnate sul piano culturale: è venuto, piuttosto a mancare il collante, tradizionalmente rappresentato dai gruppi locali, dalle associazioni, dalle parrocchie e dai circoli culturali. Oggi, scarseggiando queste strutture, le singole testimonianze tendono a disperdersi e fanno fatica ad emergere le storie che dimostrano quanto il Vangelo possa ispirare la politica.
3. Lo “sviluppo integrale” della persona e della famiglia.
Quali sono allora i principali obiettivi della carità politica secondo il Magistero della Chiesa?
Innanzitutto «Chi non ama, non conosce Dio» (1Gv 4,8), ci ricorda Paolo VI. Per amministratori e uomini politici, infatti, l’impegno non può esaurirsi a favorire il benessere degli elettori o quello dello sviluppo economico-sociale delle proprie terre di origine. Men che meno l’interesse della compagine di partito di appartenenza. I primi obiettivi della “carità politica”, piuttosto, si rinvengono nel perseguimento dello sviluppo integrale della persona umana e nella promozione della famiglia naturale fondata sul matrimonio.
Ad affermarlo sono le due fondamentali encicliche sociali: la Populorum progressio di Paolo VI, del marzo 1967, e la già citata Caritas in veritate. Diversamente facendo, l’attività politico-legislativa, amministrativa o di governo devierebbe ad esclusivo favore di interessi personali od economico-finanziari. Tali esiti “strutturerebbero” quello che, riprendendo la formula introdotta da Giovanni Paolo II al n. 214 dell’Esortazione apostolica “Reconciliatio et paenitentia” (1985), il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa ha condannato come il «peccato sociale» (Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 117). Questo spiega perché, alla “legge della discesa”, per la quale cioè un’anima che si abbassa a causa del peccato porta con sé tutta la comunità e la Chiesa, corrisponde una “legge dell’ascesa”, grazie alla quale, all’inverso, ogni persona che si eleva spiritualmente ed eticamente, eleva la società e persino tutto il mondo.
4. L’attualità della “Populorum Progressio”.
Sul concetto di “sviluppo integrale”, pur a distanza di quasi 50 anni dalla sua pubblicazione, l’enciclica “Populorum Progressio” del Beato Paolo VI mantiene in gran parte la sua attualità. Scritta in un momento particolarmente difficile per il destino politico-economico dei popoli come quello della c.d. decolonizzazione, tale documento va ricordato innanzitutto per aver disposto la creazione della Pontificia Commissione “Iustitia et Pax”. In questo modo Papa Montini intese dare risposta alla richiesta del Concilio Vaticano II di «avere in Vaticano un’organizzazione il cui compito sarebbe stato quello di esortare la comunità cattolica a favorire il progresso di aree che promuovessero la giustizia tra le Nazioni».
L’attività di tale organismo, presieduto fino a pochi mesi fa dal cardinale africano Peter K. A. Turkson, che ora è prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, istituito nell’agosto 2016 da Papa Francesco con il motu proprio “Humanam progressionem” accorpandogli tre precedenti pontifici consigli che avevano compentenze affini (cioè “Cor Unum”, della pastorale dei migranti e degli itineranti e per gli operatori sanitari), è volta a promuovere l’identificazione della persona umana e della famiglia come i principali soggetti dello sviluppo delle comunità locali.
Con l’accresciuta autorità conferitagli dalla riforma di Bergoglio, il nuovo Dicastero può meglio sensibilizzare tutte le autorità, nazionali ed internazionali, ad operare per favorire gli sforzi necessari a liberare gli individui ed i gruppi dalle difficoltà economico-sociali causate da ataviche situazioni di ignoranza e povertà.
5. Lo “sviluppo”, il nuovo nome della Pace.
Il leitmotiv ricorrente in questa Enciclica è che lo sviluppo dei popoli andrebbe considerato come il “nuovo nome” della pace. Il concetto di autentico sviluppo è, secondo Papa Montini, l’unico in grado di promuovere la persona umana nella sua integrità. La carità politica, in effetti, andrebbe centrata sulla persona vista in tutte le sue dimensioni e, quindi, materiale e spirituale, individuale ed all’interno delle comunità in cui vive, come la famiglia, la realtà locale, il luogo di lavoro, la Nazione.
Inoltre, se visto nella sua integrità, lo sviluppo umano non è possibile senza la garanzia della libertà religiosa e la possibilità di un rapporto libero, privato e pubblico, con Dio. Se deve preoccuparsi della persona umana nella sua totalità, allora, l’attività politica non può assolutamente mettere da parte colui che è Padre e Creatore dell’uomo.
La promozione della famiglia, innanzitutto, è punto essenziale di questo sviluppo che vuole realmente radicarsi nella profonda realtà della persona umana.
La “Populorum Progressio” presta quindi anche attenzione alla questione delle disuguaglianze nel sistema del commercio globale, problema che a tutt’oggi non è stato risolto. Quella che con troppo ottimismo è spesso definita la “famiglia delle Nazioni”, si rivela pertanto come una utopia, perché siamo molto lontani dall’avere un’autorità mondiale realmente efficace per il governo dei beni globali. Le strutture esistenti (ONU, UE, Consiglio d’Europa ed altre organizzazioni internazionali “regionali”) sono spesso inadeguate, politicamente puntate in una direzione o nell’altra, e a volte lavorano l’una contro l’altra.
La “Populorum Progressio” affronta anche le questioni relative alle migrazioni e ai movimenti di popolazioni, così come parla dello spreco di risorse provocato dal ricorso alle armi e dall’eccessiva “corsa agli armamenti”.
In un recente Messaggio per Giornata Mondiale della Pace, Papa Francesco ha richiamato espressamente il magistero sulla pace del beato Paolo VI che, nel Messaggio per la celebrazione della 1a Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 1968), si rivolse infatti a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con queste significative parole: «la pace è l’unica e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi, non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine civile)».
Papa Montini metteva quindi in guardia dal «pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali». «Colpisce l’attualità di queste parole – ha scritto Papa Francesco nel recente Messaggio per la 50ma Giornata Mondiale della Pace –, che oggi non sono meno importanti e pressanti di cinquant’anni fa».
«Il secolo scorso – aggiunge nello stesso documento, più in particolare, Papa Bergoglio – è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa. In ogni caso, questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che recano benefici solo a pochi “signori della guerra”? La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se non addirittura di tutti» (Papa Francesco, Messaggio per la 50ma Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2017, n. 2).
6. Dalla “Populorum progressio” alla “Caritas in veritate”.
Il tema dello sviluppo integrale dell’uomo è la tematica al centro anche dell’enciclica Caritas in veritate. Quest’ultima lo affronta alla luce della Populorum progressio ma, nello stesso tempo, esamina fenomeni storici e sociali nuovi, che ai tempi in cui Paolo VI scriveva la sua enciclica o non erano ancora emersi oppure lo erano in forme limitate o addirittura embrionali.
Come ha rilevato l’Arcivescovo di Trieste e presidente dell’Osservatorio Internazionale “Card. Van Thuân” mons. Giampaolo Crepaldi, Benedetto XVI ha approfondito il concetto di sviluppo espresso da Paolo VI soprattutto in tre sensi. In primo luogo la considerazione delle «opportunità ma anche delle minacce che derivano dal processo di globalizzazione».
Secondariamente, l’«esplicita dichiarazione che il tema del diritto alla vita non può essere disgiunto dalle questioni relative allo sviluppo dei popoli». Infine, l’esame del diritto alla libertà religiosa come tema «collegato in modo sostanziale al tema dello sviluppo» (Mons. Giampaolo Crepaldi, Lo sviluppo integrale dell’uomo. Dalla Populorum progressio alla Caritas in veritate, in Agenzia “Zenit”, 7 aprile 2011). Quest’ultimo concetto costituisce una autentica novità della Caritas in veritate.
Prima di questa enciclica, infatti, le tre dimensioni ora accennate non erano emerse con tanta forza a qualificare il tema dello sviluppo umano. Conseguentemente a questa più ampia qualificazione, come ha scritto mons. Crepaldi, «solo se la politica non si intende come l’ultimo piano dell’edificio, ma si intende in vista di altro, allora essa è in grado di comprendere e valorizzare in profondità le proprie risorse» (Il posto di Dio nel mondo nel pensiero di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, in Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, Il posto di Dio nel mondo. Potere, politica, legge, a cura di Stefano Fontana, Cantagalli, Siena 2013, p. 235).
Ritornando alla Caritas in veritate, il tema della globalizzazione vi è trattato in conformità alla convinzione espressa nella Populorum progressio per cui la questione sociale è, sempre più, diventata ormai a tutti gli effetti questione mondiale. Benedetto XVI ha colto, in particolare, un elemento di particolare novità legato alla globalizzazione: essa impone un ripensamento dello Stato e delle Istituzioni internazionali e, contemporaneamente e in conseguenza di ciò, della società civile e del suo ruolo. Il fatto che le ricchezze siano prodotte in un luogo ma poi prendano altre strade e non rimangano nel luogo che le ha prodotte pone la necessità di una lunga serie di riforme di cui la Caritas in veritate fornisce la chiave sintetica: bisogna che la ridistribuzione che prima veniva fatta alla fine del processo produttivo da parte dello Stato venga ora fatta lungo tutto il processo produttivo anche da parte di altri soggetti economici e sociali.
Nasce qui la necessità, su cui l’enciclica di Papa Benedetto si sofferma molto, di introdurre la “logica del dono” e della gratuità dentro la stessa attività economica e non solo ai suoi margini. Una proposta fortemente innovativa e nello stesso tempo in continuità con lo spirito e la lettera della Populorum progressio che aveva chiesto di dilatare la carità fino a comprendere tutti i popoli.
7. Diritto alla vita e “carità politica”.
Il tema del diritto alla vita è intensamente applicato a quello sviluppo dei popoli nell’enciclica Caritas in veritate, anche in questo versante approfondendo degli orientamenti già presenti nella Populorum progressio. La pianificazione forzata delle nascite, la pressione di organismi e lobbies internazionali perché vengano ovunque approvate legislazioni che permettano l’aborto e la sterilizzazione in massa di donne dei paesi poveri, la drammatica politica del figlio unico, la persistente ideologia malthusiana secondo cui la causa principale della povertà sarebbe la crescita della popolazione: ecco alcuni esempi segnalati dalla Caritas in veritate di come il denatalismo freni lo sviluppo anziché favorirlo.
Il collegamento tra etica della vita ed etica dello sviluppo, così forte nella proposta della Caritas in veritate, non è quasi per nulla recepito nell’ambito della riflessione sulla Dottrina sociale della Chiesa e nelle comunità cristiane. Si leggono infatti documenti di alcuni episcopati o vescovi nei quali vengono trattati temi chiave dello sviluppo integrale, come quello dell’ambiente o quello della violenza e della pace, senza che si faccia cenno alla lotta contro l’aborto e la denatalità, entrambi fenomeni che costituiscono un vero e proprio attentato all’ambiente ed alla natura creata.
L’accostamento fatto già dall’enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium vitae (1995) tra gli operai ai tempi della Rerum novarum ed i bambini concepiti ed a rischio aborto o manipolazione genetica dei nostri giorni, accostamento recepito e rilanciato dalla Caritas in veritate, costituisce piuttosto il cardine della “carità politica”.
8. Libertà religiosa e “carità politica”.
Passiamo quindi al terzo ambito sviluppato da Benedetto XVI dalla Populorum progressio, quello della libertà religiosa. Paolo VI affermava a tal riguardo che non può esistere un autentico umanesimo se l’uomo e la società non sono aperti verso l’Assoluto. La Caritas in veritate, a differenza dello scenario di persecuzione che aveva di fronte Papa Montini, collegato quasi esclusivamente al Comunismo, vede persecuzioni ai cristiani di diverso tenore. Legate innanzitutto ai regimi ove vigono religioni fondamentaliste ed alla “dittatura del relativismo”, che da’ luogo ad una sottile ma spietata persecuzione della fede cristiana condotta attraverso l’indifferentismo religioso ed il nichilismo, “religione civile” purtroppo di molti paesi occidentali.
Secondo Paolo VI “carità” politica esige che tanto i sentimenti nazionalistici delle «comunità da poco pervenute all’indipendenza politica», quanto gli egoismi delle «nazioni di vecchia cultura», siano superati «dalla carità universale che abbraccia tutti i membri della famiglia umana». Senza questo, l’isolamento dei popoli più poveri è una certezza e ciò, afferma la Populorum progressio, «risulterebbe particolarmente dannoso là dove la fragilità delle economie nazionali esige invece la messa in comune degli sforzi, delle conoscenze e dei mezzi finanziari, onde realizzare i programmi di sviluppo e intensificare gli scambi commerciali e culturali».
Conclusione.
Paolo VI e Benedetto XVI non ci parlano di un’idea astratta e in qualche modo “pietistica” di carità. La Dottrina sociale della Chiesa raccomanda piuttosto un’intelligente e realistica modalità di agire che, se disattesa, minerebbe non solo il bene comune dei più poveri, ma alla lunga anche lo sviluppo economico-sociale dei Paesi più sviluppati. Le attuali vicende della crisi finanziaria globale e dei flussi incontrollati delle migrazioni internazionali, ci pare, gli stiano dando perfettamente ragione…