Il Borghese anno XV n. 5 maggio 2015
L’indispensabile Boldrini
di Giuseppe Brienza
Dopo i due anni alla presidenza della Camera è uscito il libro di Laura Boldrini Lo sguardo lontano. Perché la politica torni a essere una speranza, un servizio, una passione (Giulio Einaudi editore, Torino 2015, pp. 234, € 18). Titolo caramelloso e che suona anche un po’ falso se, conoscendo vita ed opere della terza donna eletta al più alto scranno di Montecitorio, ci si accorge che, sotto l’aureola, si nasconde la “figlia” di una casta radical chic, il cui folgorante percorso professionale e politico è stato, per così dire, di tipo “preferenziale”.
Nipote di un petroliere, la Presidenta nasce a Macerata nel 1961, vivendo fino alla maggiore età nella piccola Jesi, che lascia nel 1980, quando si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza dell’università “La Sapienza”. Dal 1983 al 1986 lavora per l’Agenzia Italiana Stampa e Emigrazione (Aise), con la quale nel 1986 s’iscrive all’Albo dei Giornalisti.
Grazie a un “colpo di fortuna”, subito dopo riesce ad entrare in RAI, azienda nella quale ottiene per due anni consecutivi contratti a tempo determinato in vari programmi. Nel 1989 inizia la sua carriera nelle Nazioni Unite, lavorando come addetto stampa prima alla Fao e, dal 1993 al 1998, per l’organizzazione del Programma alimentare mondiale (WFP).
Nel 1998 è portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (Unhcr), organismo ONU che conta seimila impiegati e 278 uffici in 111 paesi del mondo, per il quale coordina le attività di informazione nel Sud Europa (fino al 2012). In questo periodo svolge “missioni” in diversi luoghi di crisi come Bosnia, Albania, Kosovo, Pakistan, Afghanistan, Sudan, Angola, Iran, Giordania, Tanzania, Burundi, Ruanda, Sri Lanka, Siria, Malawi e Yemen.
Nel 2013 alle elezioni per il rinnovo del Parlamento italiano “Nichi” Vendola la piazza capolista nelle circoscrizioni Sicilia 1 e 2 e Marche per il Sel. Partendo in pole position non manca quindi l’obiettivo e, dal febbraio 2013, è deputato a Montecitorio. Con una maggioranza risicata (327 voti su 618 votanti) riesce nel marzo successivo, terza donna dopo Nilde Iotti e Irene Pivetti, a farsi eleggere, con la regia anche di Bersani, alla Presidenza della Camera.
Del suo primo anno a Montecitorio si ricordano le liti furibonde con i “grillini” e, nel dicembre 2013, la partecipazione alla maxi-commemorazione funebre di Nelson Mandela, organizzata nello stadio di Johannesburg alla presenza di centinaia capi di Stato e di Governo. Qui la Presidenta, con boy friend al seguito (di 11 anni più giovane di lei), si reca grazie ad apposito volo di Stato pagato dai contribuenti, nonostante all’evento fosse stato già invitato l’allora premier Letta, in qualità di capo di Stato.
Ci si permetta di rilevare al proposito, checché ne pensino anche molti cattolici, che il Madiba con la sua vita ed opera politica è stato quanto di più lontano dal Cristianesimo si possa immaginare. Eppure il mondo cattolico di sinistra e filo-immigrazione ha sempre mostrato di amare Laura Boldrini, come del resto i vetero- o post-comunisti dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) che, nel 2011, le conferiscono ad esempio il “Premio Renato Benedetto Fabrizi” per la «dignità e fermezza mostrate nel condannare i respingimenti degli immigrati nel Mediterraneo effettuati nell’estate del 2009» (naturalmente al governo c’era il centro-destra).
Già l’anno prima si era meritata il riconoscimento speciale di “Italiana dell’anno 2009”, dal settimanale Famiglia Cristiana, in ragione del «costante impegno, svolto con umanità ed equilibrio, a favore di migranti, rifugiati e richiedenti asilo».
Per suggellare cotanto cursus honorum, nel 2010 pubblica il suo primo libro, Tutti indietro, per la major Rizzoli, raccontando la propria esperienza nelle crisi umanitarie. Nel 2013 esce l’altra opera, sempre per Rizzoli, intitolata Solo le montagne non si incontrano mai, nella quale ripercorre la storia di una bambina somala gravemente ammalata portata in Italia da un militare italiano nel 1994.
Accreditando uno stile finto-francescano, nell’anniversario dei 75 anni dalla proclamazione di san Francesco d’Assisi a Patrono d’Italia (1939-2014), omaggia in salsa buonista la figura del Poverello e di Santa Caterina da Siena inviando al Custode del Sacro Convento un messaggio nel quale definisce i due Patroni «Santi dell’accoglienza e della fraternità» che, «per questa ragione sono figure care a tanti italiani e italiane, credenti o no, ma comunque attenti ai valori sui quali si deve fondare ogni comunità».
Detto tutto questo: come la mettiamo col fatto che, finora, la Presidenta è stata sempre una delle più fiere paladine delle istanze omosessualiste e Lgbt? Pochi ricordano come, ad esempio, nel 2014 abbia presenziato in pompa magna ad un gay-pride nazionale, facendosi portavoce anche delle istanze “arcobaleno”.
Nel marzo scorso, poi, uno dei suoi “capolavori”. Incontrando a Montecitorio il Ministro della Cultura e della Guida islamica dell’Iran Ali Jannati, promuove stretti rapporti culturali tra i due Paesi e riesce a non profferir parola sulla penosa condizione cui è costretta la donna nella Repubblica fondata dall’Ayatollah Khomeini. Eppure, in Italia, la “Medaglia ufficiale della Commissione per le pari opportunità tra uomo e donna 1999”, ha sempre lanciato pesanti strali contro la cultura tradizionale dell’Occidente rea di aver storicamente schiacciato la dignità e i diritti della “figura femminile”.
Sempre nel marzo scorso, intervenendo a Roma per la consegna del “Premio Immagini Amiche”, riconoscimento alle pubblicità “rispettose” delle donne, ha aggiunto questa chicca dichiarando: «Certe pubblicità che noi consideriamo normali, con le donne che stanno ai fornelli e tutti gli altri sul divano, danno un’immagine della donna che non è normale e non corrisponde alla realtà delle famiglie». L’immagine di una donna e madre di famiglia che si prende cura, anche in cucina, dei suoi cari, sarebbe quindi da bandire in quanto “anormale”. Le 5 milioni di casalinghe italiane, già discriminate da tanti punti di vista, naturalmente ringraziano…
In un’intervista di qualche tempo fa, rilanciò quello che è uno dei suoi cavalli di battaglia: il genere da usare nel linguaggio comune per indicare il ruolo e la mansione lavorativa della donna. Per questo ha denunciato a La Stampa: «se il linguaggio non restituisce il genere femminile, non riconosce neanche la strada che le donne hanno fatto, arrivando anche a ruoli di vertice. Seguendo la stessa logica finisce che il lavoro femminile sia sottopagato o che non vi sia pari accesso al mondo del lavoro».
Trattasi naturalmente di emergenza politica in epoca di crisi globale… Sarà un caso che la pagina facebook “Dimissioni di Laura Boldrini” ha superato gli 11 mila “Mi piace”?