Tempi 6 Ottobre 2021
Marci Bowers e Erica Anderson, luminari delle transizioni di genere, mettono in discussione l’uso dei bloccanti della pubertà e dell’approccio “affirming” che sta travolgendo i minorenni. Ma Nyt e grandi media non le ascoltano
di Caterina Giojelli
Due guru della medicina transgender sono molto preoccupati dal numero dei bambini avviati oggi alla transizione di genere, denunciano le proprie preoccupazioni al New York Times e la bibbia liberal che fa? Non pubblica una sola parola. Non stiamo parlando di due medici qualunque, ma di Marci Bowers, chirurga di fama mondiale (specialista in vaginoplastica, è stata lei a operare la star dei reality Jazz Jennings), e di Erica Anderson, psicologa clinica presso l’affollatissima Child and Adolescent Gender Clinic dell’Università della California a San Francisco. Entrambe si sono occupate di migliaia di pazienti e fanno parte del consiglio di amministrazione della World Professional Association for Transgender Health (Wpath).
Stiamo parlando di due transgender, professioniste stimatissime dai colleghi ma appena passate dal lato “sbagliato” della storia per aver messo in discussione le linee guida della Wpath e la narrativa di giornali e attivisti. Va da sé che la denuncia potesse trovare spazio solo nella newsletter di Bari Weiss, la giornalista che si è dimessa polemicamente dal New York Times, denunciando il settarismo e il «bullismo» ideologico del giornale di riferimento della sinistra americana.
I dogmi dell’armata trans gender
Val la pena riproporre la vicenda, raccontata con interviste ai due medici da Abigail Shrier. L’autrice di Irreversible Damage e firma del Wsj, introduce bene il clima che si respira in America: «Per quasi un decennio, la prima linea del movimento per i diritti transgender – medici, attivisti, celebrità e influencer – ha definito i confini della nuova ortodossia intorno alle cure mediche transgender: cosa è vero, cosa è falso, quali domande possono e non possono essere poste.
Hanno detto che era assolutamente sicuro somministrare a bambini di appena nove anni i bloccanti della pubertà e hanno insistito sul fatto che gli effetti di quei bloccanti fossero “completamente reversibili”. Hanno detto che era compito dei professionisti medici aiutare i minori nella transizione. Hanno detto che non era loro compito mettere in discussione la percezione di chi transitava e che chiunque lo facesse, compresi i genitori, era probabilmente transfobico».
Ancora: «Hanno detto che qualsiasi preoccupazione a proposito di un contagio sociale tra ragazze adolescenti era una sciocchezza. E non hanno mai detto nulla sulla chiara possibilità che il blocco della pubertà, insieme agli ormoni sessuali incrociati, possa inibire una normale vita sessuale. I loro alleati nei media e a Hollywood hanno riportato storie e creato contenuti che riaffermassero questa ortodossia. Chiunque abbia osato dissentire o allontanarsi da uno dei suoi princìpi fondamentali, comprese le giovani donne che hanno pubblicamente abbandonato la transizione, è stato inevitabilmente tacciato di odio e accusato di fare del male ai bambini».
Il dissenso censurato dal Nyt
Anderson racconta a Shrier di aver inviato al New York Times un opinion editorial scritto a quattro mani, un pezzo critico del modo “avventato” con cui molti operatori sanitari transgender stavano trattando i bambini. Pubblicazione accolta? Macché, il Nyt ha risposto che non c’era attinenza con le priorità del giornale in quel momento.
Di sicuro non c’era attinenza con la linea editoriale: Bowers non è una fan dei bloccanti che la Wpath raccomanda di somministrare fin dalle prime fasi della pubertà («davvero, non lo sono»), Anderson non crede che si tratti di «interventi completamente reversibili», come la Wpath va predicando da un decennio (almeno sul piano degli effetti psicologici, «io non ne sono sicura»).
Entrambe pensano che ci si sia spinti troppo in là, senza considerare punti di vista di medici critici o scettici nei confronti delle terapie ormonali o chirurgiche: «Ci sono sicuramente persone che stanno cercando di tenere fuori chiunque non accetti assolutamente la linea del partito secondo cui tutto dovrebbe essere “affirming” e non c’è spazio per il dissenso. Penso che sia un errore», ha spiegato Bowers.
Il reality di Jazz
Dicevamo che Bowers è tra i chirurghi più rispettati al mondo, ha ricostruito oltre 2 mila vagine, ma soprattutto è diventata nota al grande pubblico per aver preso parte al reality I Am Jazz, una serie che riprende la vita di Jazz Jennings, l’adolescente trans e attivista Lgbt più famoso d’America. Racconta Shrier che sono stati oltre un milione gli spettatori che hanno assistito al party di “Addio al pene” organizzato dalla madre di Jazz e a cui hanno partecipato amici e parenti, con tanto di banchetto, torta a forma di pene e discorso di Jazz prima del taglio.
All’epoca Jazz era già tra i 25 adolescenti più influenti del Time, erano usciti libri a suo nome, una bambola “trans” con le sue fattezze; Jazz era portavoce dei giovani per i diritti umani, seguitissima su YouTube, in tv, un milione i suoi follower su Instagram. Proprio su Instagram, con la sorella di Jazz che agitava una salsiccia davanti alla telecamera, era stata postato il video dell’ingresso in sala operatoria di Jazz. Ma dietro quella porta le cose non sono andate secondo copione.
Il ricatto dei gender-affirming
Come migliaia di ragazzini Jazz aveva assunto bloccanti per la pubertà fin dall’età di 11 anni. A 17 il suo odiato pene aveva le dimensioni di quello di un undicenne, troppo poco per fornire a Bowers tessuti necessari alla ricostruzione di una cavità vaginale e di un clitoride. Bowers fu costretta a prelevare tessuto anche dal ventre. Le cose precipitarono quando, dopo l’operazione, Jazz iniziò a provare dolori pazzeschi finché venne ricoverata di corsa in ospedale: la sua neovagina si era rotta.
Oggi Jazz dice di non avere rimpianti, ma ha subito altri tre interventi chirurgici, rimandato l’ingresso ad Harvard per depressione, soffre di disturbi alimentari (oltre 40 chili presi in meno di due anni). La vita di Jazz è diventata show, attivismo e militanza fin dalla diagnosi di disforia di genere, una delle primissime rivelate pubblicamente. Jazz ne soffriva dall’età di due anni. Sette bambini su dieci, trattati con psicoterapia e “vigile attesa” riescono a “uscirne” diventando adulti, spesso omosessuali, riconciliati con il proprio corpo.
Ma negli ultimi dieci anni la ”vigile attesa”, spiega Shrier, è stata soppiantata dall’ approccio affirming, fondato sull’assunto che i bambini non sappiano cosa è meglio per loro: «I sostenitori della terapia ormonale di affermazione del genere esortano i medici a corroborare la convinzione dei loro pazienti di essere intrappolati nel corpo sbagliato.
La famiglia è sottoposta a pressioni per aiutare il bambino a passare a una nuova identità di genere — a volte è stato detto loro da medici o attivisti che, se non lo fanno, loro figlio potrebbe arrivare a suicidarsi – (…) iniziare passi medici concreti per aiutare i bambini nel loro percorso verso la transizione al corpo “giusto”. Ciò include i bloccanti della pubertà come passaggio preliminare». Seguono gli ormoni sessuali incrociati e poi, se lo si desidera, la chirurgia di genere.
Sterilità, disfunzione sessuale
Ma una volta assunti bloccanti, un nuovo nome e una nuova identità, tornare indietro è praticamente impossibile. E una volta traghettati nel nuovo corpo, provarne piacere è difficile. Nessuno scrive che «i pazienti che assumono bloccanti della pubertà finiscono quasi sicuramente per assumere ormoni sessuali incrociati – e questa combinazione tende a lasciare i pazienti sterili e, come ha chiarito Bowers, sessualmente disfunzionali».
«Mi preoccupano i loro diritti riproduttivi. Mi preoccupa la loro futura salute sessuale e la loro capacità di trovare l’intimità», ha confessato Bowers che pure ha eseguito migliaia di interventi. Anche Anderson conviene che al fondo di un lavoro sciatto sul piano sanitario ci saranno sempre più giovani adulti «che si pentiranno di aver attraversato questo processo. E questo mi farà guadagnare molte critiche da parte di alcuni colleghi, ma da quello che vedo temo che verranno prese decisioni che saranno poi rimpiante».
Sciatto è per Anderson avviare le persone alla medicalizzazione permanente, l’incapacità di considerare le conseguenze di una decisione così rivoluzionaria sul piano della salute mentale. Oggi negli Stati Uniti si contano centinaia di cliniche di genere. La maggior parte dei pazienti non è nata maschio come Jazz, ma è rappresentata da ragazze adolescenti esposte all’influenza dei coetanei e a quella delle star trans dei social media che giocano un ruolo enorme nel loro desiderio di sfuggire alla femminilità.
Irreversible Damage – per l’Economist uno dei migliori libri del 2020 – si occupa di questo: il picco di trans-identificazioni da femmina a maschio che ha raggiunto dimensioni difficili da nascondere (secondo un recente sondaggio dell’American College Health Association nel 2008 riguardavano una studentessa su 2.000, oggi una su 20). Ma non c’è posto sui giornali, in servizio permanente alla causa gender, per chiunque osi preoccuparsi di numeri, conseguenze, effetti dell’ondata di ormoni, molecole e bisturi che affondano nella carne dei ragazzi. Nemmeno se si tratta di medici transgender che quei ragazzi, quel bisturi e quegli ormoni sanno più di qualunque giornalista del Nyt.