Il Borghese n. 3 Roma marzo 2020
In memoriam
di Giuseppe Brienza
Per comprendere origini e ideologie della stagione, che stiamo per vari aspetti ancora vivendo, del Sessantotto, è necessario risalire al periodo che seguì al Concilio Vaticano II (1962-65), nonché alle conseguenze di una crisi epocale che ha lì la sua genesi, poi esplosa nella Rivoluzione culturale e negli Anni di piombo. Il 26 gennaio scorso è morto a Roma Duilio Marchesini (1930-2020), un pittore e una figura indimenticabile della destra cattolica italiana, che ha contrastato in vari modi, soprattutto negli anni tempestosi della rivolta studentesca, l’ondata nichilista e anarcoide degli anni Settanta, talvolta veicolata anche da sacerdoti o leader cattolici confusi e/o ideologizzati.
In appoggio al movimento Civiltà Italicae ispirato ai gruppi dei Guerilleros de Cristo Rey spagnoli, da giovane Marchesini si distinse persino per manifestazioni nelle chiese ed azioni dimostrative nei confronti dei preti marxisteggianti o filocomunisti. Il 5 aprile 1975 tutti i quotidiani di sinistra pubblicarono ad esempio la notizia della sua aggressione a Don Vittorio Fincato, allora viceparroco della chiesa della Natività nel quartiere Appio-Latino, che gli guadagnò il famoso telegramma del Cardinal Vicario Ugo Poletti (1914-1997) che, in piena epoca di martirio nei Paesi comunisti, ricordava a lui «la scomunica contro chi usa violenza nei confronti di un sacerdote» (Solidarietà di Poletti col sacerdote aggredito, in L’Unità, aprile 1975, p. 10).
I funerali di Duilio Marchesini sono stati celebrati il 28 gennaio nella Basilica romana di sant’Eugenio alle Belle Arti, da lui frequentata per oltre quarant’anni in quanto affidata all’Opus Dei, la prelatura personale della quale è stato membro laico (soprannumerario).
Al momento in cui scoppiò la Rivoluzione Sessantottina, Marchesini era il leader dell’ORUR, l’organismo rappresentativo degli universitari de “La Sapienza” di Roma, reagendo naturalmente con decisione alle prevaricazioni delle sinistre e dei gruppettari, che spesso affrontò anche “fisicamente”, assieme a Giancarlo Scafidi, compagno di tutte le sue battaglie.
Come è stato giustamente rievocato, per questi motivi Marchesini dovette pagare un prezzo molto alto, in quanto «fu più volte ferito e arrestato con l’accusa di rissa, pur essendo la vittima di circa cento aggressioni e, con Scafidi, passò diversi mesi nel carcere romano di Regina Coeli, dove divenne popolare ed amato tra i detenuti e le guardie carcerarie per la sua umanità e carità cristiana» [Emmanuele Barbieri, In memoriam: Duilio Marchesini (1930-2020),in Corrispondenza romana, 29 gennaio 2020].
Nonostante tutto riuscì a laurearsi all’Accademia di Belle Arti di Brera, a Milano, dove insegnò disegno e storia dell’arte nei licei e si fece apprezzare come pittore, ricoprendo l’incarico di presidente dell’Ucai-Unione Cattolica Artisti Italiani. Cercò così di portare avanti, da artista e docente, l’attualità dell’arte figurativa e, al contempo, l’inconsistenza culturale dell’arte astratta e informale.
Ne troviamo testimonianza nella sua monografia Contro l’arte astratta e informale, curata nel 1998 per la Grande Enciclopedia Epistemologica, opera fondata e diretta da Mons. Antonio Livi, che ha in appendice il Primo manifesto della continuità dell’arte, al quale hanno aderito diversi artisti e intellettuali principalmente romani ma non solo (cfr. Duilio Marchesini, Contro l’arte astratta e informale, v. 3- La pittura, Edizioni romane di cultura, Roma 1998, pp. 67).
Gli stessi che l’hanno onorato partecipando, assieme a tanti estimatori, all’ultima “Mostra di arte figurativa personale”, organizzata nel centro storico di Roma, nella Galleria S. Maria dei Miracoli di via del Corso 528 (piazza del Popolo), dal 7 al 15 aprile2018.
In una delle sue ultime interviste, rilasciata nel 50° anniversario della Rivoluzione culturale, Marchesini ha dichiarato: «Il Sessantotto è finito, se non altro perché è crollato il mondo comunista internazionale, ma il fenomeno anticristiano esiste sempre. La serie dei disegni di legge riguardanti divorzio, aborto, gay, eutanasia, droga è stato ed è uno strumento per scalzare dalla società la morale cristiana, i Comandamenti e i Sacramenti: una forma meno vistosa delle masse di studenti in piazza e delle occupazioni, ma l’intento è lo stesso. Bisogna combattere questi tentativi, manifestando anche pubblicamente. Non basta l’azione di formazioni dottrinali e culturali, anche se essenziale, nell’ambito delle parrocchie e delle famiglie: i cattolici non possono non essere militanti»(Mauro Faverzani, Intervista al prof. Duilio Marchesini che disse “NO” al 68…, in Radici cristiane, n.131 – marzo 2018).
La numerosa folla presente al suo funerale testimonia della stima e dell’affetto che fino all’ultimo hanno circondato questo cattolico militante «dal cuore puro come quello di un bambino»,come detto da don Michele Diaz, il parroco di Sant’Eugenio che ha officiato le esequie. Insieme a Giancarlo Scafidi, Marchesini aveva appena fatto in tempo a raccogliere i suoi ricordi nel “romanzo-verità” La Sapienza e Regina Coeli, pubblicato dall’editore Marco Solfanelli.
Ho avuto occasione di contattare personalmente Duilio Marchesini in occasione degli studi condotti per il saggio storico Il movimento “Civiltà Cristiana” e la rivista cattolica “Vigilia Romana” (1969-74), pubblicato sulla rivista dei Francescani dell’Immacolata Fides Catholica.
Gli scrissi per chiedere «qualche nota/ricordo su “Civiltà Cristiana” e darmi una sua consulenza sull’“Appello ai vescovi italiani contro l’approvanda legge sul divorzio”, diffusa da questa associazione nel 1970 a Roma e altrove» (mail del 21 settembre 2010).
Mi rispose subito così con la cortesia che gli era usale: «Civiltà Cristiana è stata un’associazione di tradizionalisti il cui statuto risaliva a Konrad Adenauer. Franco Antico l’ha diretta sempre in esclusiva. Alla sua morte non c’è stato chi potesse sostituirlo specialmente nella complessa gestione della sede romana di Corso Vittorio. In buona parte i soci sono rimasti amici e anche oggi capita che si incontrino. Sull’appello dei vescovi va considerato il ruolo militante dell’Associazione in tutte le tematiche del ’68 (divorzio, aborto, compromesso storico, arco costituzionale, lotte all’Università…) e nelle vicende del dopo Concilio Vaticano II (liturgie blasfeme, oltraggio all’Eucarestia, affossamento del latino, presepi “attualizzati”, seminari in crisi, cattocomunismi d’ogni genere e così via)».
«Ce n’è di roba e robaccia. Conseguenze di questi fronti sostenuti da Franco Antico e dai suoi di Civiltà Cristiana per quindici anni sono ferite, rischi, galere e privazioni d’ogni genere. A tutt’oggi alcune di quelle ferite, nell’anima e nel corpo, non sono cicatrizzate. Attendono giustizia da istituzioni politiche e religiose. Se la storia dirà che in Italia e a Roma, mentre tutto, proprio tutto, vacillava, qualcuno ha tenuto duro, il nome di Civiltà Cristiana verrà fuori» (mail di Duilio Marchesini, 21 settembre 2010).
In effetti l’aveva fatto “venire fuori”, sia pure senza scrivere approfonditamente la storia, lo storico della Destra Pino Tosca (1946-2001), nel libro Il cammino della Tradizione. Il tradizionalismo italiano 1920-1990, pubblicato per una piccola casa editrice nel 1992, ma ristampato da Il Cerchio di Rimini nel 1995. «Civiltà Cristiana – ha scritto Tosca -, diretta da Franco Antico, Franco Andreini, e Mario Eichberg era, negli anni Settanta, un’organizzazione ben presente a Roma e che godeva di notevoli appoggi sia in ambienti Vaticani che in ambienti della cosiddetta “nobiltà nera”.
Al suo periodico Vigilia Romana collaboravano autorevoli nomi del cattolicesimo come Mons. Francesco Spadafora, Don Giuseppe Pace, Padre Antonio Coccia, Giuseppe Vattuone, Fausto Belfiori, Mons Guerard des Lauriers. Purtroppo, anche questa esperienza che godeva di considerevoli apporti dovette concludersi agli inizi degli anni Ottanta, per due motivi precisi: la prematura morte di Franco Antico e il non essere riusciti ad individuare un nuovo leader o a creare una base giovanile che potesse ereditare il lavoro sino allora svolto» (pp. 89-90).
Duilio Marchesini, ha ricordato il giornalista Pucci Cipriani, «viveva in povertà come un frate e veniva chiamato “il cazzotto di Dio”, perché alle messe beat strappava via di mano le chitarre ai ragazzotti e gliele fracassava. Ero presente quando il commissario Luigi Calabresi lo incontrò e gli consegnò una busta con dentro il suo primo stipendio guadagnato dopo il trasferimento alla questura di Milano.“Questo è per la tua anziana zia”, gli disse» (Stefano Lorenzetto, Nel paese del capo dei tradizionalisti la foto di Fido al posto del crocifisso, il Giornale, 19febbraio2006, p. 18).
L’ultimo post di Marchesini su Facebook l’ha pubblicato pochi giorni di morire, il 24 gennaio 2020, alle ore 18:40. Condividendo ancora una volta con i suoi contatti la fiducia politica nei valori di sempre, quelli incarnati nella Destra, ha rilanciato la diretta e il seguente messaggio di Giorgia Meloni a sostegno del candidato leghista alle regionali emiliano-romagnole Lucia Borgonzoni: «Ascolta il mio intervento a Ravenna per la chiusura della campagna elettorale in Emilia-Romagna! #VotaFratellidItalia».