Domenico Bonvegna
Sulla nuova rivista della San Paolo,“Credere. La gioia della fede”, che ho ricevuto in dono a Milano durante la serata organizzata da Rinnovamento nello Spirito, “10 piazze per 10 comandamenti”, ho trovato un interessante articolo riflessione del saggista, filosofo francese, Fabrice Hadjadj. Il filosofo affronta una domanda che spesso mi sono posto: “i tempi odierni sono migliori o peggiori di quelli del passato per l’annuncio del Vangelo?”.
“La cosa certa è che non possiamo aver nostalgia di una cristianità sepolta – esordisce Hadjadj – Bestemmio contro la provvidenza che mi ha posto in questo momento della storia? Non devo forse riconoscere che sono nato in quest’epoca, che la mia missione, anche se complicata, è adesso, e che non devo aspettare il ritorno di condizioni favorevoli per cominciare a testimoniare?” (F. Hadjadj, Adesso è tempo per il Vangelo, n.10 del 9.6.13, in Credere)
Riprendendo la parabola del buon grano e della zizzania(Matteo 13.24-30) Hadjadj può affermare che il bene e il male crescono simultaneamente, e in maniera inseparabile, fino all’ultima ora, quindi ogni epoca della storia può essere migliore e peggiore nello stesso tempo.
Forse il cosiddetto Medioevo è stato il tempo più propizio per diffondere il Vangelo, ma nei dieci secoli, spesso intesi come Cristianità, ci sono state “tante aberrazioni (…) Probabilmente le tenebre erano meno dense di oggi, ma anche le luci erano inferiori. Dobbiamo rimpiangere i tempi della simonia?
Per quanto riguarda il nostro tempo Hadjadj scrive che la nostra Europa è colpita dal fenomeno della secolarizzazione: “l’esistenza dell’uomo viene concepita al di fuori di qualsiasi aspirazione alla trascendenza”. Ormai si è cattolici soltanto la domenica mattina per quattro o
cinque minuti, durante la Messa”. Eppure la secolarizzazione può essere una opportunità per la Chiesa.
A questo punto il saggista francese fa delle interessanti riflessioni sullo stato delle vocazioni religiose. Per fortuna che oggi “il prete non è più un notabile, scrive Hadjadj, lo stato religioso non ci appare più come l’occasione di farsi una posizione (…) Oggi le vocazioni religiose(e anche le semplici vocazioni cristiane) ritrovano sempre più la loro nudità soprannaturale”. E questo è una preziosa benedizione.
La chiamata alla santità è per tutti non solo per i religiosi. “Un tempo le persone sposate venivano considerate, in un certo senso, come i proletari della Chiesa, utili per fare figli e fornire così, con un po’ di fortuna e a forza di moltiplicare marmocchi, un prete o una suora.
Quando si osava canonizzare una coppia sposata (…) ci si affrettava subito a precisare che vivevano a casa loro ‘come monaci’. Pertanto continua Hadjadj, oggi chi rivendica un posto importante per i laici nella gerarchia della Chiesa, “crede di essere ultraprogressista mentre invece è superclericale: infatti tende a credere che la gerarchia sia più importante della santità, mentre invece è interamente subordinata”.
A “laicizzare” la Chiesa è stato il beato Giovanni Paolo II che “ha affermato con forza che il laico è chiamato a vivere l’essenziale, nella condizione di laico”. Così secondo Hadjadj ha potuto cominciare a fiorire, una ‘teologia del sesso’, come anche una spiritualità coniugale, non più concepita come una spiritualità monastica di secondo grado. A questo punto “posso finalmente guardare il corpo di mia moglie non come una tentazione, ma come un’icona(…)”.
In conclusione prendendo coscienza del nostro stato battesimale, chiunque può diventare santo, dal vescovo all’idraulico, dalla monaca alla mamma, dal cardinale al camionista. “Siamo tutti clown di Cristo (ognuno secondo il proprio stato di vita), tutti chiamati alla fecondità della testimonianza e anche alle sue grane”.