Rapporto choc dell’associazione per i diritti dei disabili: i medici che curano pazienti handicappati sono troppo spesso disattenti, superficiali e fatalisti. «È discriminazione»
di Carlo Bellieni
Il Rapporto inizia con le parole del padre di Mark, disabile mentale morto per polmonite: «Credo che Mark sia morto senza motivo. Nella sua vita abbiamo trovato medici che non hanno idea di come trattare con disabili mentali. Se solo ci avessero ascoltato…». Il Rapporto riporta le parole terribili che certe famiglie si sono sentite dire dai medici: «Se la ragazza fosse normale non esiteremmo a curarla», «Non sarebbe meglio per tutti lasciarla andare?» «Secondo me non ha nulla. È lui che è così».
Il Rapporto spiega allora che «le persone con ritardo mentale sono viste come una priorità secondaria», i medici, talora non educati a trattare con i malati mentali, interagiscono poco con le famiglie che invece li conoscono bene, e addirittura si fermano magari per l’ovvia (ma sormontabile) difficoltà burocratica di ottenere un consenso informato dal disabile mentale
Ancor più inquietante è leggere che «i medici spesso fanno una loro personale valutazione della qualità di vita del paziente e la considerano come base per le loro decisioni. Questo nonostante ricerche mostrino scarsa correlazione tra l’opinione del medico e la reale percezione del paziente».
Ci troviamo, secondo il Rapporto, di fronte a una vera discriminazione sulla base della salute.
Anche la Commissione inglese per i diritti dei disabili recentemente riportava una trascuratezza verso i disabili mentali e il suo segretario lamentava «un ottuso fatalismo verso la morte in giovane età dei disabili mentali»; un altro recente studio citato nel Rapporto mostrerebbe addirittura che i disabili mentali ricevono meno analgesia degli altri.
Tutto questo ci appare come un ‘successo’ dell’eugenetica: se si permette di pensare che esiste solo un modello ideale di essere umano che meriti il titolo di persona e che certi disabili avrebbero tutto il vantaggio a non essere nemmeno nati, è ovvio che chi non è al top dell’autonomia e della ‘normalità’ (bambini, disabili e vecchi in primis) diventa di serie B.
L’handifobia dilaga dando una visione spettrale della disabilità non solo come fatica e dolore, ma come vergogna, per cui è quasi un obbligo sociale per una madre non far venire al mondo un disabile o, per un disabile dipendente in tutto dagli altri, non domandare di togliere il disturbo. Le recenti parole del Papa, «Ogni discriminazione esercitata da qualsiasi potere (…) sulla base di differenze riconducibili a reali o presunti fattori genetici è un attentato contro l’intera umanità», ci esortano a chiedere che l’handifobia eugenetica (sui giornali, negli ospedali) che porta il malato a vergognarsi di essere al mondo, diventi realmente un crimine sanzionato dalla legge, come le altre fobie oggetto di riprovazione e sanzione.