Nell’enciclica papa Montini bocciò l’uso della contraccezione artificialee scrisse pagine bellissime sull’amore coniugale. Fu attaccato dai media e anche dai cattolici. Ma a difenderlo ci pensò un certo Woijtila
Alessandra Consalvo
Domenica 19 ottobre papa Francesco, al termine dell’assemblea straordinaria dei vescovi, beatificherà Paolo VI. Fu proprio papa Montini con la lettera apostolica-Motu proprio ”Apostolica sollicitudo” a istituire nel settembre del 1965 il Sinodo. Qui di seguito ricostruiamo il dibattito suscitato al tempo da una delle sue encicliche più importanti: l’Humanae Vitae.
Luglio 1968. Il mondo è in attesa di una parola definitiva di Paolo Vi circa l’attualissima e largamente dibattuta questione della fecondità matrimoniale. La commissione consultiva – istituita da Giovanni XXIII ed estesa da papa Montini per esaminare il tema della regolazione della natalità in riferimento al nuovo contesto medico e demografico – ha concluso i propri lavori da più di due anni, pronunciandosi in maggioranza a favore del controllo artificiale delle nascite.
Gran parte dell’opinione pubblica mondiale, galvanizzata da imprudenti dichiarazioni pro-contraccezione di eminenti prelati e illustri teologi e travolta dal vento di rinnovamento proprio degli anni ’60 e del contesto post-conciliare, è certa che il vicario di Cristo opererà una vera rivoluzione nel campo dell’etica matrimoniale riconoscendo, in concreto, la liceità della pillola anticoncezionale.
L’HUMANAE VITAE. Il 25 luglio Paolo VI pubblica quella che sarà la sua ultima enciclica: Humanae vitae (qui il testo completo). Qui, in controtendenza rispetto al sentire comune, egli dichiara illecita la regolazione artificiale della natalità, ammonendo i coniugi cristiani circa i pericoli insiti nell’innaturale separazione delle due dimensioni della sessualità, l’aspetto “unitivo” e quello “procreativo”.
Veicolata da una stampa attenta come non mai a un documento della Santa Sede, l’agognata Lettera paolina fa il giro del mondo ed è fin da subito una cartina di tornasole. Reagiscono infatti con indignazione quanti pretendevano dal Papa uno “svecchiamento” dell’etica coniugale mentre chinano il capo coloro che realmente desideravano una parola illuminata circa il matrimonio e la sessualità.
Ma c’è di più: lo stesso mondo cattolico si trova lacerato. Teologi, consacrati e laici si dividono tra oppositori e sostenitori dell’enciclica, innumerevoli i sacerdoti che abbandonano il ministero, sconcertante il numero degli alti prelati che rilasciano interviste e dichiarazioni critiche, o perlomeno ambigue, nei confronti del Papa, contribuendo così all’allontanamento di grandi masse di fedeli dalla Madre Chiesa.
«IL PAPA DEL MONOLOGO». Ed ecco due schiere, una per il biasimo, l’altra per la lode, che prendono carta e penna e commentano, come possono, l’enciclica sulle nascite. Ne scaturisce un dibattito colossale, infuocato, destinato a lasciare il segno nella storia della Chiesa. C’è chi scrive per lodare il coraggio di Pietro ma i più redigono dure requisitorie contro quella che è percepita come una posizione insostenibile, evidenziando la supposta univocità della decisione e le apparenti contraddizioni di un documento che sembra giunto da un’altra epoca.
Si dice che con l’Humanae vitae il «Papa del dialogo» sia divenuto il «Papa del monologo», che le speranze aperte dal Concilio siano state disattese e che «Roma sembra aver perduto, in un solo momento, ciò che aveva messo secoli a costruire», come sentenzia il teologo Yves Congar.
Eloquenti sono i titoli di alcuni articoli della stampa laica italiana che caratterizzano quest’infuocata estate del ‘68: Vittorio Gorresio bolla l’enciclica come «Un documento che mal si concilia con la realtà del mondo di oggi», Wladimiro Dorigo parla di «restaurazione in folle»; «s’apre il controconcilio» decreta infine Carlo Falconi.
«PIÙ ESTINTA DEL DODO». Sullo scenario europeo le cose non vanno meglio: il quotidiano francese Le Monde parla di una «porta chiusa», la porta del Vaticano II, chiusa – secondo l’articolista Jean Marie Paupert – proprio dal custode dei lavori del Concilio, da quel contraddittorio Papa che è Paolo VI. Il settimanale britannico The Economist, dal canto suo, informa il mondo che l’enciclica è «intellettualmente più estinta dell’uccello dodo dell’isola Maurizio».
E se le accuse di inadeguatezza al contesto moderno non fossero motivo sufficiente a giustificare la ribellione alla Lettera paolina e la disobbedienza dilagante, sembrano esserlo invece i rimproveri mossi al modo con cui la decisione papale è stata presa. Sono molti i teologi e gli alti porporati che sottolineano che, in quanto non pronunciata ex cathedra, l’Humanae vitae non gode dell’attributo di infallibilità e dunque – per dirla con le parole del teologo e sacerdote Marc Oraison – «può presentare degli aspetti discutibili e perfino inesatti».
Di certo domandare obbedienza a una norma così formulata significherebbe veicolare, dice ancora Oraison, un’idea «pagana e magica del sommo pontefice», facendo passare per rivelato ciò che non lo è. Si parla inoltre di un «nuovo caso Galileo», di una Chiesa che ha paura dei progressi della scienza e di un Papa che teme la sessualità. Si attribuiscono a Paolo VI soprannomi aspramente canzonatori («Paolo mesto», «Iena bianca»), lo si ritrae in beffarde caricature, si compongono per lui canzonette satiriche, come la Serenata alla pillola di Suzanne Harris.
IL CORPO SPIRITUALIZZATO. Accanto a chi accusa Pietro di non essere all’altezza del ruolo che ricopre e di aver inferto – tra l’altro – un colpo mortale al dialogo con le chiese cristiane separate (aperte da tempo ai contraccettivi), v’è anche chi lo ringrazia per aver pronunciato una parola chiara e per aver ammonito l’uomo circa i pericoli derivanti dal volersi ergere arbitro della sessualità e della creazione.
E così come molti affermano che l’Humanae vitae sia un documento scientificamente «rozzo e superficiale» – questo scrive Dorigo – altrettanti prendono la parola per sottolineare che essa, al contrario, dimostrando una profonda conoscenza dell’uomo, ricordi a medici e scienziati che l’uomo è insieme carnale e spirituale e che non può essere compreso (e curato!) se non nella sua essenza di “corpo spiritualizzato”.
Non sono pochi, infatti, i medici – cattolici e non – che si schierano dalla parte del Papa, riconoscendo che la sua enciclica sia «la più grande occasione di ottenere libertà e di essere chiamati all’altissima dignità creatrice», per dirla con le parole del dottor Ernst, protestante.
«IL PREZZO DEI VERI VALORI». Dal punto di vista più strettamente teologico, si fa notare che Paolo VI è il primo Papa a parlare così profondamente dell’amore sponsale e di quella sua fondamentale espressione che è l’atto coniugale. Egli infatti, pur rimanendo inscindibilmente legato alla morale tradizionale, è il primo a rimarcare il valore e la dignità degli atti coniugali in sé, come strumento di comunione e mutuo perfezionamento degli sposi. In questo senso si esprimono illustri teologi, tra cui spiccano i nomi di Gustave Martelet, Ermenegildo Lio, Giuseppe de Rosa e niente meno che il patriarca di Costantinopoli, Atenagoras I, il quale non perde occasione per incoraggiare Pietro in questa difficile ora.
Valido sostenitore del pontefice e difensore della sua enciclica è fin da subito un certo Karol Wojtyla, arcivescovo di Cracovia, che – con la candida franchezza tipica dei santi – nel gennaio del 1969 afferma: «Agli uomini contemporanei, irrequieti e impazienti, nello stesso tempo minacciati nel settore dei più fondamentali valori e principi, il Vicario di Cristo rammenta le leggi che reggono questo settore. E poiché essi non hanno pazienza e cercano delle semplificazioni e delle apparenti facilitazioni, Egli ricorda loro quale debba essere il prezzo per i veri valori e quanta pazienza e sforzo occorrano per raggiungere questi valori».