Vita Nuova settimanale cattolico di Trieste
20 agosto 2016
Dopo la partecipazione dei musulmani alla Santa Messa cattolica domenica 31 luglio, rileggiamo cosa scriveva il Cardinale Joseph Ratzinger sulla preghiera (non sulla Messa) interreligiosa.
Domenica 31 luglio scorso, all’indomani dell’uccisione di Padre Harmel mentre celebrava la Santa Messa in una Chiesa della Normandia, in tutta Italia circa 20 mila musulmani hanno partecipato alla Santa Messa nelle Chiese cattoliche.
Sull’argomento della preghiera in comune tra religioni diverse – argomento diverso e meno impegnativo della Santa Messa in comune – pubblichiamo quanto sosteneva il cardinale Ratzinger dopo le perplessità che in molti aveva suscitato la preghiera interreligiosa per la pace di Assisi nel 1986 per volontà di Giovanni Paolo II.
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“Mentre nel caso della preghiera multireligiosa si prega nello stesso contesto, ma separatamente, la preghiera interreligiosa significa un pregare insieme di persone e gruppi di diversa appartenenza religiosa. E’ possibile fare questo in tutta verità e onestà?: ne dubito. Comunque devono essere garantite tre condizioni elementari, senza le quali tale pregare diverrebbe la negazione della fede:
1- Si può pregare insieme solo se sussiste unanimità su chi o cosa sia Dio e perciò se c’è unanimità di principio su che cosa sia il pregare: un processo dialogico in cui io parlo ad un Dio che è in grado di udire ed esaudire. In altre parole: la preghiera comune presuppone che il destinatario, e dunque anche l’atto interiore rivolto a Lui, vengano concepiti, in linea di principio, allo stesso modo. Come nel caso di Abramo e Melchisedek, di Giobbe e di Giona, deve essere chiaro che si parla col Dio unico che sta al di sopra degli dèi, col Creatore del cielo e della terra, col mio Creatore.
Deve essere chiaro dunque che Dio è “persona”, vale a dire che può conoscere e amare; che può ascoltarmi e riprendermi; che Egli è buono ed è il criterio del bene, e che il male non fa parte di Lui. A partire da Melchisedek, possiamo dire, dev’essere chiaro che Egli è il dio della pace e della giustizia. Qualsiasi commistione tra la concezione personale e quella impersonale di Dio, tra Dio e gli dèi, dev’essere esclusa. Il primo comandamento vale anche nell’eventuale preghiera interreligiosa.
2- Sulla base del concetto di Dio, deve sussistere pure una concezione fondamentalmente identica su ciò che è degno di preghiera e può diventare contenuto di preghiera. Io considero le richieste del Padre Nostro il criterio di ciò che ci è consentito implorare da Dio, per pregare in modo degno di Lui. In esse si vede chi e come è Dio e chi siamo noi. Esse purificano la nostra volontà e fanno vedere con che tipo di volontà stiamo camminando verso Dio, e che genere di desideri ci allontana da Lui, ci metterebbe contro di Lui. Richieste che fossero in direzione opposte alle richieste del Padre nostro, per un cristiano non possono essere oggetto di preghiera interreligiosa, di nessun tipo di preghiera.
3- L’avvenimento deve svolgersi nel suo complesso in modo tale che la falsa interpretazione relativistica di fede e preghiera non vi trovi alcun appiglio. Questo criterio non riguarda solo chi è cristiano, che non dovrebbe essere indotto in errore, ma, alla stessa stregua, anche chi non è cristiano, il quale non deve avere l’impressione dell’interscambiabilità delle “religioni” e che la professione fondamentale della fede cristiana sia di importanza secondaria e sia dunque surrogabile. Per evitare tale errore bisogna pure che la fede dei cristiani nell’unicità di Dio e in quella di Gesù Cristo, il Redentore di tutti gli uomini, non sia offuscata davanti a chi non è cristiano.
Il documento di Bose citato, al riguardo, dice, a ragione, che la partecipazione alla preghiera interreligiosa non può mettere in discussione il nostro impegno per l’annuncio di Cristo a tutti gli uomini. Se chi non è cristiano potesse o dovesse trarre, dalla partecipazione di un cristiano, una relativizzazione della fede in Gesù Cristo, l’unico Redentore di tutti, allora tale partecipazione non dovrebbe vere luogo- Infatti essa, in qualche caso, indicherebbe la direzione errata, orienterebbe all’indietro invece che in avanti nella storia delle vie di Dio”.
Joseph card. Ratzinger
((da “Fede verità tolleranza. Il Cristianesimo e le religioni del mondo”, Cantagalli, Siena 2003, pp. 112-114).)