di Marcello Veneziani
“I sovranisti accettino l’Europa” è l’invito perentorio che il Corriere della sera ha rivolto alla “destra”, in caso di vittoria alle prossime elezioni. Basta con questo cieco nazionalismo, ammonisce Angelo Panebianco nel suo editoriale, magari proficuo dal punto di vista dei consensi ma nocivo in caso di governo; basta col ritenere nemica la Germania e tiranna l’Europa.
Capisco l’appello e il ragionamento di Panebianco ma obbietto due cose, per poi giungere a una sintesi propositiva. La prima obiezione è già insita nell’analisi di Panebianco: la destra ottiene quei larghi consensi che la porteranno forse al governo, proprio perché assume quelle posizioni di contrasto all’Europa e all’egemonia tedesca.
Se cambia posizione perde consensi, e questo – potremmo malignare – è magari quel che desidera qualche consigliere fraudolento. Se invece va al governo con la faccia feroce e poi si adegua appena s’insedia, tradisce la fiducia e si rivela degna del paese di Pulcinella. Del resto, il popolo che la vota non è così idiota: sa che un ceto politico al servizio dell’Europa c’è già, ed è in gran parte accasato nel Pd, a sinistra. Non vuole che la destra sia il suo doppione tardivo e recalcitrante; vuole che vada al confronto europeo senza subalternità e dipendenza.
La seconda obiezione apre un ampio discorso: “i sovranisti accettino l’Europa” ma l’Europa accetta i sovranisti? Non mi pare, li accetta solo a patto che cessino di essere tali e diventino la ruota di scorta di questa Europa, come vorrebbe a giorni alterni pure Silvio Berlusconi.
Se la politica è fatta di realismo e di negoziati, allora l’accettazione dev’essere reciproca, non unilaterale. I sovranisti non devono inginocchiarsi all’Europa più di quanto l’Europa non debba piegarsi alla realtà dei popoli che votano i movimenti e i governi sovranisti. Già, ma qual è il punto d’incontro tra europeisti e sovranisti, il compromesso di alto profilo che non rinnega né il progetto europeo né l’istanza della sovranità? È quello che da tempo mi ostino a chiamare “il sovranismo europeo”.
In Europa ci si può stare in due modi diversi: superando le nazioni e considerando l’Europa solo il corridoio di passaggio verso il mondo globale, ed è il modo in cui intendono l’europeismo i ceti dominanti dell’Europa e in particolare la sinistra. Oppure considerando l’Europa come una risposta e un argine alla globalizzazione. Il modello d’Europa che ha prevalso in questi anni è del primo tipo.
Un’Europa introversa e globale. Ossia, rivolta a dettare limiti, norme e controlli al suo interno ma inerme e acquiescente rispetto all’esterno, incapace di esprimere una sola voce sullo scenario internazionale. l’Europa impone agli stati e ai popoli europei di osservare una serie di regole, spesso vessatorie e ricattatorie, che di fatto ne esautorano le sovranità e gli assetti giuridici; ma non è in grado, poi, di presentarsi coesa al suo esterno nei rapporti col mondo.
Ci sono ferrei parametri economici, assurdamente applicati a paesi che hanno sistemi fiscali e prelievi così vistosamente diversi; ma non c’è una politica estera europea unitaria, non c’è una forza armata europea, non c’è una linea comune europea per affrontare le crisi internazionali, per sorvegliare i confini europei, per rispondere compatta alle tensioni nel mediterraneo, per fronteggiare uniti le ondate migratorie e decidere quali criteri adottare per integrarli o respingerli; né per affrontare il terrorismo, la concorrenza commerciale asiatica e i giganti del web, la colonizzazione culturale ed economica, la tutela dell’ambiente e della civiltà europea, la pandemia e i contagi.
L’unico punto in comune raggiunto di recente, è simbolico e sanitario, e riguarda il vaccino. Significativo, per carità, ma isolato e ristretto. Un sovranismo europeo dovrebbe rovesciare l’Europa presente: più libertà e più differenze al suo interno e più coesione e unità strategica all’esterno.
Allo stato attuale non c’è nessuna forza politica che prospetti un’Europa sovrana e confederale, in grado di affrontare il mondo in modo unitario. I movimenti e i governi sovranisti dovrebbero compiere un salto di qualità e proporsi, si, come rappresentanti degli interessi e delle identità nazionali ma portatori di un’istanza sovranista anche a livello europeo.
L’elaborazione politica, culturale e giuridica dovrebbe fissare gli ambiti dell’uno e dell’altro e i loro rapporti. Naturalmente non si può pretendere che le forze euroglobali condividano questo progetto: ma non possono disconoscere la piena legittimità di questa visione dell’Europa. Nel contrasto tra le due visioni c’è però un punto comune: l’Europa, seppure vista in due prospettive diverse.
Una scelta del genere consentirebbe ai sovranisti di mantenere il loro impegno nazionale e quindi il loro consenso popolare ma darebbe garanzie ai loro avversari che il progetto sovranista non è di far saltare l’Europa ma di cambiarle il verso, darle un’altra strategia.
Un sovranismo europeo ha senso soprattutto ora che l’Europa torna a essere terza forza tra gli Stati Uniti – che riprendono coi democratici il loro interventismo mondiale – e il modello cinese invasivo e dirigista che assume la leadership della globalizzazione. Biden ha annunciato che “l’America riprenderà il posto che gli spetta nel mondo”.
Paradossalmente, “l’America first” di Trump – protezionista, autarchica, rivolta agli americani – era meno invasiva per l’Europa rispetto all’imperialismo democratico e militare, condiviso anche dai Bush. La globalizzazione ha smesso di coincidere con l’americanizzazione del mondo e si accinge a diventare veicolo di cinesizzazione del mondo. Ma l’Europa lo capisce, o pensa ancora che il nemico del futuro viene dal passato e si chiama nazionalismo?