Dal sito Aleteia 1 marzo 2015
Dalla rivoluzione di Benedetto da Norcia alle “multinazionali” del Medioevo
di Danilo Leonardi
Nella sua La rivoluzione commerciale del Medioevo Robert S. Lopez, storico italiano di origine ebraica, naturalizzato statunitense, in seguito alla fuga dall’Italia dopo l’approvazione delle leggi razziali, parlando della potenza commerciale italiana, al suo apice tra XIII e XIV secolo, scrive: “Si estendeva fino all’Inghilterra, alla Russia meridionale, alle oasi del Sahara, all’India e alla Cina. Si trattava del maggior impero economico che il mondo avesse mai conosciuto”.
Come era potuto accadere che gli eredi di Roma, il cui dominio era stato spazzato via dai “barbari” 700 anni prima, fossero capaci di costruire qualcosa di ancora più grande? Qualcosa che avrebbe contagiato e cambiato a poco a poco tutta l’Europa e gettato il seme del progresso in tutte le terre che gli europei avrebbero scoperto di lì a non molto?
Tutto era iniziato quando Benedetto da Norcia, a poca distanza dall’ex capitale dell’impero, fra Subiaco e Montecassino, fondò le sue prime comunità monastiche e scrisse una Regola, che traduceva in pratica il Vangelo, fissando i cardini della vita comunitaria sui concetti di “stabilitas loci” (cioè l’obbligo di risiedere a vita in un solo convento) e “conversatio” (ovvero buona condotta morale, pietà reciproca e obbedienza all’Abate), applicando come via di perfezione l’alternanza di preghiera e lavoro.
Il motto “ora et labora”, vero emblema del monachesimo occidentale, indica una impronta indelebile che le attività di quegli uomini, seguaci di Benedetto, lasceranno nei luoghi e nelle genti interessate dalla presenza delle Abbazie. I monaci infatti pregano ma vivono del lavoro delle loro mani, evitano l’ozio e si santificano non rifuggendo dal mondo ma edificandolo con le opere buone e diventando ben presto punti di riferimento per territori sempre più vasti.
La santità e la dottrina dei monaci infatti attirava offerte e donazioni che non venivano solo destinate alle opere assistenziali ma amministrate con saggezza e messe a frutto grazie all’incremento delle proprietà agricole, la costruzione di edifici quali Chiese, magazzini, ospizi, scuole, officine.
Intorno al IX secolo, le tenute possedute dalle Abbazie si trasformarono in piccole città che sostenevano diversi distaccamenti sparsi. Qui operavano amministratori capaci e onesti, secondo le regole essenzialmente meritocratiche degli ordini religiosi, che affrontarono l’esigenza di controllare, maneggiare cifre, calcolare profitti e perdite, riflettere come espandere la produzione e gli scambi commerciali. Di conseguenza è in quest’epoca che si esce definitivamente da un’economia di baratto e si passerà a quella del denaro e poi del credito.
Il modello commerciale fornito dalle Abbazie medievali è perciò il presupposto fondamentale per la nascita di imprese capitalistiche private. Ma sarà un’altra peculiarità italiana a dare impulso decisivo all’economia: la diffusione di città-stato che garantivano autonomia e libertà ai cittadini, quasi tutte ben collocate nelle regioni del centro e nord Italia.
Senza libertà, le cui radici affondano nella fede cristiana in un Dio personale che vuole essere scelto e non si impone all’uomo se non per amore, non è infatti immaginabile alcuna “rivoluzione” economica come quella dell’Italia medievale. Quegli uomini si misero in gioco proprio perché convinti di esercitare e possedere quel dono di libertà dal quale derivava la concreta prospettiva di successo nell’impresa.
Un successo non tanto e non solo destinato a produrre, inevitabilmente, ricchezza ma piuttosto a costruire una città e una comunità ben ordinata e tesa a un fine comune. Ecco allora che la rivoluzione commerciale del Medioevo, partita dall’Italia, ha bisogno di imprese razionali, create e amministrate secondo regole precise e verificabili. In queste imprese hanno un ruolo decisivo le persone, che non possono essere addetti improvvisati ma necessitano di selezione e formazione.
Se il Medioevo inventa l’Università per gli studi superiori, non trascura l’istruzione mirata all’impresa: nel 1202 grazie all’Abaco di Leonardo Pisano si introduce nel mondo l’aritmetica moderna, che per 2 secoli resterà specialità quasi esclusivamente italiana.
Nel 1338, mentre nel resto d’Europa le scuole non esistono affatto e gran parte della popolazione è analfabeta, a Firenze, Venezia, Genova, Milano e nelle altre città commerciali italiane, quasi la metà della popolazione in età scolare frequenta la scuola. Chi commercia è perciò, non solo alfabetizzato ma anche istruito e così pure lo sono la maggior parte degli artisti e degli artigiani. Un vantaggio enorme che sarà anche alla base di un altro straordinario fenomeno: i “Banchi”.
Fa enorme impressione leggere le pagine che Stark dedica alle banche italiane di quei secoli. Prigionieri come siamo dell’idea di vivere in un Paese in declino, non ci sembra possibile che nel Medioevo le grandi “multinazionali” fossero praticamente tutte nate in Italia e gestite da italiani, in tutta Europa e non solo.
Il Banco Riccardi, di Lucca, nel 1250 possedeva undici filiali, di cui una a Dublino. 50 anni dopo, il Banco Peruzzi, di Firenze, aveva 15 filiali, di cui una a Tunisi. La “Storia economica di Cambridge” elenca 173 grandi banchi italiani operativi nel XIV secolo, senza contarne le filiali: 38 a Firenze, 34 a Pisa, 27 a Genova, 21 a Lucca, 18 a Venezia e 10 a Milano.
Erano vere e proprie imprese che non solo prestavano e scambiavano denaro ma erano coinvolte sia in attività commerciali e manifatturiere, sia in attività finanziarie. Se volessimo dare l’idea di cos’era un “Banco” sullo stile del lucchese “Banco Riccardi” e della sua influenza, dovremmo immaginare un’impresa frutto della fusione di Banca d’America e General Motors! Furono i “Banchi” italiani a finanziare Re e sovrani d’Europa nelle loro imprese: per 20 anni i Riccardi prestarono a Edoardo d’Inghilterra una media di 112.000 fiorini d’oro all’anno, facendosi pagare interessi fino al 17%!
I miracoli economici prodotti dal capitalismo italiano, alcuni secoli prima della Riforma, furono troppo evidenti per rimanere inosservati. I viaggiatori giunti in Italia dal nord Europa riportarono in Patria racconti di ricchezze e produttività incredibili. Dopo poco tempo, gli abitanti delle Fiandre, dell’Inghilterra e delle varie città lungo il Reno dovettero solo guardarsi intorno per vedere gli stessi miracoli: le aziende “coloniali” italiane, infatti, avevano preso il controllo e riorganizzato le loro industrie locali e attività commerciali, creando aziende molto efficienti e redditizie. Presto la gente del luogo iniziò a fondare le proprie imprese, imitando il “modello” italiano, per cui la ricchezza si diffuse in tutto l’Occidente…
Viviamo oggi un periodo storico strano: la nostra tradizione e la civiltà che ci viene dal passato, grazie alla quale tanto di positivo si è sparso in Europa e nel mondo, sembra debba essere accantonata per lasciare spazio a modelli sociali ed economici tanto confusi quanto pericolosi che ci vengono proposti come moderni e forieri di sicuro progresso.
Nutriamo forti dubbi che tale operazione possa produrre effetti positivi. E se fosse che, anche ai nostri giorni, il “modello” da seguire non sia da ricercare altrove ma parta ancora dall’Italia? Sperando di avervi incuriosito, affidiamo la conclusione proprio alle parole di Rodney Stark, ai cui libri vi rimandiamo per ogni approfondimento: “E’ stato il cristianesimo a creare la civiltà occidentale. Se i seguaci di Gesù fossero rimasti un’oscura setta ebraica, la maggior parte di voi non avrebbe imparato a leggere e gli altri leggerebbero papiri scritti a mano”.
“Senza una teologia affidata alla ragione, al progresso, all’uguaglianza morale, il mondo intero sarebbe oggi più o meno dove le società non europee erano, diciamo, nell’800: un mondo pieno di astrologi e alchimisti ma non di scienziati. Un mondo di despoti, senza università, banche, fabbriche, occhiali, camini e pianoforti. Un mondo dove la maggior parte dei bambini non raggiunge i 5 anni di vita e molte donne muoiono dando alla luce un figlio. Un mondo che vive veramente in ‘secoli bui’”.