16 febbraio 2021
Una operatrice di Planned Parenthood ha rivelato che il colosso degli aborti ora sta puntando sulla somministrazione di ormoni a bambini e ragazzini, trattati come “vacche da spremere per guadagnare: arrivano in gruppo, in clima ridanciano, e chiedono gli ormoni come domandassero di fare un piercing”. La Clinica, raggirando le regole, “li asseconda senza approfondire il loro evidente disagio”.
di Benedetta Frigerio
Cosa c’entra l’aborto con l’ideologia gender? Associare queste istanze, facendone vedere la matrice ideologica identica, fino a qualche tempo fa era considerato esagerato. Eppure a rivelare come le due stiano insieme è stata un’operatrice di una delle cliniche del colosso abortivo Planned Parenthood.
La donna, favorevole all’omicidio in grembo, è andata però in crisi di fronte al nuovo business che ha richiesto la sua collaborazione, quello della somministrazione degli ormoni incrociati ai giovani che vogliono apparire del sesso opposto. Motivo per cui ha deciso di parlare di quanto sta avvenendo alla giornalista, collaboratrice del Wall Street Journal, Abigail Shrier. L’ex dipendente, che ha si è fatta intervistare in anonimato, ha spiegato (mostrando alla Shrier la sua busta paga e il contratto) che il suo compito era lo screening dei pazienti e l’anamnesi prima che l’infermiera arrivasse per la somministrazione degli ormoni.
La clinica Planned Parenthood in cui lavorava e dove “l’aborto – ha sottolineato – era il pane quotidiano”, si trova in una cittadina di 30.000. Pur essendo abortista la testimone non ha però potuto mentire a se stessa vedendo che “i bambini che si identificano come transessuali sono vacche da spremere per guadagnare, tenute a bada per molto tempo grazie agli appuntamenti e ai follow-up, alle analisi del sangue e ai colloqui” che seguono la presa in carico di ciascuno di questi bambini o adolescenti. Al contrario, ha continuato, “gli aborti avvengono e poi è finita”. L’ex operatrice ha aggiunto che “a livello nazionale Planned Parenthood è il secondo più grande fornitore di Gender Affirming Hormone Care”. Perciò, ha continuato Shrier, “è ragionevole concludere che i trattamenti ormonali, così costosi, ora contribuiscono materialmente ai profitti di Planned Parenthood”.
L’ex dipendente ha affermato che non c’erano medici nella clinica in cui lavorava, ma solo un consulente che non aveva “credenziali professionali effettive né formazione, oltre a essere MtF” (cioè una persona transgender da maschio a femmina)”. Gli adolescenti parlavano con questo consulente che avrebbe mandato gli appunti dei colloqui “ad un vero professionista della salute mentale…Questo è stato fondamentalmente il modo con cui hanno aggirato (Planned Parenthood, ndr) l’obbligo di parlare con un vero consulente”. Quando poi i pazienti dovevano ricevere gli ormoni necessari ad apparire del sesso opposto, a dare il consenso era il “direttore della clinica” che non aveva “alcuna esperienza medica” (il suo lavoro precedente era quello di “gestire un fast food della catena Wendy’s”).
Ma quel che è ancora più scioccante è il clima in cui sono immersi i giovani e l’irresponsabilità degli adulti descritti così: “Ogni giorno, nuove giovani adolescenti si presentavano alla clinica (a volte con la mamma). Spesso arrivavano in gruppi di ragazze, sostenendo di avere la disforia di genere fin dall’infanzia e chiedendo di essere sottoposte alla somministrazione di testosterone. Senza troppo indagare gli operatori dovevano fare solo alcune domande come: ‘A che età è iniziato tutto questo?…Che tipo di disforia provi?…‘Punti ad un intervento chirurgico?’”.
Ascoltando le loro storie, l’ex operatrice ha scoperto che questi bambini e adolescenti soffrivano di “gravi problemi emotivi, molti di loro hanno avuto una storia di abusi”. A ciò si aggiungeva l’ansia, la depressione, mentre sul corpo avevano “cicatrici causate dall’autolesionismo”. Ma, ha confessato, “di quei segni non bisognava parlare. Ci si limitava ad accogliere l’auto-diagnosi delle “pazienti” e a far firmare loro il “consenso informato” così da privarsi di ogni responsabilità per i trattamenti elargiti. Consenso che, “potrei raccontare in maniera aneddotica, non ho mai visto leggere a nessuno”.
Giustamente Shrier ha fatto notare che il fatto che “le ragazze arrivavano spesso in clinica con un gruppo di amici” significa che prendere questi ormoni è diventato una moda trasgressiva come un tempo lo era andare “al centro commerciale per fare i piercing all’orecchio”. La testimone ha confermato che infatti il clima in sala di attesa era “super allegro, ridanciano”.
Ovviamente le operatrici di Planned Parenthood davanti alla scena restavano esterrefatte, ma il compito era di soddisfare “le loro richieste di iniziare la terapia ormonale”. Perciò, “ho vissuto un conflitto sulla moralità delle nostre azioni nel dare a questi ragazzi testosterone ed estrogeni”. Anche perché la donna non ricorda alcuno che chiedendo di iniziare un ciclo ormonale sia mai stato rifiutato. Fu sospeso temporaneamente solo un trattamento su un maschio che aveva problemi con la droga che contrastava gli effetti degli ormoni femminili.
Questa testimonianza è preziosa perché svela il volto diabolico di un mondo dipinto come tollerante e felice. Ma è chiaro che se “il corpo è mio e lo gestisco io”, come ripetevano negli anni Sessanta le femministe che si battevano per la legalizzazione dell’aborto ormai vissuto come una pratica banale, è poi difficile contestare la volontà di chi desidera sembrare del sesso opposto ingerendo ormoni come se fossero zuccherini.
Ed è chiaro che questa avversione verso la creazione, fino a rifiutare il frutto del proprio grembo o la propria sessualità, piace non solo ai ribelli ma anche a quanti godono del profitto che ne deriva. In barba alle grida d’allarme della comunità scientifica (vedi qui e qui) e dei ragazzini pentiti (vedi qui, qui e qui) in merito all’uso di sostante che possono ledere per sempre la salute fisica e mentale di questi ragazzini, che le richiedono senza comprenderne davvero le conseguenze irreversibili di questi trattamenti.