di Luigi Santambrogio
In attesa che l’Europa, come auspica Papa Francesco, ritrovi le sue radici cristiane (e dovrebbe averle già ripescate se dobbiamo credere alla stand ovation che il l’europarlamento ha riservato a Bergoglio) e l’Italia non perde le sue ultime foglie di cattolicesimo, godiamoci la bella immagine che ci viene dallo spazio. Quella che mostra i tre astronauti della Stazione spaziale internazionale volteggiare sorridenti in assenza di gravità, mentre sullo sfondo, con eccezionale nitidezza, appaiono alcune icone russe e un grande Crocefisso.
Una foto che vale più di tante discussioni sull’impossibile matrimonio tra scienza e fede, oppure sulla veronesiana (leggi del Prof. Veronesi, noto medico sempre in piazza contro la Chiesa, ndr) dimostrazione dell’inesistenza di Dio o se convenga, o meno, ostentare i simboli della religione nei luoghi pubblici. Tre domande che trovano la loro risposta plastica e in tecnocolor in quella immagine che ritrae Samantha Cristoforetti, la prima astronauta donna italiana e i suoi compagni di volo, il comandante russo Anton Shkaplerov e lo statunitense Terry Virtis. E poi il grande crocefisso dorato e le cinque icone, tra queste la Madonna con il Bambino e il Cristo Pantocratore.
Sulla navicella, la cosa più grande che l’umanità abbia mai costruito nell’orbita terrestre, tanto da essere visibile a occhio nudo dalla Terra, gli astronauti dovranno realizzare numerosi esperimenti per conto dell’Agenzia Spaziale Italiana e di quella europea. Gran parte di queste verifiche riguarda malattie neurodegenerative, dell’invecchiamento e dell’immobilità.
Alla Cristoforetti sono stati affidati gli studi sulla fisiologia umana, ma testerà anche il funzionamento di una stampante 3d per la produzione di prodotti in plastica nello spazio, una maglietta sensorizzata e una macchina a capsule per il caffè. Tutti gli astronauti dovranno infine lavorare alla manutenzione della Stazione, ormai quasi del tutto completata dopo circa 16 anni di cantiere in orbita a 400 chilometri dalla Terra. Gran lavoro, dunque, affidati a uomini e donne sui quali gli enti spaziali hanno investito la bella cifra di 100 miliardi di euro.
Persone che quel posto in orbita se lo sono conquistato a prezzi di sacrifici, che sanno di ingegneria, fisica e medicina e che rappresentano il meglio dell’intelligenza tecnologica e scientifica delle nazioni coinvolte nel progetto dell’Iss.
A guardare bene l’immagine, si vede che il Crocefisso e le icone russe sono piazzate in una nicchia di un non precisato marchingegno scientifico. E questo gli regala un surplus di valore. Nell’insolita location cosmica, non sono soltanto segni di una tradizione, ma rappresentano, in qualche modo, il senso e lo scopo ultimo della missione nello spazio.
In quella navicella che fila nella spazio a 29 mila chilometri all’ora ricordano chi siamo e che il nostro destino rimanda proprio alle stelle e al Cielo. Non solo reliquie di culto e devozione, ma presenza reale di un Altro che anche la scienza e la tecnologia riconoscono come il vero centro dell’universo e della storia umana. Perché da quella Croce sono scaturite anche tutte le meraviglie della civiltà europea e occidentale.
Coincidenza, ma forse no: le sacre raffigurazioni sono in mostra nella sezione russa della stazione quasi a risarcimento di quel celebre episodio, entrato nella storia delle missioni spaziali, che nel 1961 ha come protagonista il cosmonauta sovietico Jurij Alekseevic Gagarin, il primo uomo sparato nello spazio. Nel suo collegamento con la base di Bajkonur, Gagarin esprime meraviglia e stupore davanti allo spettacolo dello spazio, e poi annuncia: «Non vedo nessun Dio quassù».
Esultano nella base i generali del Cremlino, ma la cosa si rivelerà dopo alcuni decenni un gigantesco falso storico, una bugia politica architettata dai gerarchi comunisti. Queste parole non sono mai state pronunciate dal cosmonauta, non ve n’è traccia nelle registrazioni delle comunicazioni con la Soyuz. La bugia viene confermata anche da Valentin Vasil’evich Petrov, docente presso l’Accademia aeronautica militare, in un’intervista a Interfax-Religion nel 2006.
Dice il professore: «Non è stato certamente Gagarin a dire questo, ma Krushchev! Questo è stato collegato con una sessione plenaria del Comitato Centrale che affrontava la questione della propaganda anti-religiosa. Krushchev in quel momento aveva impostato l’attività per tutte le organizzazioni del partito e del Komsomol (Gioventù Comunista) per accrescere tale propaganda. Ha detto: “Perché state aggrappati a Dio? Gagarin ha volato nello spazio e non ha visto Dio” Ma Gagarin non l’ha mai detto».
Svelata la balla spaziale comunista e caduto l’impero sovietico, i simboli della fede religiosa tornano in orbita con Maksim Viktorovich Suraev, astronauta di 42 anni, colonnello delle Forze Armate ed eroe della Federazione Russa. Durante l’Expedition 19 del 2009, Suravev apre un blog sul sito dell’agenzia spaziale russa, dove, tra l’altro, scrive: «Abbiamo quattro icone sacre nel segmento russo della stazione. Abbiamo anche i vangeli e una grande croce. Io ho un reliquiario della croce nella mia cabina. Me l’ha data un sacerdote di Bajkonur prima del lancio, raccontandomi quel che contiene è proprio un pezzo della croce originale su cui Gesù è stato crocifisso».
É il 1969 quando Buzz Aldrin consuma il pane e il vino della comunione sulla Luna, ma non riesce a trasmettere la solenne cerimonia a quanti attendevano a Cape Canaveral.
Qualche minuto dopo la discesa di Neil Armstrong sulla superficie lunare, Buzz chiede a tutti un momento di silenzio. Dopo qualche secondo, da Houston giunge la risposta lievemente preoccupata: «Buzz, entriamo in silenzio radio». Durante quei minuti di blackout il vicecomandante dell’Apollo 12 estrae da una speciale sporta un calice d’argento alto pochi centimetri, una microporzione di vino contenuta in una busta sotto vuoto e un’ostia, il kit che si era portato per una comunione da campo.
Come Gagarin, anche Buzz è vittima della politica. Il silenzio radio imposto dai controllori di Houston era motivato dal fatto che le esternazioni religiose degli astronauti del centro spaziale avevano già provocato grane non indifferenti all’amministrazione e al governo federale. Nel 1966, dopo che l’equipaggio dell’Apollo 8 aveva trasmesso alcuni passaggi della Genesi per santificare la loro orbita terrestre, Madalyn Murray O’Hair, presidente della Lega atea d’America, aveva querelato la Nasa affinché impedisse «atti religiosi nello spazio».
Ma quegli “atti religiosi”, a dispetto di atei e miscredenti, continuano, seppur senza un patrocinio ufficiale, per iniziativa di diversi astronauti seguaci di un pastore presbiteriano, il reverendo John Stout, impiegato al centro spaziale di Houston. Infine, tutti ricordano, nel maggio del 2011, il collegamento dalla Biblioteca vaticana di Papa Benedetto con la Stazione Spaziale Internazionale che ospitava anche gli italiani Paolo Nespoli e Roberto Vittori.
Ratzinger dialoga con loro sulle sorti del pianeta e il futuro dell’umanità per quasi venti minuti, interrogandoli e rispondendo alle loro domande. Non è la prima volta, dunque, che la Croce e il Vangelo accompagnano le passeggiate dell’uomo nel cosmo. Ma le nuovi immagini che oggi arrivano dall’Iss valgono, se possibile, di più. Senza parole ma con una forza straordinaria, attaccano il pensiero unico di questi tempi dove la laicità dello Stato è scambiata con un’etica atea e antipopolare. Ideologia totalitaria e intollerante che vorrebbe eliminare anche fisicamente la presenza del Crocefisso nelle scuole e nei luoghi pubblici, in nome dei diritti umani, ma che affossa l’esperienza e la storia che li ha generati.
Prima i Crocefissi da schiodare, poi toccherà ai campanili, alle cattedrali, ai monasteri, alle cappelle votive, da far sparire e abbattere. Già accade nei territori dove i cristiani sono perseguitati e messi a morte dai tagliagole islamici. E allora, quel Crocefisso e quelle icone che dallo spazio lievitano sopra la testa del mondo (anche di quella dei feroci killer del Califfato) sono la migliore assicurazione che il male non vincerà.