«Credevo che il cattolicesimo fosse tutto leggi e sentimenti. Poi ho letto il Vangelo e ho visto in Cristo la mia vera natura». Il regista dei partigiani racconta la sua conversione. E il suo film su Gesù
di Benedetta Frigerio
La pellicola è essenziale, quasi scarna, il rapporto tra Cristo e la madre è di un amore naturale e umano, ma che sconvolge i parametri e le leggi ebraiche del tempo, tanto che parte della critica ha già ridotto la figura di questa Maria a quella di una rivoluzionaria, di «una vera femminista».
«In realtà quel che sconvolge sono l’amore e la razionalità di un rapporto tra il divino e l’umano profondamente ordinario», dice a Tempi il regista del film, Guido Chiesa. «Non c’è nulla di sensazionale o mistico in questo film, perché il cristianesimo non è uno spiritualismo particolare. Non ha nulla di irrazionale. Purtroppo, però, oggi è spesso presentato o come una regola da rispettare o come un sentimento mistico e irrazionale. Anche io la pensavo così».
E cosa le ha fatto cambiare idea?
Ho approcciato i Vangeli da non credente, solo perché mia moglie e una sua amica hanno iniziato a parlarmene in modo per me bizzarro. All’inizio le ho prese per pazze, poi ho visto che quei testi parlavano davvero al mio cuore. Mi dicevano di una storia umana, di una Madonna non sottomessa e succube come invece una certa tradizione cattolica, in cui sono cresciuto, mi aveva fatto pensare. Ho scoperto che la storia di Maria e Gesù è quella di un mistero che entra nella vita naturale dell’uomo.
Quando ho iniziato a leggere il Vangelo di Luca ho sentito chiamata in causa la mia ragione scettica e nichilista. E la cosa incredibile è che potevo verificare quanto era scritto nella mia vita quotidiana. Ho capito da padre cosa significa amare i figli. Ho imparato non il bene mieloso o sentimentale, ma reale, di cui si può fare esperienza seguendo Gesù. Ho iniziato a guardare i miei cari con lo sguardo che scoprivo dentro quei testi e ne ho colto la bellezza. È questa la rivoluzione, che non è l’assenza di legge, ma il suo compimento. Non la legge vecchia degli uomini, ma quella di Dio che soddisfa infinitamente di più.
Nel film lo fa dire ai sapienti che indagano su Gesù: «Quel bambino obbedisce a una legge che è inscritta nel cuore umano».
L’amore di Dio non è un inno al libertinismo. Dio è venuto a rendere l’uomo se stesso, a fargli scoprire una norma che ha già dentro di sé. Infatti, Lui ci aiuta a realizzarci. Non solo nell’animo, ma anche nel corpo, nella mente. Cose che io pensavo che il cristianesimo separasse. Credevo che mirasse a un’ascesi che prescinde dalle contingenze corporali. Mentre io, ad esempio, con la conversione ho iniziato a guardare ad alcuni aspetti concreti di me e della mia vita che avevo sempre trascurato.
L’intelligenza di Gesù sconvolge i dottori del tempio, persino sua madre e suo padre. Ma i se i primi si ribellano i secondi si innamorano. Come mai?
È il dramma di oggi. Io ho scoperto, e ho cercato di rappresentarlo, che la vita non dipende da me. Quando l’ho capito ho dovuto cambiare il modo in cui ho pensato e vissuto per quasi cinquant’anni. L’ho fatto dopo aver cercato, per una vita, la libertà nella politica e nell’azione umana. Accettare questo amore può spaventare, come spaventò i farisei. Per questo motivo il cristianesimo può produrre resistenza, pur essendo corrispondente ai cuori. È un paradosso: ci ribelliamo alla vera libertà per paura.
Nei suoi film precedenti è sempre l’azione umana la chiave per la liberazione dall’oppressione del potere. Ma ora mette insieme dipendenza e libertà. Perché?
Ho capito che la vita è libera se dipende. Io non sono mio, io non controllo tutto, sono nelle mani di Uno più grande di me. Posso intuire la Sua volontà se sono leale con la mia intelligenza, e dove non arrivo so che posso fidarmi, perché ho visto che è bene. Se ci pensiamo, noi oggi siamo schiavi proprio perché non vogliamo dipendere, non siamo umili e l’orgoglio ci imprigiona in noi stessi, nelle nostre paure, nel pensiero che tutto va se noi lo facciamo funzionare. Così, però, viviamo nell’ansia.
Il Giuseppe di Io sono con te non comprende tutto, ma si fida del bene di Maria. La Madonna invece è totalmente abbandonata, innamorata di suo figlio. Non che non si spaventi, e neanche lei capisce tutto, ma non dubita mai: è lei a tranquillizzare sempre il marito. Cosa comunica questo rapporto?
Maria è il tramite da cui dobbiamo passare per fidarci dei piani di Dio. E la strada della vita sta nell’accettare o meno questo amore. Se lo facessimo sempre saremmo nel regno dei cieli, beati, come beata è la bellezza della Vergine, che proprio per il suo abbandono totale può essere la madre di Dio. Quando veniamo meno a questo iniziano il male e le sofferenze.
Ma nel film sia Maria sia Giuseppe, così come Gesù e i santi innocenti, soffrono, pur obbedendo alla volontà di Dio. Come è possibile che Dio lo permetta?
Dio non vuole il male. È l’uomo che opponendosi a Lui lo fa. Per questo Dio si fa carne e soffre per liberarci dai nostri orrori. E lo fa non con la magia, ma con la carne e le ossa. Non c’è niente di più grande e affascinante di un Signore del genere, che entra dentro ogni aspetto dell’esistenza.
Per questo Gesù, pur portando una legge nuova, più profonda e davanti alla quale perfino i saggi dicono di non valere nulla, segue comunque le leggi del suo tempo?
Esatto. E infatti non capisco un certo cristianesimo avulso dalla realtà. Dio ha fatto i conti con il suo mondo, è stato davanti alla mentalità del suo tempo così com’era, per sfidarla e cambiarla. L’ha rivoluzionata da dentro la sua storia, le sue sinagoghe e il suo popolo.
Nel film Gesù, il figlio di Dio, interroga continuamente la Madre, un essere umano, sull’ingiustizia delle leggi umane e sulle scritture. Come è possibile?
Dio è razionale, ha percorso la strada che dobbiamo percorrere noi uomini per compierci in intelligenza e cuore. Il cristianesimo mi ha colpito per questo. Perché la fede e la ragione si completano strada facendo. Gesù non si sarebbe compiuto senza la madre e il padre che ha avuto, senza quella educazione all’intelligenza e all’amore. Così quel bambino, quando è cresciuto, ha potuto fare lo stesso e liberare l’uomo. Mentre il potere lo schiacciava. Infatti, prima di lui, non c’è religione che non condanni qualche aspetto dell’essere umano. Se i bambini non erano perfetti erano considerati dannati, le donne impure e i malati indemoniati. Lo vediamo anche oggi che il cristianesimo pare scomparire: i piccoli vengono abortiti, le donne pensano di essere libere, ma sono schiave. Nel corpo, ad esempio. Pensiamo solo alle mille diagnosi prenatali o alla fecondazione assistita. Solo il cristianesimo valorizza davvero le donne. E anche l’infanzia e la malattia assumono una dignità inaudita.
L’ambiente da cui proviene che reazione ha avuto davanti a questo film?
Prima di vederlo i colleghi erano imbarazzati. Mi dicevano: «Ecco, hai avuto la svolta mistica». Perché il problema è che non si sa veramente chi sia davvero Gesù. Molti, infatti, dopo aver visto la pellicola hanno cambiato idea. Mi hanno confessato di essersi interessati per la prima volta a Cristo. «È umano e straordinario, non credevo che fosse così», mi ha detto qualcuno. Li capisco, perché il cristianesimo che anche in passato ho respirato si è vergognato di questa umanità, così difficile da accettare. Perciò Dio si è allontanato. È stato relegato nei cieli o al massimo ridotto a una regola. Mentre la vita di Gesù parla ai cuori degli uomini. A quelli di allora e a quelli di oggi, come nessuno ha mai fatto.
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Chi è Guido Chiesa. Nato a Torino nel 1959, il regista Guido Chiesa studia in America Storia del cinema. Lì lavora con diversi registi prima di tornare in Italia, dove esordisce nel 1991. Le pellicole precedenti a Io sono con te sono per lo più “politiche”. In Babylon (1994) Chiesa descrive le mutazioni etniche della Torino del crollo economico. Nel documentario 25 aprile: la memoria inquieta (1995) racconta l’Italia partigiana. Nel 1998 ricostruisce la vita dello scrittore piemontese Giuseppe Fenoglio e iol suo coinvolgimento nella Resistenza. Da qui nasce uno dei suoi film più celebri, Il partigiano Johnny, tratto proprio dal romanzo di Fenoglio.