Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2010
di Massimo Introvigne
Il tema fondamentale della Caritas in veritate è la «lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo» (ibid., n. 74). La principale minaccia denunciata dall’enciclica è quella della tecnocrazia, cioè del tentativo di poteri forti che non parlano in nome della verità e del bene comune – e in genere nemmeno di un mandato politico ricevuto per via elettorale – di dominare e manipolare, sulla base di un preteso sapere più «scientifico» e più «progressista».
Alla base della tecnocrazia c’è una «pretesa prometeica» (ibid., n. 68), dove la persona «pretende di essere l’unica produttrice di se stessa» (ibid.), non riconoscendosi più come creatura di Dio e dunque non ammettendo più il limite costituito dalla «legge morale naturale che Dio ha inscritto nel suo cuore» (ibid.). Contro la tecnocrazia si erge a difesa della persona la libertà, che trova il suo fondamento ultimo nella religione. Ma non ogni religione è amica della persona.
Ci sono forme religiose «che non impegnano l’uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche» (ibid., n. 55). Certo, la scelta religiosa dev’essere libera ma «la libertà religiosa non significa indifferentismo religioso e non comporta che tutte le religioni siano uguali» (ibid.).
Nella «lotta culturale» tra tecnocrazia e libertà è coinvolta – insegna l’enciclica – ance la questione dell’ambiente. Da una parte, la tecnocrazia aggredisce l’ambiente con una «completa tecnicizzazione» (ibid., n. 48), considerandolo «solo materia di cui disporre a nostro piacimento» (ibid.), mentre si tratta di un’«opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario» (ibid.).
Dall’altra, la libertà fondata sulla religione difende anche l’ambiente e la «grammatica» che nell’ambiente ha iscritto il Creatore. Ma, anche in questo caso, non ogni visione religiosa garantisce la vera libertà. Gli «atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo» (ibid.) di un certo ecologismo sono una risposta falsa a un problema vero. Affermano una mera «ecologia ambientale» (ibid., n. 51) a detrimento dell’«ecologia umana» (ibid.), quasi che l’uomo fosse un mero servitore del creato.
Questi paragrafi dell’enciclica sono approfonditi nel Messaggio di Benedetto XVI per la Giornata Mondiale della Pace 2010, che ha per titolo «Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato». Il Papa ribadisce anzitutto che il problema ecologico – per quanto talora sia presentato male attraverso esasperazioni ed esagerazioni – non è inventato. Esiste davvero una «crisi ecologica» (Messaggio, n. 5). La Chiesa non è in ritardo nel denunciarla, e non deve avere complessi d’inferiorità.
Nel 1971, quando appena si cominciava a parlare di ecologia, Papa Paolo VI (1963-1978) nella lettera apostolica Octogesima adveniens ammoniva al n. 21 che «attraverso uno sfruttamento sconsiderato della natura, egli [l’uomo] rischia di distruggerla e di essere a sua volta vittima di siffatta degradazione. Non soltanto l’ambiente materiale diventa una minaccia permanente: inquinamenti e rifiuti, nuove malattie, potere distruttivo totale; ma è il contesto umano, che l’uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l’intera famiglia umana».
Per tutti gli ultimi decenni i richiami del Magistero sul tema sono stati costanti. Dopo avere ribadito che il Magistero anche di questo campo – come di quello dell’economia – si occupa «evitando di entrare nel merito di specifiche soluzioni tecniche» (n. 4), il Messaggio riconduce le cause del degrado ambientale alla mentalità tecnocratica denunciata nella Caritas in veritate. «La crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni ad essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell’uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato» (n. 5).
In altre parole, la crisi ecologica non nasce da cause semplicemente tecniche ma da errori dottrinali. «Quando la natura e, in primo luogo, l’essere umano vengono considerati semplicemente frutto del caso o del determinismo evolutivo, rischia di attenuarsi nelle coscienze la consapevolezza della responsabilità» (n. 2).
Alla radice del degrado c’è il rifiuto, tipico della tecnocrazia moderna, della nostra identità di creature e della nostra dipendenza da Dio. «Il mondo “non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso… Il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 295)» (n. 6).
Ultimamente, anche la crisi ecologica nasce dal peccato originale, che diventa peccato attuale e storico come rifiuto tecnocratico di riconoscersi creature di Dio. «L’armonia tra il Creatore, l’umanità e il creato, che la Sacra Scrittura descrive, è stata infranta dal peccato di Adamo ed Eva, dell’uomo e della donna, che hanno bramato occupare il posto di Dio, rifiutando di riconoscersi come sue creature.
La conseguenza è che si è distorto anche il compito di “dominare” la terra, di “coltivarla e custodirla” e tra loro e il resto della creazione è nato un conflitto» (ibid.). Approfondendo il tema della manipolazione tecnocratica del creato Benedetto XVI torna ai temi dell’enciclica e del Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2009. Qui aveva denunciato come effetto dell’avidità tecnocratica applicata all’economia l’incapacità di programmare a lungo termine, lasciandosi sedurre dalla magia del profitto immediato, senza pensare alle generazioni future.
Come, quando anziché governare l’economia secondo regole l’uomo tecnocratico dominato all’avidità pretende di rinunciare a ogni regola, l’economia si ribella e nascono le crisi economiche, così anche nel rapporto con l’ambiente «quando l’uomo, invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio, a Dio si sostituisce, finisce col provocare la ribellione della natura» (n. 6).
Come, in campo economico, il calcolo a breve o brevissimo termine penalizza le generazioni future, così anche in campo ecologico è necessaria una «solidarietà inter-generazionale» (n. 8), «una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future» (ibid.), mentre «il degrado ambientale è spesso il risultato della mancanza di progetti politici lungimiranti o del perseguimento di miopi interessi economici» (n. 7).
Infine, come nell’economia l’uscita dalla crisi in tempo di globalizzazione passa per una politica degli investimenti che coinvolga Paesi cosiddetti ricchi e Paesi poveri, così pure in tema di ambiente accanto a quella inter-generazionale verso le generazioni future non deve mancare anche una «solidarietàintra-generazionale» (n. 8) verso i Paesi in via di sviluppo.
«I Paesi meno sviluppati e, in particolare, quelli emergenti, non sono tuttavia esonerati dalla propria responsabilità rispetto al creato, perché il dovere di adottare gradualmente misure e politiche ambientali efficaci appartiene a tutti» (ibid.). Ancora, giovano a risolvere anche la crisi ecologica alcuni dei suggerimenti proposti da Benedetto XVI per la crisi economica.
In primo luogo, senza ostacolare lo sviluppo, il Papa suggerisce di accompagnarlo con «norme ben definite anche dal punto di vista giuridico ed economico» (n. 7). Questo vale anche per l’ecologia e l’ambiente, dove il problema delle regole, nazionali e internazionali, è particolarmente acuto ma dev’essere affrontato «in modo equilibrato» (n. 13), senza estremismi.
In secondo luogo, il Papa raccomanda di adottare tutti «comportamenti improntati alla sobrietà» (n. 9). Sia l’economia sia l’ecologia ci avvisano che la festa è finita, siamo in periodo di crisi e dobbiamo tutti – singoli, famiglie, Stati – fare progetti basati «sulla responsabilità, sulla consapevolezza del necessario cambiamento degli stili di vita e sulla prudenza, virtù che indica gli atti da compiere oggi, in previsione di ciò che può accadere domani» (n. 9).
Da una parte, dunque, per contrastare la crisi ecologica occorre contrastare la tecnocrazia: la posizione «di assolutizzazione della tecnica e del potere umano, finisce per essere un grave attentato non solo alla natura, ma anche alla stessa dignità umana» (n. 13). Dall’altra, come sottolinea l’enciclica Caritas in veritate, costantemente richiamata nel messaggio, occorre guardarsi anche dall’errore di segno contrario dell’ecologismo neopagano.
È obbligatorio che qualunque discorso sull’ambiente nello stesso tempo «salvaguardi un’autentica “ecologia umana” e, quindi, affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia» (n. 12). Si tratta di un grande tema dell’enciclica: non è credibile, e non è amico della persona, chi predica la difesa degli alberi e delle foche – che certo meritano qualche considerazione – ma non difende i bambini uccisi con l’aborto, i vecchi e i malati minacciati dall’eutanasia, la famiglia fondata sull’unione indissolubile di un uomo e di una donna.
Qualunque discorso su qualunque diritto deve trovare il suo fondamento e insieme il suo limite nella legge naturale: ogni «patrimonio di valori ha la sua origine ed è iscritto nella legge morale naturale, che è fondamento del rispetto della persona umana e del creato» (ibid.). Tecnocrazia contro rispetto della natura, dunque. Ma non tutto quello che è presentato come «rispetto della natura» è accettabile. C’è un presunto «rispetto della natura» che nasconde il neopaganesimo.
«Una corretta concezione del rapporto dell’uomo con l’ambiente non porta ad assolutizzare la natura né a ritenerla più importante della stessa persona. Se il Magistero della Chiesa esprime perplessità dinanzi ad una concezione dell’ambiente ispirata all’ecocentrismo e al biocentrismo, lo fa perché tale concezione elimina la differenza ontologica e assiologica tra la persona umana e gli altri esseri viventi. In tal modo, si viene di fatto ad eliminare l’identità e il ruolo superiore dell’uomo, favorendo una visione egualitaristica della “dignità” di tutti gli esseri viventi. Si dà adito, così, ad un nuovo panteismo con accenti neopagani che fanno derivare dalla sola natura, intesa in senso puramente naturalistico, la salvezza per l’uomo» (n. 13).
Il Papa denuncia con grande chiarezza gli errori dell’ecologismo neopagano. Gli altri esseri viventi, la natura, la Terra stessa non sono in realtà sullo stesso piano dell’uomo. Solo l’uomo è creato a immagine e somiglianza di Dio. L’«ecocentrismo», che mette al centro di tutto l’ambiente, e il «biocentrismo», che conferisce una posizione centrale agli animali e alle piante oppure considera l’uomo una forma di vita non intrinsecamente superiore alle altre, non sono compatibili con la fede cristiana.
Per i cristiani c’è una differenza assoluta tra l’uomo e ogni altro frutto della creazione. L’uomo ha un «ruolo superiore», e la natura non ha nessun significato salvifico. Ci salva la grazia di Dio, non l’ecologismo. L’uomo – non l’ambiente, non gli animali o le piante – è al centro: secondo l’espressione tradizionale, è il re del creato. Come ogni buon re, ha un «ruolo di custode e amministratore responsabile del creato, ruolo di cui non deve certo abusare, ma da cui non può nemmeno abdicare» (ibid.).