di Aldo Ciappi
Si è perso ormai il conto: a occhio e croce, ogni due/tre anni, puntuale come un orologio svizzero, arriva una “manovra”, imposta dall’ immancabile “crisi” (quando l’euro, quando la Grecia, quando il medioriente, quando l’11 settembre, quando la crisi del Golfo… ) e studiata dal governo pro tempore per mettere una toppa alle sempre più sgangherate casse dello Stato italiano.
Lungi dall’idea di fare qui l’elogio dell’ “evasore”, anche perché come “genus” è troppo vago per poterne delineare un identikit, conviene tuttavia farci sopra qualche riflessione fuori dalla gabbia ideologica del “politicamente corretto”.
Intanto, resta tuttora non dimostrato che qualora non vi fosse evasione (o ve ne fosse di meno) i maggiori introiti sarebbero devoluti ai pensionati, ai meno abbienti, alle famiglie numerose, ecc.. All’opposto, grava su ciò il sospetto che il maggior gettito andrebbe piuttosto ad alimentare i perversi rivoli della spesa inutile dato che alla fantasia degli amministratori e dei politici non vi è limite (sapevate, per esempio, che la Regione Toscana ha un assessorato alla “cooperazione e alla pace” e che, sempre nella stessa regione, si assegnano card prepagate a transessuali?).
E’, poi, un’ovvietà affermare che, tra il piccolo artigiano o il professionista alle prime armi, ai quali, se fossero ligi fino in fondo, l’erario preleverebbe oltre la metà di quel (poco) che guadagnano, da un lato, e il grande campione dello sport o il divo dello spettacolo che trasferiscono la loro residenza a Montecarlo per fruire di un regime fiscale più favorevole, dall’altro, vi è una sostanziale differenza.
Penso sia, altresì, ovvio, che chi ha un lavoro dipendente, e quindi non può evadere perché le tasse gli vengono trattenute fino all’ultimo euro dalla busta paga, cerchi un altro lavoretto al nero così da arrotondare il suo magro stipendio per mandare avanti la famiglia.
Vi è anche chi, ancora oggi, percepisce tranquillamente l’indennità di disoccupazione pur “collaborando” saltuariamente nell’attività di qualche amico o chi invia al datore di lavoro e all’Inps certificati medici accusando forti emicranie, nel frattempo preparando gli esami per un concorso. E la gamma delle situazioni potrebbe continuare all’infinito.
Di quali evasori vogliamo dunque parlare? Tutti questi lo sono in varia misura. L’ italiano, dunque, è un popolo di evasori? In un certo senso, può anche darsi.
Ma da che pulpito arriva la predica? Il Governatore di Bankitalia, per esempio, ha uno stipendio tra i più alti della nomenclatura, così come il trattamento pensionistico. I presidenti delle alte cariche dello Stato non sono, ovviamente, da meno, ma anche gli stessi semplici parlamentari non scherzano. Eppure c’è chi è pronto a scommettere sul fatto che una buona parte di essi, se dovessero far fare dei lavori a casa propria, quando anche pagassero regolarmente il conto non richiederebbero alla ditta la relativa fattura per non pagarci sopra l’Iva. Considerazioni qualunquiste? Stando a quel che si percepisce nell’aria, pur tenendosi a debita distanza dai cori giustizialisti, non si direbbe proprio.
E, dunque, come si fa, di fronte all’ incalzare di dichiarazioni di plauso ai governanti da parte dei media e del mondo finanziario perché, dopo aver, obtorto collo, ritoccato appena appena i loro innumerevoli benefits, si darà, finalmente, la “caccia agli evasori”, a non sdegnarsi del fatto che nessuno stia a ricordare alla classe politica, ed allo stuolo dei burocrati che la sostengono, che sono essi stessi, almeno a partire dagli anni settanta in poi, gli artefici principali, se non esclusivi, della bancarotta della finanza pubblica.
Una finanza saccheggiata dai partiti, dalle baby pensioni di stato, dalle assunzioni nella pubblica amministrazione senza pubblici concorsi di una miriade di raccomandati o portaborse di politici, dal finanziamento a pioggia ad associazioni ed enti fantasma, a testate giornalistiche fantasma, a films para-pornografici o di quarta categoria che nessuno ha mai visto, alle migliaia di iniziative sedicenti culturali foraggiate dagli enti pubblici (come dimenticare quella mitica mostra sul “porco” di qualche anno fa a Reggio Emilia; ma si potrebbe continuare per ore!).
Costosissime prebende pagate con i soldi di tutti e con ritorno assicurato di un bel pieno di voti per gli scialacquatori del denaro altrui; queste sono le vere cause del dissesto dei conti pubblici. Altro che evasione!
Qualche esempio? il gettito fiscale degli ultimi 10 anni nella Regione Toscana è aumentato del 250% circa (dati tratti dal sito ufficiale) e si può presumere che questo sia più o meno il trend nazionale; ciò vuol dire che gli italiani che lavorano hanno fatto, bene o male, la loro parte.
L’evasione fiscale è indubbiamente un fenomeno di malcostume (non necessariamente peggiore di altri e penso, per esempio, alla proverbiale arroganza dei potenti del tipo: ”lei non sa chi sono io!), per il quale viene prima l’ interesse privato su tutto il resto, ma, in certi casi essa può assumere i connotati della legittima difesa, perlomeno quando lo Stato giunga a pretendere una parte preponderante delle risorse dei cittadini.
In Italia, a titolo di notizia, se mai qualcuno non lo sapesse, la pressione fiscale, diretta o indiretta, raggiunge, e in taluni casi supera, il 50% del reddito prodotto (dati della CGIA di Mestre relativi al 2008).
Tuttavia si concorda senz’altro sul fatto che sia un bene combatterla, anche se vi sono diversi modi per farlo.
Uno di questi, forse anche il più redditizio, potrebbe essere quello che trae lo spunto da ciò che avviene in qualsiasi realtà associativa organizzata dove, alla fine di ogni esercizio annuale, gli amministratori di essa spiegano ai soci (che sono anche i “contribuenti”), con un dettagliato e comprensibile rendiconto, le modalità in cui sono stati spesi i soldi prelevati dalle loro tasche.
Solo dopo l’illustrazione del rendiconto (e dopo aver dimostrato di aver spesi bene quei soldi) gli amministratori possono richiedere ai soci di continuare a sostenere i futuri costi e, se necessario, di fare anche qualche sacrificio in più. Di regola ciò viene accordato senza ricorrere alle minacce ed al prelievo forzoso.
Un ineccepibile trasparente modo di procedere, questo, che nessun governo, della prima o della seconda repubblica, ha mai pensato di far proprio; tutti, con la minaccia delle sanzioni e facendo leva sull’invidia sociale, hanno sempre richiesto agli italiani sacrifici su sacrifici per tamponare le falle da essi aperte spendendo (male) molto più di quel che avevano e, nel contempo, cercando di scaricare le loro responsabilità sugli evasori. Troppo facile.
Non si eliminerà questo antico vezzo, lascito della vecchia politica, e quindi non si potrà rimediare al dissesto della finanza pubblica, finché ai padroni delle ferriere sarà consentito di raccontare, senza che alcuno gliela ricacci in gola, quella logora storiella delle casse vuote depredate dagli evasori.