Torna in libreria il ciclo del «Leone di Damasco», paradigma della donna occidentale che invece del burqa indossa la corazza
di Marco Respinti
Ricorre infatti quest’anno il 150 della nascita dello scrittore veronese (dopo i cent’anni della morte, l’anno passato) e detto ciclo «minore» torna in libreria a cura di Fabio Francione, che lo correda con un utile profilo bio-bibliografico e storico-critico, nonché arricchito da 40meravigliose illustrazioni d’epoca di Alberto Dalla Valle (1851-1928).
Il passo di questo distico fa il verso all’Orlando Furioso. Del resto, Salgari ariostesco lo è sempre: onirico, surreale, poco curato nella filologia storico-geografica (anzi, irto di errori), predilige il turbine di sogni, sentimenti, passioni. Lomostra bene in questo setting mediterraneo dello scontro cinque-secentesco tra armate cristiane e orde «mussulmane» (inconfondibilmente scritto con la doppia «s»), dove tutto si fa palcoscenico di una trama sanguigna di amore e di guerra che è metafora suprema della vicenda umana.
Si dice che Salgari sia ripetitivo, ma il suo genio fu la serialità. I primi passi li aveva certo mossi il feuilleton, che ebbe la Francia per capitale ma i cui fiori più profumati non sbocciarono affatto solo nell’Esagono. Salgari vi aggiunse la capacità visionaria di evocare, senz’averli mai visti, luoghi tanto particolareggiati quanto sperduti, che, a onta di errori madornali, tornano sempre verosimili; cioè in grado di reggere l’urto della realtà.
Se i suoi personaggi ci sembrano tutti doppioni di Sandokan, così è insomma perché così Salgari ha voluto, offrendosi alla domanda nostra di ripetizioni, mantra, giaculatorie, riti e liturgie.
Le serie, se ben gestite, sono infatti continuità, testimonianza, persino storia: quanto cerchiamo nei libri che, imitandola, raccontano la vita. «Il ciclo del Leone di Damasco» conferma puntuale la poetica salgariana, essenziale e spicciola: avventure allo stato brado, in cui le emozioni umane testano la stoffa del lettore, muovendo protagonisti, antagonisti, comprimari e comparse tra imperi al tramonto, certezze in disfacimento, magnifiche sorti e progressive senza l’illusione facilona del buonismo gratuito, tecnologia incipiente e retaggio di passati tribali, guerre coloniali e scontri fra civiltà, costumi, lingue e pelli colorate in una Babele lussureggiante di esperienze.
È Salgari che ha inventato i cartoni animati, l’action-movie e il 3D scavando dentro di sé per imparare a descrivere gli altri.
In Capitan Tempesta (1905) l’eroe di cappa e spada è una donna. Eleonora, duchessa d’Eboli, ama il visconte Gastone Le Hussière, nobiluomo francese al servizio di Venezia. Copertosi di gloria nella difesa di Nicosia, ora è prigioniero di Haradja, nipote dell’ammiraglio ottomano che assedia Famagosta.
Svelta d’arma, donna angelicata sì, ma della squadra dell’Arcangelo Michele, quello con la spada sguainata, Eleonora sfida l’islam. Su tutti i piani, tant’è che si veste persino da uomo. Da uomo sarà dunque anche il suo nome, Capitan Tempesta, che è lutto e sciagura per i nemici, che sconvolge le schiere avversarie. L’Eleonora innamorata è come il dio Thor dei vichinghi, come Gandalf che i malvagi atterriti soprannominano «Corvotempesta».
Eleonora-Tempesta è adesso sinonimo di paladino cristiano, come a Roncisvalle, come sotto le mura di Vienna, come in Terrasanta. Duella con il campione degli ottomani, Muley-el-Kadel, detto il Leone di Damasco, e in lei intravvediamo un Ettore Fieramosca o, per restare in area, un Marcantonio Bragadin (ma anche Marco d’Aviano, il Cid, san Giovanni da Capestrano, Jan Sobieski…).
Vince lei e grazia il suo nemico, magnanimo cuore di donna cristiana. I due ora si ammirano, come già Saladino e Riccardo Cuordileone. Ferita poi in battaglia, la donna ricorre al nuovo amico, che segretamente di lei si è innamorato. L’aiuta, persino a ritrovare Gastone.
Ecco allora Haradja che propone alla duchessa di assassinare il Leone in cambio del fidanzato. Incombe però un sordido inganno, e Gastone muore. La cristiana e il «mussulmano» fuggono, ma il loro destino è segnato: «La vita è troppo ridente al tuo fianco […] – rispose il giovane Leone di Damasco. – Rinnego la religione dei miei padri e Maometto, ed abbraccio la tua. Conducimi in Italia, Eleonora: […] sai quanto ti amo». L’amore e la guerra funzionano: convertono i cuori e le menti. Tutto è già pronto per il sequel.
Il Leone di Damasco (1910) vede Eleonora ed el-Kadel sposati in Santa Romana Chiesa, ma la Cristianità l’hanno lasciata al suo destino, appendendo le lame al chiodo. Torna la truce Haradja, rapisce il figlio della coppia felice, Enzo, ed Eleonora, corpo di mille fulmini, le è addosso.
L’incarcera. Haradja azzarda: l’innocente Enzo per la sua sordida libertà. Haradja però bara. Ora che i due genitori capiscono che la vita della loro famiglia è tutt’uno con la sorte della Cristianità, solo lo scontro di Lepanto può riscattare l’amore e la guerra. È da allora che l’islamoterrorismo ce l’ha con quella femmina occidentale che invece del burqa indossava la corazza crociata.