7 novembre 2013
di Piero Gheddo
La prima colonia italiana, l’Eritrea (1889-1941), è oggi ritenuta il paese africano dove i diritti dell’uomo sono più violati e fornisce il maggior numero dei profughi africani che ogni giorno sbarcano (se non muoiono nel deserto o in mare) a Lampedusa e sulle coste della Sicilia. Non è nel caos politico-militare come Libia e Somalia, vittime di bande tribali o islamiste. L’Eritrea è sotto il tallone di Isaias Afewerki, storico capo del movimento indipendentista eritreo, presidente dal 1993 (anno dell’indipendenza dall’Etiopia), che ha imposto un regime mono-partitico, eliminato i media indipendenti e schiacciato l’opposizione. Il popolo vive in un regime di terrore e di progressivo impoverimento, fino a denutrizione e fame diffuse, in un paese con 5 milioni di abitanti e 121.000 kmq (più di un terzo dell’Italia), che aveva una fiorente produzione agricola.
Ho intervistato un profugo eritreo di 67 anni giunto in Italia all’inizio del 2013. Parla abbastanza bene l’italiano (aveva studiato nella scuola italiana di Asmara). È pienamente d’accordo con il “Coordinamento Eritrea Democratica” che nell’ottobre scorso ha promosso una manifestazione a Roma per protestare contro il governo eritreo, che è la causa prima delle migliaia di eritrei che tentano tutte le vie pur di fuggire dal loro paese. Gli chiedo com’è la situazione in cui si trova il popolo eritreo. Ecco la sua risposta:
«Abbiamo combattuto contro gli etiopi per avere la democrazia, la libertà, lo sviluppo e ci ritroviamo con un dittatore che peggio di così non credo sia possibile. Il presidente Afewerki ha studiato in Cina ai tempi di Mao Tse-tung ed è tornato in Eritrea per combattere la guerra di liberazione dall’Etiopia. Aveva una formazione e idee comuniste ed ha combattuto con l’aiuto di Russia e Cina; poi, acquistata l’indipendenza nel 1993, ha continuato con quei legami, consiglieri e aiuti, realizzando in Eritrea un regime maoista o staliniano che sta soffocando il popolo. Il paese è governato da un uomo solo. Anche i suoi collaboratori, se solo sospetta che tramano contro di lui, li fa gettare nelle terribili prigioni dei detenuti politici, dove marciscono migliaia di veri o presunti oppositori, che sono l’élite del paese.
Dopo la guerra con l’Etiopia per i confini nel 1998-2000, quasi tutti i ministri del suo governo si sono uniti e hanno protestato col Presidente perché non si doveva fare la guerra (che ha distrutto le poche industrie che esistevano) e perché era necessario andare verso la libertà di espressione. Il presidente li ha fatti arrestare tutti, mi pare 12 su 15, e gettare in carcere e oggi, con il sistema durissimo di quelle prigioni (dicono sotto terra), almeno la metà sono già morti. Sono migliaia i prigionieri politici, l’Onu li quantifica (giugno 2012) tra i 5.000 e i 10.000, ma io penso molti di più.
«Dopo la guerra con l’Etiopia, Afewerki ha militarizzato il paese rendendolo una vera prigione per tutti. Non ci sono più giornali né radio libere, chi parla male del governo è arrestato, chi sente radio o TV straniere lo stesso. Nelle famiglia c’è lo spionaggio di quel che si dice, di quel che si fa, di chi si incontra. Tutti si chiudono in se stessi e si cerca di sopravvivere. I giovani e le ragazze che arrivano ai 18 anni devono fare il servizio militare obbligatorio, che si sa quando comincia ma non quando finisce. Non ci sono più università, ne è rimasta una sola del governo, ma è un campus per pochi privilegiati, che fanno gli esercizi militari e studiano. Nessuno può emigrare prima dei 50 anni. Dopo sì, perché hanno interesse a mandare fuori gli anziani, che poi aiutano i parenti e quindi l’Eritrea.
«Con l’Etiopia non c’è guerra, ma i confini sono chiusi, nessuno passa, nessuno commercia, non si può nemmeno telefonare in Etiopia. Se un eritreo vuole telefonare ad un suo parente in Etiopia, deve telefonare in Italia e pregare qualcuno che telefoni in Etiopia per lui. All’inizio del 2013 c’è stato un tentativo di ribellione. Generali e colonnelli si sono ribellati e dai confini con l’Etiopia sono arrivati fino a Decameré e poi ad Asmara, ma sono stati fermati dai carri armati. Ne hanno ammazzati molti, altri sono fuggiti o in prigione.
Non c’è persecuzione contro i cristiani, la Chiesa copta, dopo qualche tentativo di ribellarsi, adesso è succube e manovrata dal governo che aveva tentato di fare un altro patriarca, ma poi il popolo si ribellava e hanno fatto marcia indietro. La Chiesa cattolica è l’unica che ha preso posizione con i suoi vescovi denunziando la violazione della libertà e dei diritti dell’uomo. Cinque anni fa il governo varò una legge che penalizzava fortemente le religioni, i vescovi cattolici erano gli unici che dichiaravano di non essere d’accordo e la gente diceva: “Meno male che i cattolici, piccola minoranza, hanno il coraggio di resistere alla dittatura”. Poi si unirono anche i copti e i musulmani.
«Il governo non ha nazionalizzato l’economia perché chi lavora, chi commercia, chi avvia iniziative è sempre il partito. L’Eritrea esporta un po’ di pesce e di prodotti agricoli pregiati e ha un certo numero di turisti. Ultimamente ci sono miniere d’oro, prodotto d’esportazione. La ferrovia costruita dall’Italia fra Massawa e Asmara, che passa dal mare ai 2300 metri di altezza della capitale, era una meraviglia di gallerie, ponti, viadotti. Adesso c’è qualche vecchia littorina italiana usata quasi solo per turismo. Asmara è stata definita la più bella capitale dell’Africa ed è vero. Ci sono chiese, palazzi, piazze, viali, dove si vede l’influsso degli anni Trenta dell’Italia e dell’Europa di quel tempo. Gli architetti italiani si sono sbizzarriti a costruire secondo tutti gli stili architettonici che c’erano in Europa fra le due guerre mondiali.
E poi c’è il sole, il clima meraviglioso in tutte le stagioni, le regioni dell’altopiano eritreo che contengono anche ruderi del passato cristiano di molti secoli addietro, le famose chiese costruite fra le rocce e nelle rocce. Ma oggi tutto è in mano al governo, anche commercianti e negozianti lavorano per il governo a 500 nafka al mese (cioè circa 5 Euro), perché importa solo il governo. L’Eritrea potrebbe vivere bene se fosse libera, ma com’è adesso sta morendo».