Informazione Cattolica 12 Agosto 2020
di Giuseppe Brienza
A meno di un mese dall’inizio del nuovo anno scolastico, parliamo a 360 gradi di principi, prospettive e battaglia culturale su questo delicato mondo con Suor Anna Monia Alfieri, religiosa appartenente alla congregazione delle Marcelline, rappresentante legale dei loro istituti scolastici e vivace protagonista dell’attuale dibattito sulla libertà delle famiglie, sull’educazione pubblica e sulle scuole paritarie.
Laureata in Giurisprudenza nel 2001 e in Economia nel 2007, Suor Anna Monia è referente Scuola per l’USMI, l’Unione delle superiori maggiori d’Italia e, da più di 15 anni, si sta impegnando per il diritto alla scuola di famiglie e studenti senza che debbano subire discriminazioni dal punto di vista sociale, culturale, religioso od economico.
Suor Anna Monia è attualmente considerata una delle voci più accreditate nel panorama scolastico italiano, con un’attività di elaborazione e informazione che ha intensificato in questi lunghi mesi di crisi da Covid-19 e che hanno visto, come ben sappiamo, la scuola italiana completamente chiusa.
Comincio col chiederle di spiegarci in sintesi cos’è l’USMI, l’Unione delle superiori maggiori d’Italia, com’è nata e perché e quali le principali istanze che sta cercando di portare all’attenzione della politica e del Governo in quest’ultimo periodo…
Dall’attuale Statuto si legge che “L’Unione esprime e sviluppa la comunione che unisce gli Istituti religiosi femminili operanti in Italia, tra loro e con le diverse componenti della realtà ecclesiale, in vista di una risposta più piena alla vocazione e alla missione di ciascuno” (art. 1). Perciò l’USMI intende porsi come sereno e fraterno punto di riferimento per le oltre 600 Congregazioni femminili presenti in Italia che, a loro volta, sono suddivise in oltre 10.000 comunità. E diventa un camminare insieme nella complementarità, nella condivisione di scienza e di esperienza, nella collaborazione costruttiva, nella condivisione di problematiche e nella proposta di soluzioni.
L’attuale Presidente dell’U.S.M.I. è Madre Yvonne Reungoat, Superiora Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Essendo referente Scuola per l’USMI, posso testimoniare che l’Unione sta attualmente dando una grande mano alla difesa del diritto/dovere delle famiglie all’educazione dei propri figli.
Ora una domanda di carattere generale, come capita di consueto sulla nostra testata che, oltre all’obiettivo di informare, ambisce anche a quello di formare traendo soprattutto dal Catechismo della Chiesa Cattolica e dal Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Quindi le chiederei, ci potrebbe illustrare in breve quali sono i principi che la Dottrina sociale della Chiesa propone in materia di educazione e libertà scolastica?
Possiamo sintetizzare l’insegnamento della Chiesa sull’educazione, in prima generale approssimazione, ricorrendo ai due seguenti principi ribaditi appunto dall’ultimo Concilio:
- la famiglia è la prima scuola di vita cristiana e “una scuola di umanità più ricca” (Costituzione Pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, Gaudium et spes, 7 dicembre 1965, n. 52);
- i genitori sono i primi e principali educatori dei loro figli (Dichiarazione sull’educazione cristiana, Gravissimum educationis, 28 ottobre 1965, n. 3).
Il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 trae questa conseguenza dai due fondamentali principi della Dottrina sociale prima detti (ovvero famiglia “prima scuola” umana e cristiana e genitori principali educatori dei figli): «i genitori hanno il diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie convinzioni» (n. 2229). Sembra ovvio ma, anche in Italia, questo diritto-dovere dei padri e delle madri è contraddetto in radice dall’ingiustizia che li vede pagare, a differenza degli altri cittadini con figli, le tasse scolastiche due volte.
Anche nel Compendio di Dottrina sociale della Chiesa (2004) troviamo espressi i due principi di fondo in materia educativa e viene sottolineata la necessità della collaborazione delle diverse agenzie educative. Esigenza sacrosanta perché, oggi più che mai, la famiglia isolata non può minimamente pensare di farcela a educare i propri figli e avviarli ad una scuola veramente umana e cristiana.
Leggiamo quindi nel Compendio: «I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l’opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali» (n. 240).
Questo vuol dire che ai genitori, secondo la DSC, non va precluso il diritto-dovere di auto-organizzarsi, ricorrendo persino all’istruzione domiciliare, chiamata in inglese home-schooling, altrimenti detta “scuola parentale”, che è svolta esclusivamente fra le pareti di casa o comunque in un “contesto domiciliare”. Si tratta, in taluni casi, di una soluzione “estrema” ma, in fin dei conti, diventata non troppo inconsueta anche da noi.
Quindi secondo lei anche la promozione della scuola parentale (home-schooling) sarebbe da far rientrare nell’orbita della Dottrina sociale della Chiesa?
Il Compendio della DSC non cita espressamente l’home-schooling ma il principio che ne è alla base, e che è anche salutarmente contrario ad ogni impostazione statalista in ambito scolastico. Leggiamo: «I genitori hanno il diritto di fondare e sostenere istituzioni educative. Le autorità pubbliche devono far sì che “i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell’esercitare questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti. Non si devono costringere i genitori a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscano o limitino ingiustamente l’esercizio di questa libertà”» (n. 241).
È da considerarsi quindi una «ingiustizia», come la definisce il Compendio, il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società civile (questo impone l’attuale monopolio scolastico dello Stato in materia scolastica), oppure gli intralci o le penalizzazioni all’home-schooling quando soggetto alle regole di base dettate dall’ordinamento costituzionale.
Lo Stato, le Regioni, l’Unione europea o le altre istituzioni pubbliche, insomma, non potrebbero limitarsi, senza commettere una violazione di un diritto fondamentale, a “tollerare” esclusivamente le scuole cosiddette private oppure quelle parentali violandole o anemizzandole in questo modo progressivamente ma inesorabilmente.
Poi il Compendio DSC inserisce giustamente il tema dell’educazione e della scuola nell’ambito dei diritti-doveri di partecipazione civica non solo dei genitori o delle famiglie, ma anche di tutti i cristiani. L’impegno sociale e politico del fedele laico in ambito culturale, infatti, assume oggi come prima direzione precisa quella «di garantire a ciascuno il diritto di tutti a una cultura umana e civile» (n. 557).
Anche chi non ha figli o non li ha in età scolastica, quindi, in obbedienza del comandamento dell’amore verso il prossimo, dovrebbe collaborare al diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera, come afferma il Compendio, da «ogni forma di monopolio e di controllo ideologico». L’impegno per l’educazione e la formazione della persona, insegna infatti la DSC «costituisce da sempre la prima sollecitudine dell’azione sociale dei cristiani» (Compendio, n. 557).
Sempre ricorrendo ad un passaggio importante del Compendio della DSC, introdurrei il punto cardine del rapporto scuola/famiglia, poiché la missione educativa esercitata dai genitori, leggiamo nel Compendio, «contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno» (n. 238). Cosa può dirci in proposito, attingendo sia al “caso italiano” sia alla sua esperienza “sul campo” in qualità di insegnante e responsabile scolastica?
In Italia la famiglia è impedita nell’esercizio della propria libertà di scelta educativa per ragioni puramente economiche. Per quanto riguarda invece la mia esperienza “sul campo” in quanto responsabile scolastica, le dico che troppo spesso ci perdiamo nella dicotomia pubblico/privato senza renderci conto che, in molti casi, si tratta solo di due elementi cardine di un unico sistema che mira a soddisfare bisogni e necessità di primaria importanza.
Difficilmente il sistema dell’istruzione potrà assolvere ai propri compiti, di fondamentale importanza per lo sviluppo del Paese, senza che i soggetti c.d. privati siano messi in condizione di superare questa crisi e continuare nel loro faticoso, incessante ma necessario lavoro. Da quanto detto, quindi, emerge la perfetta conferma di quanto si afferma nel punto da lei citato del Compendio della DSC.
Il diritto che si dovrebbe riconoscere a tutti di essere formati e di vivere in una cultura umana e civile implica secondo il Compendio della DSC«il diritto delle famiglie e delle persone ad una scuola libera e aperta» (n. 557). Quali sono i principali ostacoli a questo diritto nell’Italia di oggi?
Purtroppo la scuola italiana non è affatto né libera né aperta a tutti. Schiava è la Scuola Statale che paga la libertà con il controvalore dell’autonomia: i dirigenti scolastici non hanno alcuna autonomia per gestire la scuola … sono inchiodati alla burocrazia, zero autonomia, zero risorse; ricevono i docenti che a caso sono loro assegnati, non quelli richiesti; pertanto è facile scaricare su di loro e sui docenti i limiti gravissimi di un sistema, comunque fuori controllo dal punto di vista gestionale.
Schiava è anche la Scuola Paritaria, che paga la concessione dell’autonomia con il controvalore della libertà: autonomi sono i dirigenti di fare una buona scuola, ma non sono liberi i genitori di sceglierla se non si paga, con la doppia imposizione (ovvero il costo della scuola statale con le tasse e quello della scuola paritaria con le rette), il “pizzo” della libertà.È questa doppia schiavitù che rende il sistema scolastico italiano di scarsa qualità perché iniquo.
Le chiedo ora a proposito di una notizia d’attualità. Negli scorsi giorni, infatti, circa 700 presidenti di Consigli di istituto scolastici di tutta Italia hanno scritto una lettera al Capo dello Stato Sergio Mattarella rappresentando il pericolo, alla luce dell’attuale gestione politica della crisi sanitaria, di «uno sconcertante declassamento del modello didattico e l’inaccettabile riduzione del tempo dedicato alla didattica curricolare frontale». Cosa pensa al riguardo e quali sono secondo lei le priorità ed i maggiori pericoli per la scuola italiana ad un mese dalla sua riapertura?
Penso che ogni appello sul diritto all’educazione in Italia, tanto più in questo delicato e difficile periodo, appare sacrosanto. Come USMI, CISM-Conferenza Italiana Superiori Maggiori assieme a tante altre realtà associative, da Family Day-Difendiamo I Nostri Figli all’Aippc-Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici, dal gruppo delle 50 associazioni che compongono Polis Pro persona alle Associazioni Non si tocca la famiglia e Pro Vita & Famiglia, negli scorsi giorni abbiamo rivolto un nuovo Appello pubblico, in questo caso diretto ai Parlamentari italiani, sul diritto all’educazione nell’imminenza dell’inizio del nuovo anno scolastico.
Già nello scorso giugno avevamo pubblicamente chiesto a tutte le forze parlamentari di destinare una parte adeguata delle risorse previste per la emergenza economica alle scuole pubbliche paritarie, un terzo delle quali era destinato a non riaprire.
Una iniziativa che ha consentito una feconda trasversalità politica che ha visto il Parlamento raddoppiare il fondo a tali scuole pubbliche, passando da 150 a 300 milioni di euro. Incoraggiati da questo felice precedente di dialogo per il bene comune, ci siamo quindi rivolti nuovamente a tutti i parlamentari senza alcun pregiudizio di schieramento, affinché sia davvero consentito a tutti gli 8 milioni di studenti italiani di rientrare in classe alle stesse condizioni, perché il diritto all’istruzione e all’educazione o è garantito a tutti o non è più un “diritto”, in spregio del volere costituzionale. Questo diritto-dovere degli studenti delle paritarie, a mio avviso, costituisce una delle priorità dell’attuale situazione.
Il mese di agosto è generalmente un mese tranquillo in cui si cerca di riposare ed interrompere le normali attività dell’anno. C’è stato invece negli scorsi giorni chi ha approfittato di questo periodo per far cercare di far passare leggi che, se entrassero in vigore, sconvolgerebbero la convivenza civile e la stessa natura della famiglia. Dal punto di vista della scuola e della libertà d’insegnamento, cosa succederebbe se il Parlamento italiano votasse a settembre il pdl Zan-Scalfarotto contro l’omotransfobia?
Succederebbe che avremmo nell’ordinamento italiano una legge presentata per contrastare la violenza contro una “categoria”di persone che si intendono proteggere ma che diviene una legge illiberale e anticostituzionale.
La proposta di legge contro discriminazioni e violenze per orientamento sessuale, genere e identità di genere, che prende il nome dal suo relatore, il deputato del Partito democratico Alessandro Zan, nata per proteggere in teoria una categoria che a mio avviso risulta ghettizzata, come hanno ampiamente dimostrato diversi giuristi, presenta ampi profili d’incostituzionalità assieme al reale rischio di essere illiberale e lesiva della libertà di parola e di pensiero. Quindi non è indirizzata a fare da deterrente contro la violenza, se fosse così sarebbe stato sufficiente completare la legge Mancino.
Ai sensi della pdl Zan potrà essere perseguito per reato e punito chi affermerà che nasciamo da un uomo e una donna. Insomma una élite di persone teoricamente discriminate avrà la meglio per far tacere tutti gli altri. A questo punto in perfetta consonanza con un governo che alimenta la guerra fra poveri.
Sta a cuore tutelare gli omosessuali dalla discriminazione, ma l’unica antropologia da introdurre nelle scuole è quella che rientra nella responsabilità educativa e quindi nelle linee educative della famiglia.
Le Scuole paritarie, per la prima volta nella storia, hanno indetto uno sciopero nazionale il 19 e 20 maggio scorso. Quali sono state le motivazioni e gli effetti e, come mai, il ricorso a questo inedito gesto simbolico?
La maratona dei due giorni di sciopero ha inteso creare un “rumore costruttivo” da parte delle scuole e delle famiglie delle Paritarie. Lo slogan utilizzato mi sembra che possa sintetizzare efficacemente le motivazioni dell’iniziativa: #noisiamoinvisibiliperquestogoverno.
Le dirette sui social dei dibattiti, incontri e confronti sulla situazione attuale delle scuole e della libertà scolastica, rimbalzate sui siti e sui profili degli istituti e delle associazioni, sono state innumerevoli. Ecco, tra gli altri obiettivi raggiunti, quello di aver dato volto agli invisibili del mondo delle famiglie della scuola paritaria, un “popolo” che conta centinaia di migliaia di persone, mi sembra significativo. Mi chiede perché questo “gesto simbolico”?
Ma perché a 20 anni dalla legge sulla parità e in questo scenario di crisi Covid ci aspettiamo finalmente un cambiamento epocale: o le famiglie la spuntano adesso, o mai più. È questo è il tempo favorevole, nel quale pretendere un approccio alla politica che la porti a ritornare ad essere, come insegna la DSC, la più alta forma della carità.
Ci tengo anche a dire, a fronte di alcune osservazioni critiche che abbiamo ricevuto per questa inedita iniziativa, che le nostre scuole non hanno interrotto tout court le lezioni, lasciando ulteriormente sole le famiglie confinate in casa con i loro figli. Per i due giorni di “sciopero”, i nostri allievi, docenti e famiglie sono stati impegnati in multiformi attività, oltre ad esporre e commentare lo slogan che abbiamo lanciato: “Noi siamo invisibili per questo governo”.
Molti considerano la Didattica a distanza una modalità da introdurre, anche in regime ordinario, nella scuola italiana. Lei cosa ne pensa? E oltretutto, ha funzionato durante questa crisi?
Sul funzionamento della DAD bastino solo due dati: 1.600 mila gli alunni non raggiunti dalla DAD, 300 mila disabili in una situazione di isolamento durante la crisi Covid. Pensando però al futuro, dico che l’Italia non può continuare ad essere ostaggio di un atteggiamento politico sempre più irresponsabile e inconsistente. Se lo farà è facile la profezia sul futuro della scuola italiana: il diritto all’istruzione non riparte, a un mese dalla riapertura della scuola è evidente che, se questa riparte, sarà a doppia velocità, per alcuni allievi sì e per altri no, in alcune regioni sì ed in altre no.
In questi ultimi giorni si è parlato di una spesa di 300 euro per ogni banco con le rotelle, da collocare in una delle scuole italiane che, come sanno tutti gli operatori e genitori, sono tra le più vecchie d’Europa sia in termini di anno di costruzione sia di edilizia scolastica. Alcuni pensano che utilizzare la spesa pubblica per i banchi e non per sistemare gli Istituti rivela la mancanza di prospettiva degli attuali governanti, lei cosa ne pensa?
Anzitutto penso che spendere a pioggia per la didattica online sia un errore. Poi quello che lei dice è vero, pensi che sul totale di quasi 40.000 edifici scolastici, risulta che più di due su tre sono stati costruiti prima del 1980: ne consegue che la maggior parte del patrimonio edilizio ha oltre 40 anni di vita!Ecco dunque che, in una situazione di emergenza, si evidenziano le voragini del sistema scolastico italiano.
Ci illustra le iniziative legislative e parlamentari in atto e lo sforzo che, oltre ogni schieramento, si sta cercando di porre in essere in favore della libertà e del pluralismo scolastico?
Il Covid, paradossalmente, rappresenta per l’Italia una preziosa opportunità per liberare anche in Italia la scuola e far ripartire il diritto all’istruzione per tutti senza discriminazioni economiche. Se a settembre la Scuola (forse) ripartirà, certamente non il diritto all’Istruzione per tutti i cittadini italiani.Ecco per l’ennesima volta le due principali soluzioni che noi delle paritarie stiamo proponendo e cercando di portare avanti da anni:
- acquisiti i dati del fabbisogno di aule, arredi e docenti delle 40 mila sedi scolastiche, occorre stipulare patti educativi con le scuole paritarie.I Patti educativi si potranno tradurre concretamente nelle seguenti opzioni: a) si sposti una classe (allievi e docenti) dalla statale alla paritaria vicine. La curia di Milano ha offerto gratuitamente gli ambienti alle scuole paritarie e statali; oppure b) si destini a quel 15% di allievi delle statali che non potranno più frequentarle una quota capitaria che abbia come tetto massimo il costo medio studente o il costo standard di sostenibilità per allievo;
- nel breve periodo si dovrebbe procedere con la stabilizzazione dei docenti precari che sono in classe da più di 5 anni senza la costosa e inutile procedura del “concorsone”. Questo permetterà di ripartire celermente a settembre. In due anni si completi l’operazione introducendo i costi standard di sostenibilità per allievo.
Se attuate coerentemente, queste due misure avranno come risultato che la scuola statale sarà più autonoma e la scuola paritaria diventerà davvero libera. In Italia ci sarà davvero il sistema scolastico integrato, che sarà di qualità perché non solo è più equo, ma anche trasparente.
I cittadini saranno più liberi e, probabilmente, più grati e fiduciosi nelle Istituzioni. 8 milioni di studenti saranno in classe e si ritornerà ad investire nella scuola e nella formazione, con un livello culturale più alto tutti saranno maggiormente liberi dall’ideologia e dall’ignoranza che fa più prigionieri degli invasori e dei barbari.