Informazione cattolica 10 Giugno 2020
Giovanni Bonini (Medico pediatra)
Sono passati 8 anni da quando ho iniziato ad occuparmi dell’argomento “genitorialità” same sex con tutto quello che comporta (adozioni, riconoscimento giuridico, gravidanza per altri).
Ricordo di aver sollevato la questione in un forum di discussione per pediatri, per aver letto che in un paese estero, ad un bambino nato in una coppia padre-madre, dopo la separazione dal padre, era stata assegnata una seconda madre, compagna lesbica della madre biologica.
La notizia mi fece fare un balzo sulla sedia e mi immedesimai prima nel bimbo, che si ritrovava così ad avere due mamme ed un papà, poi con il padre, che si vedeva imposta una seconda madre per il figlio, con la quale avrebbe dovuto relazionarsi per eventuali scelte, decisioni.
Com’è possibile che un figlio si trovi imposto un altro genitore, quando i suoi genitori li aveva già, e che tutto questo non possa avere delle ripercussioni sul suo benessere psicoaffettivo. Gli interventi furono i più disparati, tipo «ma è successo all’estero figurati se succede in un paese bigotto come il nostro», «hai ragione», oppure alla fatidica frase:«vergognati sei un omofobo».
Rimasi senza parole, “«vergognati sei un omofobo»? Ma perché ipotizzare risvolti problematici sulla crescita psicologica di un bambino obbligato a vivere con due madri lesbiche poteva essere considerato “omofobia”?
La mia non era domanda legata alla morale, ma di tipo scientifico, mi interessava il benessere di quel bambino, come da pediatra mi è sempre interessato. Il principio di precauzione di “Primum non nocere” (“per prima cosa, non nuocere”).
“Omofobia”: era la prima volta che mi imbattevo in questa strana parola. Leggendo qua là trovavo sempre più notizie al riguardo, mi si era aperto un mondo. Psicologi e psicoterapeuti che avevano osato difendere la genitorialità mamma-papà come quella ideale (ma non si nasce da una mamma e da un papà mi chiedevo?), denunciati all’ordine degli psicologi o addirittura radiati, medici portati al ludico ludibrio sulla stampa, o offesi pubblicamente in televisione sempre per lo stesso motivo, e poi imprenditori (Barilla, Dolce e Gabbana) costretti a ritrattare sul loro pensiero di famiglia.
La parola OMOFOBIA appariva dappertutto, con notizie di aggressioni e smentite, perché molto spesso risultate fake news. In una Italia che l’osservatorio anti omofobia poneva ai vertici mondiali di un comportamento virtuoso e non violento, sembrava che la vera emergenza nazionale fosse l’odio verso persone con orientamento sessuale diverso.
Anche alla mia richiesta rivolta alle comunità scientifiche di prendere una posizione autorevole nei confronti della genitorialità same sex, alla luce che anche la letteratura esistente era scientificamente poco attendibile nei metodi e nei risultati, la risposta era molto spesso sfuggente: l’argomento era così politicamente scorretto che nessuno se la sentiva di affrontarlo, sia in dichiarazioni che in studi.
Così in buona parte dell’opinione pubblica è dilagata l’idea che le cose importanti per crescere un bambino siano l’amore (love is love) e l’accudimento (cosa che sa mettere in atto anche un nonno, una baby-sitter, una maestra di nido), e non il ruolo che svolgono padre e madre, diversi nelle loro specificità, ma assolutamente complementari.
Infatti la storia del proprio genere è scritta nel patrimonio genetico, biologico, antropologico, affettivo e simbolico di ognuno di noi (maschile e femminile), e che un bambino in crescita, per definire sé stesso, necessita del confronto con entrambe i sessi dei genitori, maschile e femminile.
La questione sembrava allora risolta, la legge sulla omofobia, accantonata, quando ecco che ora, in piena emergenza pandemia, approfittando di una crisi sanitaria ed economica mondiale senza precedenti, i fautori della “emergenza omofobia” tornano all’assalto, più agguerriti di prima, e con un ddl (Scalfarotto-Zan) ancora più coercitivo.
È bene essere consapevoli che l’approvazione di questa legge, e la conseguente impossibilità ad esprimere pareri contrari, anche nella ricerca scientifica, faranno cadere gli ultimi baluardi difensivi contro la c.d. Gravidanza per Altri (GPA), uso della triptorelina per bloccare lo sviluppo dei preadolescenti con disforia di genere e adozioni da parte di coppie same sex.
Così, con buona pace di tutti, trasformeremo il bambino da soggetto con dei diritti,in oggetto dei (presunti) diritti degli adulti. Dovremmo fare tutto il possibile per evitarlo.