Massimo Caprara, l’ex segretario di Togliatti, il fondatore de Il Manifesto, è morto ieri all’età di 87 anni lasciando un’enorme testimonianza storica e un’eredità culturale che ancora dev’essere pienamente compresa.
“La Verità è una cosa povera, umile, il Vangelo è stato scritto con pochissime parole, ma dal grande significato, è la storia dell’uomo e dell’umanità intera: “perché mi hai abbandonato?”. È Dio che vive la povertà dell’uomo: la mia povertà è la verità, la mia verità è povera, non posso raccontare null’altro che questo. E tutto quello che ti accade nella vita, il lavoro, gli amori, diventa secondario rispetto all’avvenimento che ti è capitato, necessario ma secondario. Adesso mi sento di essere veramente rivoluzionario, adesso che non sono più comunista sono veramente rivoluzionario”.
Eugenio Corti, come commenta questa frase di Massimo Caprara?
Dà l’idea dell’uomo che era. C’è in questa frase tutta la persona di Caprara, trascinato nel comunismo dall’amore per i poveri e per gli esseri umani si è reso conto che la loro salvezza non è quella prevista da Karl Marx, ma quella segnata da Gesù Cristo. Ha scoperto questa cosa semplice e al contempo profondissima trovando in lui stesso la povertà. Ossia non considerandosi come il ricco distributore di una dottrina da impartire ai poveri, ma come egli stesso povero e quindi partecipe realmente dei bisogni umani. Questa è la vera rivoluzione.
Che uomo era a livello personale Massimo Caprara?
L’ho incontrato più volte nel corso della mia vita, ho avuto questo grande onore. Ebbi modo di ammirare in lui soprattutto la dirittura morale, oltre a un’innata gentilezza. Era un uomo passato attraverso un’immane tragedia nell’ordine dello spirito e della cultura. Caprara aveva fermamente creduto in un ideale che gli si era rivelato addirittura mortifero. Non solo negativo, non solo sbagliato, ma produttore di morte. Una scoperta che lo segnò nel profondo, ma che non lo spense.
Nel corso dei rimanenti anni della sua esistenza ha sempre cercato di spendere la propria intelligenza e il proprio tempo in un’opera di recupero umano. La sua partecipazione ad azioni che poi dovette giudicare come negative non fu per lui causa di un ritiro dal mondo da trascorrere fra i rimorsi e l’inazione, bensì rappresentò una spinta inesorabile e controcorrente alla riparazione del male compiuto. E questo soprattutto in ambito culturale. Non è da tutti riuscire a rinnegare un’intera vita spesa per un ideale e ancor di più impiegare le proprie restanti energie per fare marcia indietro.
Qual è stato il fattore decisivo del suo cambio di orientamento politico e ideale?
La mia impressione è che Massimo Caprara sia stato al centro di una progressiva scoperta della Verità. A partire da un’intuizione sulle contraddizioni intrinseche alla storia del suo partito, dovuta forse all’estrema coerenza morale che l’ha sempre caratterizzato, un po’ alla volta è emersa in lui, sempre più chiaramente, la coscienza dell’errore di fondo dell’ideologia nella quale si rispecchiava. E sempre più cominciò a mettersi al servizio della Verità. La sua apertura e il suo cammino al servizio della verità lo hanno portato alla conversione al Cattolicesimo. Gli effetti di questo rinnovato rapporto con la religione furono altrettanto radicali nei giudizi espressi sul PCI.
A questo proposito. Caprara ha spesso denunciato il tentativo del PCI di appropriarsi ambiguamente di alcuni riferimenti culturali cattolici anche mediante particolari “amicizie” in ambito ecclesiastico. È d’accordo con questo tipo di osservazione?
Sono perfettamente d’accordo. Caprara ha disposto per gran parte della sua vita di un osservatorio straordinario, quello conferitogli dal ruolo di segretario di Togliatti. Aveva quindi sott’occhio il “capo” e tutto il mondo che lo circondava, giorno per giorno. Fu testimone delle azioni di Togliatti e della sua incredibile spregiudicatezza, anche nei riguardi del Cattolicesimo.
Ed in effetti Caprara, anche da militante, ha sempre malvisto l’ambiguo rapporto fra il PCI e i cattocomunisti alla Franco Rodano. Non tollerava il connubio di “diavolo e acqua santa”, sebbene lo stesso Togliatti fosse anch’egli dell’idea di tener ben separate le “fazioni”. Il giudizio negativo sull’ambiguità nei confronti della Chiesa non si limitava dunque al solo capo, ma a tutta la schiera dei luogotenenti che lo attorniavano, assai più desiderosi di accaparrare sostenitori fra i cattocomunismi, di fare “tutt’uno” con loro.
Fu dunque un’accusa che non risparmiò nessuno.
Fu un’accusa ferma verso l’ideologia e le persone che la incarnavano in Italia e all’estero. Va detta però una cosa molto importante: nel rinnegare il proprio passato non fu mai una sola volta aggressivo o astioso contro alcuno. Individuò con grande chiarezza l’errore di fondo che risiedeva nel Partito Comunista e nella sua intellighenzia, ma non rinnegò mai nessuna amicizia.
Questo è un concetto difficile da esprimere in occasione di un ricordo, perché di un morto solitamente non si può parlare che bene. È però oggettivo riconoscere la grande nobiltà d’animo con la quale Caprara trattò le persone con cui era stato in stretti rapporti per lunghissimi anni. Una nobiltà che non fa di lui né un crociato né un fanatico, ma solo un uomo al servizio della verità.
Oltre ai membri del PCI denunciò atteggiamenti scorretti anche da parte dei rappresentanti del mondo cattolico di sinistra?
Altroché. C’è stato tutto un circondare Togliatti da parte di servili personaggi della cultura cattolica. Fra i “migliori” si può pensare a De Luca per esempio o allo stesso Rodano. Ma ricordo, e parlo a titolo personale, personaggi che non voglio citare che si sono letteralmente sbracati nel seguire Togliatti, sostituendolo praticamente alla figura del Papa. Persone che si comportarono davvero con grande ignobiltà e il cui atteggiamento Caprara condannò al pari, se non peggio, di quello dei suoi compagni.
Come commenta l’isolamento che Massimo Caprara subì da parte del partito comunista una volta venuto alla luce il suo “cambio di rotta”?
Era inevitabile che venisse isolato. Ma devo dire che nel suo caso non è stato attaccato con violenza e virulenza. Certamente è stato “dimenticato”, “vaporizzato”, ma non si è voluto infierire contro di lui. Probabilmente temevano, attaccandolo con più forza, che egli affondasse ancor di più la lama nell’esame dei loro comportamenti sbagliati. Una paura meschina, se si giudica quanto ho detto di questo personaggio. Si sono limitati a considerarlo un uomo perduto, un individuo negativo, ma non c’è stata l’aggressione che avrebbe potuto esserci: hanno avuto paura del vecchio maestro e della sua miniera di ricordi.
(A.C. Valdera)