Il giornalista che pubblicò le vignette su Maometto fugge da Copenaghen ed emigra negli Stati Uniti. Intanto la capitale danese ospita un convegno sull’“islamofobia” con i partecipanti in due sale diverse e divisi per sesso
E’ la volta del premier Jan Peter Balkenende, che in occasione del ramadan invia ai musulmani d’Olanda l’immagine di una donna in burqa augurando a tutti “felice Ramadan” e lodando gli “effetti catartici” del digiuno islamico (durante il quale Mohammed B. ha tagliato la gola a Theo). La Verdonk, detta anche “Iron Rita”, fa sapere che i musulmani che hanno inneggiato all’omicidio del regista stavano “solo cercando un’identità”. A suggellare la capitolazione, l’iniziativa “We Amsterdammers”, con cui Iron Rita ha patrocinato libri e video dell’islam “moderato”. Quello dell’imam che non le ha stretto la mano perché donna.
A Copenaghen identiche prove generali di “dhimmitudine” e cattiva coscienza, mentre a New York il grande Art Spiegelman ripubblicava le vignette su Maometto, e l’Onu celebrava il World Press Freedom Day 2006. Il Wall Street Journal ha dato la notizia che Flemming Rose, responsabile cultura del quotidiano danese Jyllands-Posten, secolarista in stile Hirsi Ali al centro della bufera delle vignette, sta per lasciare Copenaghen per gli Stati Uniti, come ha già fatto la deputata e Cassandra somala, accolta ieri con un “benvenuto” del Dipartimento di stato. Rose era l’“agente provocatore”, come è stato chiamato da parte della stampa danese ed europea, che aveva preso la decisione di pubblicare le vignette su Maometto.
Dodici disegnatori del Jyllands sono già sotto scorta, protetti dalle minacce islamiste che arrivano soprattutto dal Pakistan, dove Hamid Mir, direttore del quotidiano Ausif, ha appena scritto che in Europa è già pronto un commando per eseguire le sentenze, “come con Van Gogh”. “Non vedete cosa è successo a Rushdie per aver scritto un libro anti-islamico?”, ha detto Rose. “La risposta all’islamismo è la chiave della guerra culturale in Europa. Lo sarà per i prossimi decenni”. Uno studente pachistano ha già tentato di uccidere il direttore di Die Welt, che pubblicò le vignette.
Il segnale che arriva da Copenaghen non è proprio di rifiuto dell’intimidazione. Cinque giorni fa si è svolta una surreale conferenza sull’“islamofobia”, nella cornice del Bella Center di Copenaghen, ideale per ospitare una placida resa senza condizioni. Mohamed Ali, direttore di Islam Channel, canale televisivo che ogni giorno diffonde hadith coranici e organizzatore della conferenza, ha detto che “dobbiamo avere il coraggio di parlare dei pregiudizi sull’islam”.
Decine i politici e giornalisti, mille partecipanti, invito alla regina, presenza del sindaco di Copenaghen Anders Gadegaard, dell’ex premier australiano Bob Hawke e del principe Alfred. E poi sceicchi, imam danesi e convertiti alla parola del Profeta. Molti i siriani, ma non il regista Ossama Mohammed, l’antibaathista celebrato questa settimana dal New Yorker. Hawke ha detto soave che “i musulmani sono pacifici e vogliono dialogare con gli altri”. Non poteva mancare il sindaco antisionista di Londra, Ken Livingstone.
La dirigenza danese ha celebrato coloro che hanno causato il crollo dell’85 per cento delle esportazioni del paese, un prete ammazzato al grido di “Allah è grande” e ambasciate in fiamme. Donne in completo nero, immerse nel burqa, vendevano cimeli di una Danimarca sedata. Perfino stanze ad hoc per “signore” e “signori”, come vuole la sharia. La conferenza era finanziata dall’Islamic Bank of Britain. Nell’apertura è stato esaltato “il diritto di ogni individuo ad abbracciare la fede in coscienza”. Parole sagge, degne di John Locke. Peccato che fra gli astanti ci fossero solo cristiani convertiti all’islam, nemmeno un apostata o un difensore dell’addio alla Shia.
Dopo aver chiesto la revisione dei curricula scolastici, è stata denunciata “la morte di migliaia di innocenti iracheni perpetrata dal presidente Bush in nome del proprio Dio”. Tra gli speaker famosi lettori del Corano; Saleh Al-Namlah, ministro della Cultura dell’Arabia Saudita; il deputato pakistano Kamal Qureshi; Mohamed Slaheddine del Supremo consiglio islamico della Tunisia; il giornalista della Bbc Phil Rees; lo sceicco palestinese Abu Laban, capo del Danish muslim council; l’esperto saudita di Sunna, Abdulaziz Al Musleh e la giornalista inglese Yvonne Ridley, convertita alla sharia dopo essere stata ostaggio dei talebani.
A Bruxelles, nei giorni della conferenza di Copenaghen, l’Unione europea diffondeva il nuovo report sulla Danimarca, accusata di aver fomentato l’odio per la cultura islamica. Tu chiamala, se vuoi, “Eurabia.