28 maggio 2014
di Massimo Introvigne
Cominciano ad affluire numeri definitivi e le prime analisi dei flussi della tornata elettorale europea e amministrativa. Da sociologo, m’interessano più i numeri delle dichiarazioni stentoree dei politici. E alcuni numeri sono particolarmente eloquenti.
1. In Italia, le elezioni europee sono state come al solito un grande sondaggio. Lo zapping fra le televisioni italiane, inglesi, francesi e tedesche domenica sera confermava il provincialismo italico. Il Parlamento Europeo avrà ora poteri accresciuti, compreso quello di eleggere il presidente della Commissione Europea. Ma, mentre in altri Paesi si contavano i seggi europei e si discuteva sulle possibilità rispettive del popolare Juncker e del socialista Schulz – e magari di nessuno dei due – di diventare presidente, in Italia sembrava che anziché per il Parlamento Europeo si fosse votato per quello italiano. Lo scopo delle elezioni europee – determinare le maggioranze e le minoranze a Bruxelles e a Strasburgo, che influiranno (ahimé) sulle nostre leggi – sembrava totalmente dimenticato dai giornalisti, così come verosimilmente lo era stato dagli elettori.
2. Casomai a qualcuno interessasse, l’Europa va a destra. Ci sono eccezioni, fra cui l’Italia e la Grecia dove ha vinto la sinistra estrema di Alexis Tsipras. In generale i popolari mantengono la maggioranza sui socialisti: perdendo voti, è vero, che però – come i flussi indicano – non vanno a sinistra ma a destra. In due Paesi non proprio minori – oltre che in Danimarca e in Belgio – formazioni di destra (non di centro-destra) diventano il primo partito: in Francia il Front National di Marine Le Pen, in Gran Bretagna il Partito per l’Indipendenza del Regno Unito di Nigel Farage, nato come scissione sulla destra del Partito Conservatore.
Il nostro giornale, a proposito di Marine Le Pen – ma lo stesso discorso vale per Farage e per altri – ha spiegato che non è tutto oro quello che luccica (leggi qui), e che non bisogna automaticamente attendersi dalle nuove destre ora vincitrici posizioni conformi alla dottrina sociale naturale e cristiana in tema di vita e famiglia. Resta però che l’Italia è una delle eccezioni, non la regola, e che di fronte alla crisi economica, sociale e culturale gli elettori europei hanno reagito in maggioranza spostandosi più a destra.
3. La temuta vittoria dell’astensione non c’è stata. L’astensionismo elettorale resta alto in Europa, ma dalle elezioni europee del 2009 a quelle del 2014 la partecipazione nell’Unione non è scesa, anzi è lievemente salita, dal 43% al 43,1%. In Italia vi è stato un calo significativo, ma il nostro – con il 58,7% – rimane il primo grande Paese dell’Unione Europea per numero dei votanti. In assoluto, oltre che da Malta, è preceduto solo da Belgio e Lussemburgo, dove ci sono sanzioni reali e fastidiose per chi non vota. Nelle elezioni regionali piemontesi – il test amministrativo, con tutto il rispetto per l’Abruzzo e per i Comuni, numericamente più rilevante – dal 63,2% del 2010 gli elettori sono passati al 66,4% del 2014, con un aumento significativo dii oltre tre punti percentuali.
4. Come hanno sbagliato sull’astensionismo, così i sondaggisti – in Europa, e in Italia anche di più – hanno sbagliato più o meno su tutto. Parlando con qualche addetto ai lavori, ho avuto conferma del fatto che non hanno offerto ai loro committenti i dati che ricavavano dai sondaggi, ma dati «ponderati», cioè corretti sulla base dell’ipotesi che molti elettori del MoVimento 5 stelle non dichiarassero il loro voto nelle interviste.
Siccome questa volta è successo il contrario – molti di quelli che hanno anticipato ai sondaggisti un voto a Grillo hanno poi votato diversamente –, il tentativo di «ponderare» ha portato a una vera disfatta per le società di rilevazione. Ormai è evidente che, in Europa e in Italia, molti elettori considerano le interviste sul voto una violazione della loro privacy e ingannano di proposito i sondaggisti. Noi sociologi potremo forse dare qualche suggerimento per il futuro. Allo stato, si deve constatare che i sondaggi non servono più a nulla.
5. Se è difficile il lavoro dei sondaggisti, diventa invece più facile il lavoro di chi analizza i flussi. Ci sono tanti dati italiani che paragonano le europee del 2014 a quelle del 2009. Ma sono di utilità limitata, perché il 2009 – con Berlusconi al massimo del successo (era l’anno del terremoto dell’Aquila e delle promesse di ricostruzione), Bossi ancora saldamente in sella nella Lega e il PD in crisi profonda dopo le dimissioni di Veltroni e il passaggio alla grigia segreteria Franceschini – sembra appartenere a un’altra era geologica.
Sono più rilevanti i paragoni con il 2013, anche se costringono a un attento lavoro per paragonare elezioni politiche dove ha votato il 75% con elezioni europee dove ha votato il 58,7%. Se però non si fanno errori, si scoprono alcuni dati significativi. Il primo, ovvio, è che mentre spesso tutti dichiarano di avere vinto questa volta c’è un vincitore solo, il PD di Matteo Renzi.
Si può discutere di percentuali, ma alla fine basta questo dato: nonostante ci fossero meno votanti, il PD in un anno ha guadagnato due milioni e mezzo di elettori. La domanda è dove li ha presi. Le prime analisi dei flussi si orientano verso una risposta univoca: li ha presi al centro, ormai scomparso dalla scena politica italiana, e al centro-destra. L’elettore moderato italiano non è sparito.
Si è sempre detto che il suo voto è determinato dalla paura. Questa volta a fare paura erano Grillo e Casaleggio, con le loro minacce giacobine di processi popolari agli oppositori, e Renzi è stato percepito come l’unico in grado di fermare questa sorta di nuova invasione barbarica. I giornalisti di centro-destra che si rallegrano per avere fatto la loro parte nel fermare Grillo ora potrebbero chiedersi se non hanno alzato una schiacciata a Renzi.
6. Renzi peraltro, come ha scritto il maggiore studioso accademico del centro-destra italiano, Giovanni Orsina, ha vinto anche per mancanza di avversari credibili. L’elettore moderato spaventato da Grillo non aveva un leader di centro-destra da votare. Berlusconi non poteva essere candidato ed è difficile pronosticargli un futuro, anche se merita – come al solito – l’onore delle armi: in quale parte del mondo un leader che sta tecnicamente scontando, sia pure beneficiando di forme alternative, una pena detentiva per reati comuni riesce ancora a lucrare il 16,8%? Resta che, al netto dell’astensione e anche sommando a Forza Italia l’NCD (che peraltro non andrebbe sommato tutto, perché ha incorporato anche l’UDC), l’ex-PDL ha perso in un anno un quarto dei suoi elettori. Quasi due milioni di persone se ne sono andate.
7. L’NCD ha raggiunto il quorum in Europa ma lo ha mancato in Piemonte, dove pure aveva candidati di tutto rispetto eppure non sarà rappresentato al Consiglio Regionale. Al contrario, Fratelli d’Italia ha mancato il quorum in Europa, ma si consola con il Piemonte e soprattutto con il fatto che – grazie anche al simbolo di Alleanza Nazionale (i marchi contano, eccome) – in un anno ha quasi raddoppiato la sua percentuale, dall’1,9% al 3,6%. Al di là di programmi e scelte politiche non sempre chiare, gli elettori di centro-destra hanno sonoramente bocciato le divisioni.
Clamoroso il caso del Piemonte, dove il centro-destra presentava tre candidati presidente – uno di Forza Italia-Lega, uno dell’NCD e uno di Fratelli d’Italia – e dove, mentre l’NCD non è entrato in Consiglio Regionale, sembra addirittura (ma si rifaranno i conti fino all’ultimo) che sia stata eletta una candidata del Partito dei Pensionati, cioè quello che con le sue irregolarità elettorali aveva messo in difficoltà il governatore leghista Cota, per di più sorella del principale inquisito. Ma i Pensionati, a differenza dell’NCD, si erano coalizzati con Forza Italia anziché correre da soli…
8. Grillo e Casaleggio, con tutte le loro intemperanze, non sono spariti: continua a votarli più di un italiano su cinque (21,5%). Anche qui depurando il dato dall’astensione, il MoVimento 5 stelle ha però perso un elettore per ogni tre che lo avevano votato nel 2013. L’analisi dei flussi mostra che in parte si tratta di elettori del PD che sono tornati a casa, ma anche che la protesta ex-grillina è confluita in modo significativo sulla Lega Nord. Questa ha aumentato del 21% il proprio elettorato rispetto al 2013 e ha guadagnato circa trecentomila elettori: non tutti strappati a Grillo – anche qualche elettore di Berlusconi ha trovato nella Lega un’identità e un programma più chiari – ma è un fatto che la zona dove i 5 stelle hanno perso di più, il Nord Est, è quella dove la Lega ha guadagnato di più.
9. In conclusione, mentre l’Europa va a destra, l’Italia sembrerebbe andare a sinistra. Se non fosse che Renzi non è stato percepito come di sinistra da molti elettori moderati, per i quali lo spauracchio era Grillo e la paura ha fatto quaranta, cioè la percentuale straordinaria lucrata dal PD. Gli elettori di centro-destra non sono venuti meno. È anzi verosimile che aumentino nei prossimi mesi, quando sul piano economico – l’Europa, dopo la carota, ha già pronto il bastone – e dei valori – dalla legge sull’omofobia alle unioni omosessuali e forse all’eutanasia – il governo Renzi farà scelte che a questi elettori non piaceranno.
Le elezioni europee sono state un sondaggio, e in Piemonte il suicidio del centro-destra a tre candidati rendeva l’esito scontato. Alle prossime elezioni politiche, gli elettori di centro-destra ci saranno ancora. Resta da vedere se ci saranno anche candidati di centro-destra credibili. Il severo verdetto di questa tornata è riassunto nelle parole del sociologo Luca Ricolfi: «La vittoria di Renzi si spiega semplicemente con l’assenza di antagonisti credibili, come in una partita di calcio in cui la squadra avversaria non si presenta in campo».