Il Timone – n. 14 Luglio/Agosto 2001
Come rispondere a chi propone l’eutanasia? Ecco, in sintesi, le ragioni per opporsi alla “dolce morte”. Che qualcuno vuole legalizzare in Italia.
di Mario Palmaro
Legalizzare l’eutanasia. Uccidere una persona per “motivi pietosi”. Anche in Italia questa idea trova ogni giorno nuovi sostenitori, e molto presto qualcuno presenterà in Parlamento un testo di legge o promuoverà un referendum sull’argomento. Di fronte a questo dibattito, è normale porsi alcune domande “forti” se qualcuno vuole essere ucciso, perché non accontentano? che senso ha la vita terminale, o priva delle facoltà superiori? il divieto di uccidere chi soffre ha valore anche per chi non è cattolico?
Un primo problema: la definizione.
Per eutanasia s’intende l’azione od omissione compiuta da un terzo e deliberatamente intesa alla soppressione di una vita umana allo scopo di porre fine alle sofferenze. Non ha alcun senso distinguere eutanasia attiva e passiva: lasciare un paziente senza alimentazione è un’ipotesi tipica di eutanasia, non dissimile dalla somministrazione di un veleno che uccide. In entrambi i casi la volontà è quella di provocare la morte. Tutto questo può essere altrimenti espresso ricordando che l’eutanasia è una condotta che si situa innanzitutto al livello delle intenzioni e dei metodi usati.
I molti volti dell’eutanasia
Esistono svariate ipotesi di eutanasia:
1. su richiesta attuale: il paziente è vigile e chiede di essere ucciso;
2. su richiesta dìfferita: il paziente ha perso conoscenza, ma ha lasciato un documento in cui chiedeva l’eutanasia;
3. per motivi pietosi in assenza di richiesta: a prescindere dalla volontà del paziente, la collettività delibera la soppressione di certi malati;
4. per motivi eugenetici su neonati: attuata sopprimendo i bambini gravemente handicappati che altrimenti andrebbero incontro a una vita “priva di significato”;
5. per motivi “di principio”: come scelta dì libertà, come difesa della “dignità”, come ribellione alla “insignificanza del dolore”; in tutti questi casi l’eutanasia può ritenersi applicabile anche a persone malate non in fase terminale, o addirittura non malate;
6. per motivi economico-sociali: attuata su tutti i soggetti che costituiscano un peso per la collettività.
La normativa vigente
In Italia, chi pratica eutanasia commette un reato: nel caso in cui la morte sia stata causata in assenza di richiesta da parte della vittima, si applica la pena prevista per omicidio volontario: art. 575 codice penale); nel caso invece la morte sia stata richiesta dalla vittima, la pena è quella contemplata per l’omicidio del consenziente (art. 579 c.p).
L’insegnamento della Chiesa cattolica
“Qualunque ne siano i motivi e i mezzi, l’eutanasia diretta consiste nel mettere fine alla vita di persone handicappate, ammalate o prossime alla morte. Essa è moralmente inaccettabile” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2277). Sono necessarie alcune considerazioni:
1. La Chiesa ribadisce l’oggettiva gravità di questa particolare forma di omicidio, che non può essere giustificato nemmeno quando sia commesso in perfetta buona fede, pensando di tare il bene della persona sofferente.
2. Quando una procedura medica sia onerosa, pericolosa, straordinaria o sproporzionata rispetto ai risultati attesi, essa può essere sospesa legittimamente, senza che questo configuri un’ipotesi di eutanasia. In tal caso, infatti, non si vuole “procurare la morte’, ma evitare un inutile “accanimento terapeutico”.
3. In questi casi il paziente – o chi lo rappresenta legittimamente – può decidere in piena libertà. Altra cosa è la richiesta di interruzione delle cure ordinarie (= eutanasia), che non deve essere mai accolta dal medico né da chiunque altro.
4. L’uso degli analgesici (e più in generale le cosiddette cure palliative) è lecito anche quando determini, come effetto inevitabile e non come fine, l’abbreviazione dell’esistenza del paziente. Per altro, medico e familiari si sforzeranno di garantire al paziente la lucidità necessaria a vivere consapevolmente i conforti che la Chiesa offre nel cammino verso la morte.
Eutanasia e Stato laico: le ragioni della ragione
Collocato all’interno dell’orizzonte cristiano, il dibattito sull’eutanasia diventa molto più semplice: il cattolico sa che nessuna sofferenza può essere definita inutile, e che attraverso di essa ognuno può partecipare misteriosamente al sacrificio di Cristo. Ma questo discorso offre ai nuovi sofisti del XXI secolo una facile arma argomentativa: allora – essi dicono – per chi non è cattolico, la sofferenza non ha alcun senso, e dunque è giusto che uno Stato laico legalizzi l’eutanasia. Per quanto affascinante, questa tesi è irragionevole e si presta a molte obiezioni che si fondano sulla semplice ragione umana:
1. La dignità della vita in senso giuridico non è determinabile dai singoli o dalla collettività: il senso della vita è un problema filosofico e religioso che non spetta allo Stato determinare; ma il diritto non può stabilire criteri arbitrari per “misurare” le vite che valgono e quelle che si possono sacrificare; né può affidare ai singoli un potere così assoluto.
2. Trasformazione della natura dell’arte medica: nel momento in cui diventasse legge, l’eutanasia renderebbe i medici funzionari dello Stato incaricati di dare a certe condizioni la morte. Ciò trasformerebbe il rapporto fiduciario con il paziente, che ogni volta si chiederebbe: ma oggi questo medico sta lavorando per curarmi, o per accelerare la mia fine?
3. Effetto incentivante latente: anche se la legge consentisse la sola eutanasia su richiesta, essa eserciterebbe una subdola pressione psicologica su molti pazienti cronici o terminali: “Ecco, il mio vicino di letto ha scelto la dolce morte e io invece preferisco restare qui a dare disturbo alla mia famiglia e alla società: sono un egoista”. L’eutanasia legale è un elegante invito a vecchi e malati a togliere il disturbo, senza fare troppo rumore.
4. Il precedente nazista: il primo Stato ad attuare un piano articolato di eutanasia è stato la Germania nazista, che eliminò oltre 70.000 persone definite dal Führer “indegne di vivere”. Sempre, è ovvio, per “motivi pietosi”.
5. Il “piano inclinato”: si legalizza l’eutanasia “solo per i casi più drammatici”, ma poi nella prassi prende piede una pratica eutanasica diffusa e incontrollata. Una volta aperta una falla nel principio “non uccidere”, tutto diventa possibile.
6. Non è la dignità a costituire il fondamento della vita umana, ma è la vita umana a fondare la dignità: se non si capisce questo, qualsiasi contrarietà o delusione potrebbe legittimare la richiesta di essere uccisi per “non soffrire”.
7. Indisponibilità del diritto alla vita: vi sono diritti, come ad esempio la libertà, che sono considerati “indìsponibili”. Se anche volessi essere ridotto in schiavitù, lo Stato laico non me lo permetterebbe Perché?
Perché esistono azioni che all’apparenza sembrano riguardare soltanto me stesso, ma in realtà hanno una rilevanza sociale. Ecco perché, laicamente, uno stato di diritto non può ragionevolmente legalizzare l’eutanasia, in nessun caso.
Bibliografia:
– Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2276-2279, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.
– Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 66-73, Piemme, Casale Mon.to 1995.
– Congregazione per la Dottrina della Fede, Eutanasia, Edizioni Paoline, 1980.