Lo storico tedesco Götz Aly propone, in un libro uscito in Germania, di fare memoria di tutti quelli che vennero sacrificati alla folle pratica eugenetica dei medici hitleriani. La somma totale ammonta a circa 200.000 persone
da Berlino Vito Punzi
Il volume raccoglie saggi brevi pubblicati nel tempo in varie circostanze e qui riformulati e integrati. Aly iniziò infatti a dedicarsi al tema più di trent’anni fa e a condurvelo fu la figlia Karline, colpita poco dopo la nascita da streptococco.
Ne seguirono danni permanenti ed è a lei che lo storico tedesco ha voluto dedicare questo libro. Ma a Karline sono legati anche alcuni episodi bizzarri che Aly ha voluto raccontare nel libro, tanto per far capire quale fosse l’atmosfera nella Germania occidentale degli anni Ottanta.
A diagnosticare sua figlia, nata nel 1979, fu infatti il pediatra Gottfried Bonell, che ora Aly cita nella ricerca, in quanto primario della clinica universitaria pediatrica di Heidelberg negli anni dell’eutanasia dei bambini: «La visitò dimostrando una grande cordialità», ammette lo storico pensando a Karline, «e si dimostrò deciso propugnatore di un elevato contributo economico per garantire l’assistenza a chi non sia autosufficiente». Del resto Aly ricorda un paio di casi di eutanasia che riguardarono la sua famiglia e che solo di recente gli sono stati svelati.
Il primo, importante pregio di questo lavoro è evidente nel primo capitolo (“Eutanasia, l’idea di un mondo secolarizzato”), dove lo storico ricorda come il tema della morte provocata sia stato oggetto di dibattito nel contesto medico tedesco molto prima che i nazisti arrivassero al potere. «Il medico può uccidere?», si chiedevano i neurologi della Sassonia nel 1922. Poco prima era apparso infatti un manifesto opera di Alfred Hoche, psichiatra, e Karl Binding, penalista, eruditi molto stimati, dal titolo Il permesso di annientare una vita indegna: in che misura e in che forma.
E dall’analisi del dibattito degli anni Venti Aly arriva ad una conclusione che rimanda anche ai nostri tempi: «A promuovere l’eutanasia, la morte “più umana”o la soluzione “dolce” furono in nuce negli ambienti intellettuali più libertari della società weimeriana.
Al centro del libro sono le vittime, e infatti non mancano loro testimonianze e testi commoventi scritti da loro familiari. A questo proposito Aly suggerisce la creazione di un registro con tutti i nomi di coloro che persero la vita a causa del piano eugenetico nazista. Le storie sono quelle di famiglie messe sotto pressione dalla propaganda del regime, impaurite; famiglie che si vergognavano dei loro membri ammalati, fino a sperare di potersene liberare.
Ma anche famiglie fatte di persone coraggiose che non si lasciarono condurre sui quei piani criminali e che non abbandonarono i loro cari, tanto da lottare energicamente, e nella maggior parte dei casi con successo, per la loro sopravvivenza.
Quando i parenti si mantenevano in contatto con i ricoverati, argomenta Aly, le possibilità che quelli restassero in vita aumentavano. Le proteste contro l’internamento avevano spesso conseguenze positive. Troppo spesso, lamentalo storico, la famiglia si rassegnava all’interruzione del rapporto con il proprio caro, e questo significava praticamente la sua condanna a morte.