Il rispetto dell’altro è un limite anche al diritto di ridere
don Maurizio Ceriani
Un tempo la saggezza spicciola, quella del popolo, non blasonato di titoli nobiliari né accademici, ma ammantato di tanta sapienza di vita, andava insegnando la massima: “scherza coi fanti ma lascia stare i Santi!”. Era una norma di estremo buon senso, dettata non certo da timori superstiziosi, ma dall’estremo rispetto per ciò che costituisce il riferimento ultimo del cuore della gente: la coscienza religiosa.
Il sentimento religioso, infatti, dovrebbe essere un santuario inviolabile per tutti, ma ancor più per i figli di quella cultura che, da un paio di secoli, vorrebbe relegarlo nella sfera del privato e dell’intimo.
Invece sono proprio loro a strappare con violenza il sentimento religioso dalla “riserva” in cui lo vorrebbero costretto, ogniqualvolta torni utile sbeffeggiarlo e deriderlo, anche solo per i fini economici dell’audience radio-televisiva. Tutto ciò avviene in nome della cultura e dell’ultimo nato tra i diritti post-moderni: quello alla satira. Chissà poi perché la satira sia un diritto inviolabile sempre e soltanto quando prende di mira la Chiesa cattolica, le sue persone, le sue istituzioni e i suoi simboli.
Così Maurizio Crozza e Rosario Fiorello si sentono liberissimi di fare della “satira”, pesante e offensiva, sul Papa; guai a dolersene e lamentarsene: mille paladini sorgerebbero a difenderli, cosicché alla fine gli incriminati diventerebbero persino “nuovi martiri” del sempre esecrando “oscurantismo” cattolico. Addirittura, in questo nostro mondo alla rovescia, c’è chi disquisisce sul tono “minaccioso” della – vera o presunta che sia – dichiarazione del segretario papale.
Pensate che la “minaccia” sta tutta – scandalo – nel fatto che don Georg ha osato chiedere di far cessare trasmissioni simili! Basterebbero due battute per chiudere la questione e qualificare Crozza e Fiorello: se la satira ha il sacro compito di “uccidere” i tabù, che comincino con quelli ben più pesanti dell’islam o della cultura di sinistra, magari con quelli della resistenza, affiancando la loro satira agli studi di Pansa.
Non vogliamo offrire polemiche ai nostri lettori, ma riflessioni serie e quindi ritorniamo a pensare. La “satira” è un altro di quei luoghi comuni di cui tutti oggi devono parlare – comunque sempre in positivo – senza nemmeno sapere di che cosa parlano. La satira non può essere comicità da baraccone, né sforzo di ridicolizzare ogni cosa, innalzando il riso sguaiato e volgare al rango di cultura… semplicemente perché la satira è un’altra cosa! Essa ha una sua dignità che risiede nella sua stessa natura, ignorata proprio da coloro che oggi ne vorrebbero essere i profeti indiscussi. Costituisce senza dubbio la forma più antica con cui si manifesta il pensiero critico, ogniqualvolta il potere dominante assume manifestazioni esagerate, che occorre demitizzare e depotenziare a favore dell’uomo reale.
Le radici della satira affondano nella tragedia greca e sono intrecciate con la figura mitologica del dio Dioniso, custode della piacevolezza della vita concreta contro le derive ideologistiche; quindi porta naturalmente con sé una carica di attenzione e di riverenza verso le persone e i loro valori, che si manifesta nel sorriso, nel fine e intelligente umorismo, nella capacità di ridere di se stessi, certamente non nel dileggio dell’altro, nello sbeffeggio, nell’allusione volgare. Il satirico è un filosofo che aiuta a riflettere, che parla all’intelligenza, non un buffone che attira l’attenzione con voci finte e capitomboli irreali.
Coloro che sostengono che la satira debba far ridere, e per giunta debba far ridere tutti e quindi debba far ridere ad ogni costo, si avviano a pagare un alto prezzo: quello dell’offesa della dignità umana. Ricordate i fenomeni da baraccone dei secoli passati? La differenza fisica, la deformità, la malattia diventavano motivo di “comicità”, facevano ridere sguaiatamente, calpestando sofferenza e umanità. Oggi, per analogia, qualcosa si simile sta accadendo. La differenza, questa volta di pensiero e di cultura, genera lo sberleffo.
Come è lontana la satira, compresa quella di Pasquino certo non tenera coi Papi! Era un titanico confronto di intelligenze, che pungeva i contenuti del pensiero ma che rispettava colui che lo aveva formulato. Esiste infine una grande differenza tra satira e diffamazione, e tale differenza non può essere sconosciuta o indifferente a chi si occupa di comunicazione. Se per diffamazione si intende il tentativo di danneggiare un soggetto attribuendogli vizi e difetti inesistenti, il significato della satira è diametralmente opposto.
Cose tutte che sono eticamente superiori al “comandamento” di far ridere ad oltranza, che Fiorello attribuisce addirittura al demone della satira che lo ha invasato. Per contrastare questo demoniuccio c’è sempre un antico, efficace e semplicissimo esorcismo, che è pure in bel latino, come tradizione comanda; basta guardarsi allo specchio e ripetere l’arcana massima: “Risus abundat in ore stultorum”!