Nascita, avvento al potere del fascismo e molte altre questioni della storia dell’Italia unita vedono implicata la massoneria. Che la Chiesa ha sempre condannato.
di Angela Pellicciari
A stare agli studi d’archivio durati decenni dello storico Gerardo Padulo, sembrerebbe di sì. In un saggio di recente pubblicazione, Padulo scrive: «Senza la massoneria non si spiegano né la nascita del fascismo e il suo avvento al potere né molte altre questioni della storia dell’Italia unita». Ma Se è vero, come è vero e fa notare Padulo, che la massoneria «è stata un oggetto estraneo per molti anni alle ricerche storiche» (anche se negli ultimi tempi «è stata affrontata da molti – talvolta con eleganza, spesso con leggerezza – in modo comunque da sfocarne la presenza e la forza»), è pur vero che, nel caso del fascismo, questa mancanza di attenzione all’influenza dell’ordine sulla vita pubblica sembrerebbe giustificata: l’avversione del fascismo alla massoneria è cosa nota.
Nel 1923 il Gran Consiglio dichiara l’incompatibilità fra massoneria e fascismo e nel 1925 Mussolini promuove una legge contro le associazioni segrete, nel cui novero una posizione di rilievo spetta senza dubbio all’ordine massonico .
Le posizioni che sembrerebbero nettamente conflittuali tra massoneria e fascismo non corrispondono però al sicuro esordio del movimento fascista. Tanto che il 23 marzo 1923 il fratello Cino Ruggeri Buzzaglia può con ragione scrivere al venerabile della loggia: «non mi è possibile approvare in qualsiasi modo, né giustificare la voltata di spalle che dà [il partito fascista] alla nostra organizzazione dopo che questa è da ritenersi la sua stessa origine».
In teoria la massoneria non dovrebbe occuparsi di politica (titolo sesto, secondo punto delle Costituzioni di Anderson), in pratica, perlomeno da noi, questo riserbo raramente c’è stato. Per di più l’ordine non vieta affatto, anzi incoraggia, l’impegno politico dei singoli fratelli. E infatti Padulo ricorda la teoria del «doppio livello delle operazioni», enunciato come «criterio di massima» nella circolare del 4 settembre 1912.
Vi si spiega come i massoni che intervengono «per ragione profana» in questo o quel congresso, questa o quella organizzazione, debbano «sempre preventivamente riunirsi nella sede della Loggia» per «accordarsi sulle varie questioni». In pratica, tutti gli argomenti di interesse politico rilevante vengono prima affrontati e discussi in loggia, poi risolti a livello politico all’interno dei vari partiti che, quindi, risultano essere esecutori (inconsapevoli?) di decisioni prese altrove.
Proprio così aveva affermato Leone XIII nel 1884: «le leggi avverse alla Chiesa e le misure per essa offensive sono prima proposte, decretate, risolute in seno alle adunanze settarie». Riferendosi ai primi decenni del Novecento, Padulo afferma che il criterio del doppio livello delle operazioni vale in modo particolare per il partito «demo-costituzionale, il repubblicano, il socialista riformista e il socialista ufficiale».
Il partito fascista non sfugge alla regola. Anzi, il giornale di Mussolini, il Popolo d’Italia, nasce probabilmente su iniziativa e grazie ai finanziamenti di palazzo Giustiniani nel tentativo di «ammorbidire il neutralismo della stampa cattolica e socialista». E così «Un filo, il filo della massoneria, lega l’interventismo, le origini del fascismo e il fascismo delle origini».
Nel primo dopoguerra il «crescente isolamento e la crescente delegittimazione dei gruppi che avevano voluto la guerra» induce le logge (e gli industriali) a cambiare strategia e a puntare sul socialista radicale Mussolini: nell’adunata di Piazza San Sepolcro a Milano, il 23 marzo 1919, l’atto di nascita dei fasci di combattimento, sui circa 100 presenti la metà sono autorevoli massoni. In una circolare del 28 ottobre 1922 il Gran Maestro Domizio Torrigiani lo afferma con sicurezza: «a dare vita ed alimento a quel moto nel suo inizio furono anche nuclei di fratelli nostri molto autorevoli».
Adesso un elenco di finanziatori del fascismo della prima ora (anni 1919-1920), rinvenuto e pubblicato per intero da Paulo, mostra come numerosi fossero i fratelli oblatori del fascismo e come affrettato risulti il giudizio di De Felice che sottovaluta la presenza dei poteri forti e degli industriali nell’affermazione del movimento fascista, definito «un fenomeno dei ceti medi».
Dell’elenco appena pubblicato non si sapeva nulla: in caso contrario, sarebbe stato impossibile sostenere l’equidistanza fra anticapitalismo e antisocialismo, tanto sbandierata dal fascismo. E infatti nessuno degli industriali sottoscrittori, una forma di “finanziamento occulto dei partiti”, ha nulla a che ridire sulla parole d’ordine rivoluzionarie della riunione di San Sepolcro: «le 15 mila lire elargite dalla Banca Commerciale nel marzo 1919 attestano che i programmi di “sinistra” e le grida sovversive sono destinate a colpire il pubblico ignaro e a camuffare la reale natura dei fasci».
I fratelli massoni non sono solo convinti fascisti della prima ora, marcia su Roma compresa, sono anche i finanziatori, i promotori e gli animatori della prima casa editrice del PNF: la Imperia. Al fascismo manca una classe dirigente degna di questo nome: bisogna abituare «i nostri giovani fascisti – scrive Dino Grandi sul Popolo d’Italia del 4 ottobre 1922 – a leggere, a studiare, a pensare, a non esaurire, come molte volte oggi fanno, tutta la loro magnifica ed irrompente vitalità in una spedizione punitiva ed un alalà».
Si tratta di fare un «intenso lavoro di propaganda e di cultura», dando anche vita ad una letteratura popolare adatta ad esser capita dalla gente umile, secondo un imperativo di «elevazione ed educazione» caratteristico «del Fascismo che è un grande partito di classi popolari». Elevare ed educare (alle proprie vedute) è da sempre uno dei principali obiettivi dell’ordine massonico che con le classi popolari ha poco a che vedere, ma che le classi popolari vuole dirigere e orientare: la nuova casa editrice è finanziata, composta e diretta da massoni che hanno la maggioranza nel consiglio di amministrazione.
Sembra difficile mettere in dubbio le considerazioni di Padulo: «la storiografia ha fin qui sottovalutato l’impatto che la guerra ha avuto sul dopoguerra e sulle condizioni in cui è germinato il fascismo. Ha guardato alla guerra come all’albero buono e al fascismo come al frutto cattivo». Le cose stanno diversamente: la classe dirigente liberal-massonica, che ha guidato il Risorgimento rompendo con l’anima cattolica della nazione e imponendo la “inutile strage” della prima guerra mondiale, non riesce più con i vecchi metodi a mantenersi al potere.
Le ingiustizie, la povertà, l’emigrazione di massa, la diffusione della speranza socialista, la caterva di morti per la patria, il suffragio universale, inducono massoni ed industriali a puntare su Benito Mussolini ed i suoi fasci di combattimento. Dall’unità d’Italia ai primi anni del fascismo un minimo comune denominatore esiste, ed è la massoneria. Rimane da spiegare come mai Mussolini (perlomeno in apparenza) abbia cambiato idea, voltando bruscamente le spalle all’ordine. Su questo aspettiamo un nuovo studio di Padulo.
Per saperne di più
Gerardo Pdulo, Contributo alla storia della massoneria da Giolitti a Mussolini, in Annali dell’Istituto italiano per gli studi storici, VIII, 1988
Idem, Dall’interventismo al fascismo, in Storia d’Italia, Annali 21, La Massoneria, Torino 2006.
Idem, I finanziatori del fascismo, in Le carte e la storia, Quaderno 1, Siena 2010.