di Massimo Introvigne
Il dibattito lanciato martedì sulle colonne di questo giornale, con la consueta chiarezza, da monsignor Alessandro Maggiolini a proposito della «teologia di Rosy Bindi» non può essere lasciato cadere. Riguarda, infatti, le radici culturali del governo Prodi e il suo rapporto con quella sintesi di fede e ragione, di Gerusalemme e di Atene che chiamiamo Occidente.
Ai nemici dell’Occidente il Papa ricordava allora che l’incontro «tra la fede biblica e il pensiero greco, è un dato di importanza decisiva che ci obbliga anche oggi: il patrimonio greco, criticamente purificato, è una parte integrante della fede cristiana».
Il nemico di Benedetto XVI è il relativismo, secondo cui, per esempio, il matrimonio monogamico ed eterosessuale sarà pure un valore tradizionale in Italia, ma non lo si può imporre ai musulmani poligami o alle nuove culture gay. Se, come oggi afferma Rosy Bindi, quello occidentale è solo un modello fra i tanti, perché mai la fede dovrebbe essere «detta» nei termini della cultura occidentale e non di quella araba o malese? Questa obiezione, risponde il Papa a Ratisbona, «non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana ed imprecisa». Non è sbagliata, nel senso che non è necessario esportare le forme esteriori del cristianesimo occidentale in tutte le culture: per esempio, non è obbligatorio leggere la Bibbia nella pur autorevole versione greca, così come non si devono adottare per forza le forme artistiche dell’Occidente quando si costruisce una chiesa in Mongolia.
Ma l’obiezione è anche «grossolana» perché, ricorda Benedetto XVI, resta un fatto che «il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco». Il sospetto è che chi se la prende con l’Occidente voglia negare l’idea stessa di una legge naturale, valida per tutte le culture e che la ragione può conoscere. Allora si deve rispondere con fermezza, con il Papa a Ratisbona, che se il problema riguarda «le decisioni di fondo che riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, queste decisioni di fondo fanno parte della fede stessa».
Uno dei più insidiosi progetti di separare il cristianesimo dalla cultura greca per riportarlo a un’ipotetica purezza originaria e renderlo completamente permeabile all’incontro con culture non occidentali fu la dottrina della Chiesa «culturalmente povera» teorizzata da don Giuseppe Dossetti. Per Dossetti, maestro di Rosy Bindi ma anche di Romano Prodi, la Chiesa deve farsi povera non solo spogliandosi di molti dei suoi beni terreni, ma anche rinunciando a quella ricchezza che è la sua cultura occidentale. Si tratta proprio della posizione criticata da Benedetto XVI a Ratisbona.
E il fatto che Dossetti e il suo ideale della «povertà culturale» siano stati celebrati in un convegno a Bologna a dieci anni dalla sua morte, nel dicembre 2006 – dunque, tra l’altro, dopo il discorso di Ratisbona -, dai suoi numerosi discepoli della cosiddetta «scuola di Bologna», fra cui spiccava Romano Prodi, mostra come il progetto anti-occidentale dossettiano dia il tono culturale all’attuale governo della Repubblica italiana.