di Roberto Marchesini
In Polonia c’è un piccolo paese sconosciuto al mondo, ma che i polacchi conoscono molto bene. Si chiama Manieczki, e tutti i polacchi, almeno quelli sopra una certa età, lo conoscono bene per averlo visto in televisione migliaia di volte durante il regime comunista. Ogni volta che la televisione di stato parlava degli splendidi successi ottenuti dal piano agricolo quinquennale, ogni volta che cantava le lodi del sistema dei kołchoz (cooperative agricole collettivistiche), le immagini trasmesse erano quelle di Manieczki
Ogni regime si inventa una realtà, le sue lotte, i suoi successi È la lezione del romanzo orwelliano 1984 nel quale i cittadini si radunavano “spontaneamente” davanti a enormi schermi sui quali passavano le immagini dei successi militari ottenuti dalla patria; dopo di che cominciavano i “due minuti d’odio”, durante i quali i cittadini – sempre in modo spontaneo – mostravano tutto il loro odio contro il nemico pubblico numero uno, Emmanuel Goldstein. Anche in questo caso: trionfi fasulli e nemici fasulli per nascondere la triste realtà di un intero continente trasformato in lager.
Questo è quanto mi è venuto in mente quando, dopo una rapida scorsa ai quotidiani on line, ho seguito la conferenza stampa del consiglio dei ministri che presentavano il Decreto Legge “contro il femminicidio”, l’emergenza che da qualche anno sta affliggendo l’Italia. Come è cominciato l’allarme “femminicidio”?
Nel marzo del 2012 ha fatto molto scalpore un dato rivelato da Ritanna Armeni, secondo la quale la violenza sulle donne “è la prima causa di morte in tutta Europa per le donne tra i 16 e i 44 anni”. Un paio di mesi dopo Barbara Spinelli, sul Corriere della Sera, aveva fatto una rivelazione simile: “La prima causa di uccisione [morte] nel mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio (da parte di persone conosciute)”. Nel giugno dello stesso anno è intervenuta sul tema Rashida Manjoo, special rapporteur dell’ONU sulla violenza contro le donne, secondo la quale “[…] in Italia la violenza domestica è la prima causa di morte per le donne fra i 16 e i 44 anni di età”.
Peccato che tutte queste dichiarazioni (ovviamente riprese con grande enfasi da tutti i media) siano false. È falsa la dichiarazione riguardante l’Europa (pp.168ss.); è falsa la dichiarazione sulla popolazione femminile mondiale; è falsa la dichiarazione sull’Italia. Il Rapporto Criminalità Italia del Ministero dell’Interno recita a pagina 125: “È condivisa l’idea che determinate condizioni di “debolezza”, dovute al sesso femminile o all’età avanzata, aumentino la vulnerabilità e quindi la probabilità di essere vittima di un reato violento come l’omicidio.
Al contrario, dai dati emerge che più frequentemente le vittime di omicidio sono maschi, fino ad un massimo di 8 soggetti su 10 tra il 1992 e il 1997”; e a pagina 128: “Le donne commettono omicidio soprattutto verso maschi e la quota percentuale rimane abbastanza costante per tutto il periodo considerato. Non bisogna, tuttavia, dimenticare che gli omicidi da parte di autore di sesso femminile sono una minima parte di quelli commessi e solitamente avvengono nei confronti del proprio partner, in ambienti quindi familiari”.
Dunque al massimo si profila un “maschicidio”, sia da parte di altri maschi, che da parte di femmine (soprattutto in ambienti familiari). Esattamente il contrario rispetto alla tesi del “femminicidio”. Ma al di là di tutto questo: l’omicidio (al di là del sesso della vittima) non è già punito, e con severità, in Italia? Che bisogno c’è di parlare di “femminicidio” o “maschicidio”
Secondo il ministro dell’interno Angelino Alfano: “Le norme hanno tre obiettivi: prevenire violenza di genere, punirla in modo certo e proteggere le vittime”. Il linguaggio è significativo, e rimanda ad un mondo ideologico, non necessariamente corrispondente con il mondo reale.
Ricordiamoci del kołchoz di Manieczki: questa è una grande vittoria del governo contro un nemico di paglia, il “femminicida”; al quale sono stati rivolti i “due minuti d’odio” al pari dell’evasore e dell’omofobo.
Il solito “nemico del popolo” da stanare ed eliminare. Il cui identikit (maschio, eterosessuale, marito e padre) si delinea con una chiarezza sempre maggiore: il padre di famiglia
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