Fini diventa il «Peppone» del centrodestra

Fini

Gianfranco Fini

Il Tempo  28 settembre 2005

Dal referendum sulla fecondazione assistita all’apertura sui Pacs il leader di An si allontana sempre più dal Vaticano. La «svolta» del vicepremier sembra quasi una risposta alla «conversione» del segretario dei Ds.

Nicola Imberti

“La Chiesa invita a un voto di coerenza coi valori che ritiene debbano essere salvaguardati. E il centrodestra è certo molto più coerente con quei valori di quanto lo sia il centrosinistra”. Ve lo ricordate? Probabilmente no. Anno 2001 Gianfranco Fini risponde così, in un’intervista al Giornale, all’appello lanciato dal cardinale Ruini sul voto cattolico.

Oggi, a distanza di quattro anni, eccolo qua il «cattolico» Fini, in piedi sulla sua barricata che, guarda caso, è esattamente dalla parte opposta di quella del Presidente della Cei, opposta quando si parla di fecondazione assistita (forse il caso più eclatante) opposta, ed è argomento degli ultimi giorni, quando a tema ci sono i Pacs e le coppie di fatto.

Chi l’avrebbe mai detto. Il leader di An sembra ormai aver definitivamente scelto un’altra strada. Quella che, dicono i maligni, porta alla conquista dei voti di coloro che di vescovi, preti e quant’altro proprio non vogliono sentir parlare. Una “svolta a sinistra” che suona tanto come una risposta alla “svolta religiosa” dei Ds. Così, mentre Fassino rivendica con orgoglio la sua fede “rafforzata” dall’insegnamnento dei gesuiti, Fini spalanca le sue porte alle battaglie radicali.

Se Fassino si rivolge con orgoglio al suo 27% di elettorato cattolico, Fini se ne allontana. Ds e An si candidano così al ruolo di “partiti omnnibus” del Parlamento italiano, partiti capaci di raccogliere voti un po’ d’ovunque uscendo dal vecchio schematismo che li relegava uno a destra e uno a sinistra.

E pensare che proprio Gianfranco Fini, nel 1996, dichiarava senza mezzi termini: “Certo, è difficile che i cattolici votino per D’Alema che si è dichiarato pubblicamente ateo”. Lo stesso Fini che contestava la decisione di svolgere il Gay Pride a Roma nell’anno del Giubileo, tanto da meritarsi l’appellativo di ‘cattofascista”.

“E’ un’impuntatura di carattere ideologico – diceva – di una lobby, quella omosessuale, che offende due volte la città perché Roma è il tempio della cristianità e poi perché viene organizzato volontariamente nell’anno del Giubileo”.

È bastato meno di un anno per cancellare tutto questo. Un anno fatto di dichiarazioni sconvolgenti, ma anche di scelte forse meno eclatanti, ma che hanno comunque innevorsito le gerarchie vaticane. Sugli scudi, ovviamente la battaglia in favore del referendum sulla fecondazione assistita. Quei “tre sì e un no” che nessuno, proprio nessuno si aspettava (men che meno i suoi compagni di partito).

Poi la presa di posizione contro quelle “discriminazioni che negano i diritti individuali e personali dei cittadini che danno vita ad un’unione di fatto” e la frittata è fatta. Per la verità i ben informati dicono che la lotta tra Fini e il Vaticano non si esaurisce certo qui.

A mandare su tutte le furie le gerarchie d’Oltretevere, infatti, ci sarebbero anche alcune posizioni riguardanti la politica estera. Innanzitutto il giudizio favorevole del ministro su un ingresso della Turchia nella Ue su cui il Vaticano ha espresso più di una condizione. Poi l’assoluta incuranza con cui Fini sembra aver trattato le diatribe che da sempre dividono Vaticano e stati comunisti come la Cina e Cuba.

Al punto che il vicepremier, prima ha auspicato l’eliminazione dell’embargo sulla vendita delle armi al governo cinese e poi la sospensione temporanea delle sanzioni al governo di Fidel (posizione condivisa in seno alla Ue). Insomma, se Fassino sembra aver “scoperto Dio nelle urne” Fini, forse, dentro quelle stesse urne lo ha perso.