di Benedetto delle Site
Il Coronavirus sta scalzando una dopo l’altra le nostre certezze. Fra queste certamente uno sconquasso di non poco conto ha investito l’Europa: l’Unione Europea ha risposto al virus tardivamente e in modo disorganico, provocando una perdita di credibilità che sarà molto difficile recuperare.
Alcune esternazioni, da parte di autorevoli uomini delle sue istituzioni, hanno messo poi in luce le visioni contrastanti presenti nel Vecchio Continente, che in ultima istanza certificano una frattura profonda fra culture morali all’interno dell’Europa stessa.
Ettore Gotti Tedeschi su “La Verità” giorni fa lo ha bene evidenziato, notando come le opposte strategie di contenimento del virus degli stati europei hanno radici culturali e morali: da un lato vivrebbe l’etica protestante e secolarizzata, centrata sul primato di aspetti strettamente economici, dall’altro lato l’etica cattolica, il suo “realismo” spirituale che identifica quale bene primario la sacralità della vita umana.
D’altronde, storicamente, pratiche quali aborto, eutanasia, suicidio assistito, infanticidio (i casi Gard ed Evans in Inghilterra) si sono affacciate e hanno trovato terreno di sperimentazione proprio nelle nazioni dominate dallo spirito “moderno”, figlio del protestantesimo e del secolarismo.
Hanno suscitato clamore le affermazioni di Boris Johnson, ma in realtà lo spirito economicista ed utilitarista è molto più diffuso e arriva fin dentro casa nostra: dalla Lagarde esso passa per Macron, che si è ben guardato dal sospendere lo svolgimento delle elezioni amministrative in Francia, e forse da noi ha anche ispirato qualche sindaco che, almeno in un primo momento, auspicava la revoca delle limitazioni «per far ripartire l’economia».
Tutto questo ci obbliga ad un allargamento della riflessione, perché le istituzioni accusano una confusione che imperversa nel profondo dell’animo europeo. Nel giorno di chiusura del controverso Sinodo sull’Amazzonia, la questione è stata messa a fuoco nientemeno che da Benedetto XVI. In una conversazione resa nota dal quotidiano “Il Foglio” Joseph Ratzinger ha detto che “la crisi dell’Europa, prima ancora di essere politica, degli Stati e delle sue istituzioni, è una crisi dell’uomo.”
Secondo Ratzinger, “la crisi è innanzitutto antropologica. Un uomo che ha perso ogni riferimento di fondo, che non sa più chi è”. Parole che, in bocca a Ratzinger, ci riportano ad una sua annosa disanima sul disfacimento dell’uomo europeo dal titolo “Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani”, tenuta nella Sala Capitolare del Chiostro della Minerva a Roma nel 2004, in un momento storico in cui l’Europa viveva tempi certamente migliori di quelli attuali. Vale la pena ripercorrerne i punti salienti.
Mentre l’allargamento dell’Unione procede spedito, il Cardinal Ratzinger in totale controtendenza, non nasconde molti timori, e a partire da una domanda essenziale si interroga: “l’Europa, cos’è essa propriamente?”. Il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede aggiunge: “e in generale, cos’è la nostra cultura, cosa ne è ancora rimasto? La cultura europea è forse la civiltà della tecnica e del commercio diffusa vittoriosamente per il mondo intero? O non è questa forse piuttosto nata in maniera post-europea dalla fine delle antiche culture europee?”.
“Io – prosegue il futuro Papa – vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si collega in tutto il mondo (…) l’impressione che il mondo di valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia propriamente già uscito di scena; che adesso sia giunta l’ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell’America pre-colombiana, dell’Islam, della mistica asiatica.
L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno, come paralizzata da una crisi circolatoria, una crisi che mette a rischio la sua vita affidandola a trapianti che ne cancellano l’identità.” E il riferimento va all’immigrazione di massa e alla sostituzione etnica dei popoli europei: “al cedimento delle forze spirituali portanti – sentenzia il “Panzerkardinal” – si aggiunge un crescente declino etnico.”
Nello stesso discorso però Joseph Ratzinger non si limita a queste costatazioni ma traccia una vera e propria storia per tappe del decadimento dell’umanità europea, della disgregazione dell’unità morale e spirituale dell’Europa. Per prima, l’affermazione del luteranesimo: “una grande parte del mondo germanico si distacca da Roma; sorge una nuova, «illuminata» forma di cristianesimo, cosicché attraverso l’occidente scorre d’ora in poi una linea di separazione, la quale forma chiaramente anche un limes culturale, un confine tra due diverse modalità di pensare e di rapportarsi.”
Quindi la Rivoluzione francese: “la fondazione sacrale della storia e dell’esistenza statuale viene rigettata, la storia non si misura più in base ad un’idea di Dio ad essa precedente e che le dà forma (…) Per la prima volta in assoluto nella storia sorge lo Stato puramente secolare (…) e dichiara Dio stesso come affare privato, che non fa parte della vita pubblica e della comune formazione del volere. (…) Dio non appare chiaramente conoscibile: religione e fede in Dio appartengono all’ambito del sentimento, non a quello della ragione. Dio e la sua volontà cessano di essere rilevanti nella vita pubblica”.
Tale lacerazione, prosegue Ratzinger, “negli ultimi due secoli è penetrata nelle nazioni latine come una frattura profonda, mentre il cristianesimo protestante in un primo tempo ebbe vita facile nel concedere spazio alle idee liberali e illuministe all’interno di sé”.
Tuttavia i sistemi figli della Rivoluzione secolarista “si sono rivelati fragili e facili a cadere vittima delle dittature” essi sono sopravvissuti “solo perché parti della vecchia coscienza morale continuano a sussistere anche senza i precedenti fondamenti e rendono possibile un consenso morale di base”.
Dall’altra parte, “nel mondo germanico, esistono in maniera differenziata i modelli di Chiesa di Stato del protestantesimo liberale” nei quali “una religione cristiana illuminata, essenzialmente concepita come morale” è del tutto irrilevante, “le chiese di Stato sono dappertutto cadute vittima del logoramento: da corpi religiosi che sono derivazioni dello Stato non proviene più alcuna forza morale, e lo Stato stesso non può creare forza morale”.
Infine la Rivoluzione marxista. Ratzinger fa una acuta analisi delle vere conseguenze distruttive del naufragio dei sistemi comunisti, “la vera e propria catastrofe che essi hanno lasciato alle loro spalle non è di natura economica; essa consiste nell’inaridimento delle anime, nella distruzione della coscienza morale (…) la problematica lasciata dietro di sé dal marxismo continua a esistere anche oggi: il dissolversi delle certezze primordiali dell’uomo su Dio, su se stessi e sull’universo, la dissoluzione della coscienza dei valori morali intangibili, è ancora e proprio adesso nuovamente il nostro problema e può condurre all’autodistruzione della coscienza europea”.
Altrove nel mondo tuttavia, nota il teologo bavarese, non si verifica lo stesso, c’è anzi un effetto contrario: “la rinascita dell’Islam non è solo collegata con la nuova ricchezza materiale dei paesi islamici, bensì – sottolinea Ratzinger – è anche alimentata dalla consapevolezza che l’Islam è in grado di offrire una base spirituale valida per la vita dei popoli, una base che sembra essere sfuggita di mano alla vecchia Europa, la quale così, nonostante la sua perdurante potenza politica ed economica, viene vista sempre più come condannata al declino”.
Di sorprendente attualità (siamo nel 2004) i passaggi ratzingeriani circa la Turchia, il pericolo della sua inclusione in Europa e la sua vocazione verso un’area di influenza neo-ottomana. Ma oltre al mondo islamico, “anche le grandi tradizioni religiose dell’Asia, soprattutto la sua componente mistica che trova espressione nel buddismo, si elevano come potenze spirituali di contro ad un’Europa che rinnega le sue fondamenta religiose e morali.”
All’opposto in Europa: “c’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente; essi ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Essi non vengono sentiti come una speranza, bensì come un limite del presente.” E allora, incalza, “il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più alcuna energia vitale.”
Ratzinger infine preconizza per l’Europa due ipotesi: quella del suo dissolvimento nella “civilizzazione mondiale” di spengleriana memoria e quella, opposta, del recupero della fede e della sua migliore eredità. Alla tesi di Spengler sul tramonto della civiltà, ricorda il cardinale, si contrappone la tesi di Toynbee, il quale mette in luce “la differenza tra progresso materiale-tecnico da una parte, e dall’altra progresso reale, che definisce come spiritualizzazione.”
Toynbee, sottolinea Ratzinger “ammette che l’Occidente si trova in una crisi, la cui causa egli la vede nel fatto che dalla religione si è decaduti al culto della tecnica (…). La crisi significa per lui, ultimamente: secolarismo. Se si conosce la causa della crisi, si può indicare anche la via della guarigione: deve essere nuovamente introdotto il fattore religioso, di cui fa parte secondo lui l’eredità religiosa di tutte le culture, ma specialmente quello «che è rimasto del cristianesimo occidentale»”. Questa opzione, di fatto, è stata scartata.
L’Europa occidentale, ripudiando ai tempi di Chirac le radici giudaico-cristiane nella propria costituzione, si è illusa di potere costruire la propria unità su un ethos secolarizzato basato su una forma di credo meramente razionale, laico e kantiano. Non a caso, invece, le riflessioni di Ratzinger sull’Europa hanno trovato accoglienza nel mondo slavo-ortodosso, dove sono state inaspettatamente tradotte e diffuse.
Proprio laddove, recentemente, la fede in Dio è stata delibata dalla costituzione. (E fa specie al riguardo che sempre recentemente la Chiesa cattolica, di converso, abbia spostato il suo interesse verso il mondo protestante, quasi a volervi formalizzare un compromesso che appare a ribasso.) Il Coronavirus, in definitiva, non ha fatto altro che far emergere le contraddizioni di una Europa lacerata nel profondo, nel pensiero e nello spirito.
L’Europa attuale è vittima di sé stessa, dell’abbandono della via della fede in Dio, della perdita della sua stessa energia vitale, insomma sconta il definitivo compimento della sua apostasia.
Possiamo allora concludere con un ammonimento dello stesso Ratzinger, stavolta Papa Benedetto XVI, che nel 2007 nella lettera enciclica Spe Salvi (n.19) preannuncia l’esito perverso dell’oscuramento della fede in Europa, e lo fa non a caso con le parole dello stesso Kant, che in «Das Ende aller Dinge» (La fine di tutte le cose) nel 1794 afferma: “«se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime, fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo. In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine perversa di tutte le cose».”