il Giornale, 21 luglio 2006
di Massimo Introvigne
Chissà se alla sinistra italiana è arrivato il rumore più clamoroso di questa guerra d’estate: il fragoroso silenzio della piazza araba. Da anni bastava una piccola ritorsione israeliana perché da Giakarta a Tripoli folle mobilitate o dai regimi al potere o da organizzazioni fondamentaliste come i Fratelli Musulmani invadessero le piazze gridando «Morte a Israele». Questa volta la piazza araba non si mobilita. Il contrasto è strabiliante con quanto era successo solo qualche mese fa a proposito delle vignette danesi.
L’Onu e il G8 non possono dirlo per i veti di una Francia da sempre filo-siriana e antiamericana, cui in sede G8 si è subito accodato Prodi, soprattutto per ragioni di bassa cucina politica italiana: ci sono Diliberto e Giordano da tenere buoni, o il governo va a casa. Ma i musulmani lo sanno.
I capi di Stato nazionalisti hanno capito perfettamente che è in gioco l’egemonia sull’intero mondo arabo di una nuova cupola, la cui testa è a Teheran, che ha ridotto la Siria al rango di Stato satellite e che – dopo avere indotto Bin Laden a liberarsi dell’anti-sciita al-Zarqawi facendo arrivare agli americani informazioni su dove trovarlo ed eliminarlo – ha arruolato anche al-Qaida. Questa cupola, il cui leader Ahmadinejad crede in un islam apocalittico e attende con fervore la fine del mondo, considera i dittatori nazionalisti laici come una peste che infetta il mondo islamico.
Tollera Assad in Siria perché la sua famiglia non è laica ma alauita, seguace di una forma estremista sciita sulla cui eterodossia Ahmadinejad ha deciso di chiudere un occhio. Quanto ai Fratelli Musulmani, la famiglia Assad in Siria ne ha ammazzati il bel numero di settantacinquemila. I Fratelli inoltre sono sunniti e il trattamento delle minoranze sunnite dovunque arrivino gli sciiti iraniani o filo-iraniani non è certo particolarmente rassicurante.
In teoria è sunnita anche Bin Laden, ma ormai la sua ideologia è un terzo islam, apocalittico e violento, che va al di là della tradizionale distinzione fra sunniti e sciiti e che – con il suo uso disinvolto del traffico di droga e dei legami con la malavita – non ha più nulla a che fare con la puritana (e anti-sciita) tradizione wahhabita dell’Arabia Saudita in cui il superterrorista è stato educato.
Così, la più grande manifestazione anti-israeliana si è tenuta a Cuba e contro Israele al momento grida più forte Diliberto a Roma che Gheddafi a Tripoli. I re del Marocco, della Giordania, dell’Arabia Saudita dicono in privato agli americani quello che non possono dire in pubblico: nessuna pace è possibile finché non si abbattono i regimi di Teheran e di Damasco.
I Fratelli Musulmani sono un’organizzazione complessa e piena di correnti, ad alcune delle quali una caduta di Ahmadinejad e di Assad non farebbe certamente dispiacere. Come Catone imparò a sue spese, continuare a ripetere delenda Carthago non rende popolari. Ma Catone aveva ragione. Finché la Cartagine rappresentata dai regimi siriano e iraniano non sarà distrutta, Roma – cioè l’Occidente – non sarà al sicuro.
E neppure tutti quei musulmani che non vogliono diventare vassalli di Ahmadinejad: per questo, la piazza musulmana continua a far rumore con il suo silenzio.