di Stefano Fontana
Bisogna oggettivamente riconoscere che l’enciclica di Papa Francesco Fratelli tutti non è pienamente convincente. Non solo per il linguaggio, spesso approssimativo e debitore di modalità espressive giornalistiche o sociologiche, non solo per le valutazioni non sempre adeguatamente argomentate, non solo per le ripetizioni sia tematiche che linguistiche di un repertorio reiterato nel tempo, ma anche per i contenuti stessi dell’insegnamento.
Possiamo esaminarne brevemente quattro.
Uno è il concetto di fratellanza /fraternità. Questo termine è molto ambiguo. Nel 1789 fu fatto proprio dalla rivoluzione francese. Nell’Ottocento era al centro della “religione dell’umanità” di positivisti e anarchici. In seguito se ne appropriò la massoneria ufficiale, tanto è vero che anche in occasione dell’uscita della Fratelli tutti, il Grande Oriente si è complimentato con il papa per l’uso di questo termine-chiave per la loro filosofia.
Tra il concetto massonico e quello cattolico di fraternità / fratellanza si dà una notevole differenza. Illuminismo e massoneria pensano ad una fratellanza di individui astratti, privi di identità e radicamento, pensati a tavolino e non frutto della creazione né oggetto di redenzione, fautori di una generica religione dell’umanità intesa come sincretismo tra le varie religioni unificate nel deismo, la più semplice e vuota delle religioni.
A questa concezione è estranea sia la fraternità naturale a seguito della creazione, sia la fraternità soprannaturale a seguito della grazia. I due piani – naturale soprannatuale – sono unificati in una posizione, quindi, immanentistica. Ora, la differenza tra le due visioni non emerge con chiarezza dall’enciclica.
Un secondo è dato dalla fratellanza operativa tra le religioni, perseguita da papa Francesco dopo la dichiarazione di Abu Dhabi e ora ripresa e rilanciata nella Fratelli tutti. Se prendiamo ad esempio la religione mussulmana notiamo che in essa una visione di fratellanza universale non c’è.
Per la religione di Maometto ci sono i musulmani e i non musulmani, i padroni e gli schiavi, gli uomini e le donne. Queste categorie non sono sociologiche o culturali ma antropologiche, riguardano diversi livelli di umanità. Per dialogare in termini di fratellanza con le altre religioni, bisognerebbe condividere lo stesso concetto di fratellanza, cosa che non è. Ho fatto l’esempio dell’Islam ma la cosa si potrebbe ripetere per altre religioni, antiche e recenti.
Per intendersi sulla fratellanza bisognerebbe che questa fosse almeno condivisa sul piano naturale, anche se poi su quello soprannaturale si pensano cose diverse. Ma così non è, perché il piano naturale non può stare senza quello soprannaturale da cui è illuminato.
L’Islam – per tornare all’esempio fatto – non ammette un diritto naturale, che darebbe corpo ad una uguaglianza appunto naturale tra gli uomini come base indisponibile per una fraternità altrettanto naturale. Un simile diritto naturale per l’Islam suonerebbe come una limitazione alla Volontà onnipotente di Dio e ai suoi decreti insondabili. La Fratelli tutti non tiene conto di tutto questo e parla di una fratellanza tra le religioni che non può esistere.
Un terzo è dato dalla concezione di disuguaglianza e inequità che secondo l’enciclica è la causa di tutti i mali. La tesi era già stata espressa nella Evangelii gaudium e nella Laudato si’. Ora, quando la disuguaglianza è frutto dell’ingiustizia va combattuta come ingiustizia. Ma quando la disuguaglianza è frutto o della natura o dell’impegno personale allora è una ricchezza per tutti.
Anche la Rerum novarum di Leone XIII lo diceva, mettendo in guardia dalle utopie egualitariste che producono danni infinitamente maggiori di quelli che vorrebbero evitare. C’è il rischio che dalla valutazione della proprietà privata che papa Francesco esprime nell’enciclica derivino forme di statalismo populista, di pauperismo egualitario, di assistenzialismo deprimente.
Bisognerebbe tornare a parlare di giustizia e non di diseguaglianza, ma per farlo bisogna superare le insufficienti dottrine moderne dell’equità (come per esempio Rawls) per tornare al concetto denso di bene comune. Un quarto è dato dalle considerazioni critiche della Fratelli tutti sulla proprietà privata. La Dottrina sociale della Chiesa ha sempre difeso il diritto naturale alla proprietà privata, frutto del lavoro, garanzia di vera libertà, tutela della famiglia, fattore propulsore dell’economia perché, diceva Leone XIII, uno si impegna di più sul suo che in quello degli altri.
Il diritto naturale alla proprietà privata non contrasta con l’altro principio della destinazione universale dei beni e non ne è sottoposto e condizionato, come sembra sostenere papa Francesco. Sono sullo stesso piano o, si può dire, sono lo stesso principio. Infatti c’è un unico modo per realizzare in modo giusto e naturale la destinazione universale dei beni: diffondere la proprietà privata, che va ampliata e non ridotta, esaltata e non vilipesa, convenientemente valorizzata da un contesto etico e culturale veramente umano, ma non ridotta a questione marginale di una economia centralizzata.