[Didaché IV, 2; CN ed., Roma 1978, pag. 32]
Friardo era figlio di contadini di Nantes. Avviato al lavoro dei campi fin da ragazzo, era oggetto di schemi dei compagni per via della sua profonda devozione. Un giorno uno sciame di vespe inferocite si avventò sui lavoranti e stava per ridurli a malpartito. Friardo si inginocchiò a pregare e le vespe ritornarono da sole nel loro nido. Da quel momento nessuno osò più burlarsi di lui.
Ma Friardo non era fatto per quella vita. Deliberò di ritirarsi in eremitaggio in un’isola della Loira chiamata Vinduneta (oggi Besné). Fu raggiunto dal diacono Secondello, con il quale divise la solitudine. Costruirono due rifugi distanziati l’uno dall’altro e si diedero alla pura preghiera. Dopo qualche tempo si aggiunse un monaco, Sabaudo, un ex funzionario del re Clotario. Ma Sabaudo non rimase a lungo con loro.
Dopo che quest’ultimo ebbe fatto ritorno al suo monastero, Secondello fu richiesto per guarire alcuni malati. Fu l’unica volta che uscì dal suo eremo. Quando tornò, raggiante per quel che aveva fatto, trovò che Friardo non era per nulla contento. Anzi, gli disse chiaro e tondo che vedeva in lui l’opera del Tentatore, il quale stava eccitando la sua vanagloria. Secondello ci rimase un po’ male, ma capì l’antifona.
Infatti, appena ebbe un apparizione di Cristo tracciò nell’aria un segno di croce e la visione si dissolse: era il demonio sotto mentite spoglie. Quando sentì vicina la morte, Friardo mandò a chiamare il vescovo di Nantes, s. Felice. Quello gli fece dire di aspettare perché era occupato. E Friardo aspettò, ritardando la dipartita fino all’arrivo di Felice. Era circa l’anno 570.
il Giornale 1 agosto 2000